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Commentary

Economica, semplice, efficace: la strategia dell'Isis che tiene in scacco il Medio Oriente

Andrea Beccaro
24 Agosto 2016

Lo Stato islamico (IS) è ormai da diversi anni un attore importante e cruciale della regione del Mediterraneo e un protagonista dei sommovimenti geopolitici che la stanno coinvolgendo. Vero è che negli ultimi mesi l’IS ha conosciuto svariate sconfitte che ne hanno ridotto considerevolmente il territorio controllato: ha perso in Iraq le città di Ramadi e di Falluja (che controllava dal 2014) ed è in ritirata anche a nord verso Mosul; in Libia il controllo di Sirte; in Siria diverse aree e non è riuscito a mantenere l’offensiva. Malgrado ciò però la sua pericolosità non è diminuita, anzi paradossalmente potrebbe anche essere aumentata a seguito della dispersione dei suoi miliziani (alcuni con documenti europei).

Tutto ciò è conseguenza anche della strategia impiegata da IS, che si è rivelata particolarmente efficace perché molto flessibile e in grado di adattarsi bene alle specifiche condizioni tattiche delle diverse aree in cui il gruppo opera. In particolare ci riferiamo all’uso del terrorismo che deve essere interpretato come strumento per la realizzazione di uno scopo politico. Oggi il termine “terrorismo” è decisamente inflazionato e per meglio comprendere IS è utile prenderne in esame alcune caratteristiche specifiche.

Il terrorismo che oggi osserviamo nell’area del Mediterraneo è strettamente collegato con un fenomeno più ampio di un’insurrezione a carattere jihadista. Detto in altri termini, il terrorismo di IS e di gruppi similari non deve essere interpretato semplicemente come un fenomeno a sé stante, bensì come una tattica militare impiegata per la sua economicità e semplicità per i fini strategici di un’insurrezione. Prendiamo in esame questi tre elementi.

Economicità. Il terrorismo è economico nel senso che con un investimento ridotto riesce a ottenere risultati pratici o mediatici notevoli. Se pensiamo ai recenti attacchi a Parigi e Bruxelles possiamo vedere questa dinamica all’opera: preparare gli esplosivi per le cinture degli attentatori suicidi o dotare i membri del commando di armi automatiche facilmente reperibili sul mercato, è un’operazione a basso costo (seppur servano comunque elementi addestrati soprattutto per ciò che riguarda gli esplosivi), ma gli effetti mediatici sono stati notevoli e i costi per le aumentate misure di sicurezza enormi. Inoltre, un marchio di fabbrica dell’IS sono i veicoli bomba guidati da attentatori suicidi, che spesso sono riusciti a penetrare le difese nemiche e per questo rappresentano una sorta di bomba intelligente, che però nella versione militare occidentale ha un costo decisamente più elevato: un Tomahawk statunitense costa più di 600.000 dollari, un mezzo bomba viene costruito con un veicolo rubato, modificato con materiale di recupero, armato con esplosivo ricavato dal campo di battaglia o facilmente prodotto e acquistato.

Il concetto di semplicità impiega la stessa logica e va inoltre sottolineato che il terrorismo impiega anche tattiche offensive quali omicidi mirati, attacchi suicidi, stragi di massa e simili che sono semplici da portare a termine e non richiedono particolari accorgimenti visto che spesso si colpiscono obiettivi scarsamente protetti.

Per ciò che riguarda, invece, i fini strategici, il terrorismo in quanto tattica non può essere compreso se non lo si pone in relazione alla strategia e al progetto politico che lo impiega. In questo caso la strategia è quella del sovvertimento dell’ordine regionale di alcune aree del Mediterraneo da parte dei gruppi jihadisti come IS che impiegano quella tattica proprio per radicarsi sul territorio e plasmare un nuovo ordine regionale dove loro possono giocare un ruolo di primo piano. Non bisogna cercare la logica dell’attacco nel singolo evento, un semplice fenomeno tattico, bensì guardare al quadro più ampio del livello strategico e politico.

Il moderno terrorismo deve dunque essere compreso come una tattica offensiva da inquadrare in un più ampio contesto strategico, quello di un’insurrezione guidata dai gruppi jihadisti. Un’interpretazione che inoltre va di pari passo con l’attuale riflessione di svariati analisti i quali sottolineano come la guerra oggi sia un qualcosa di diverso dal conflitto tra stati sovrani a cui ci eravamo abituati. Forme di conflitto più sfumate e ibride sono riemerse collegandosi a fenomeni bellici di lunga durata come le guerriglie e i conflitti irregolari in cui da sempre il miliziano ha dovuto sfruttare tattiche più sfuggenti, semplici, economiche, mutevoli per far fronte alla superiorità (militare ed economica) dell’avversario e così colpirlo duramente anche al di fuori di ciò che viene percepito come campo di battaglia, un concetto che oggi, proprio a seguito dell’impiego massiccio della tattica del terrorismo, ha perso molto del suo significato tradizionale.

Tutto ciò conduce alla riflessione che le sole misure anti-terrorismo sono necessarie per la difesa quotidiana, ma non sono sufficienti per sconfiggere la sfida geopolitica lanciata da questi gruppi.

 

 

Andrea Beccaro, Research Fellow presso l’European Neighbourhood Policy - South, College of Europe, Varsavia


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Autori

Andrea Beccaro
European Neighbourhood Policy - South, College of Europe, Varsavia

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