Ecuador: equilibrio instabile tra Cina, USA e dissenso interno
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Governo Lasso

Ecuador: equilibrio instabile tra Cina, USA e dissenso interno

Davide Serraino
18 ottobre 2022

Il 19 settembre 2022 è stata una data da ricordare per l’Ecuador: il presidente conservatore Guillermo Lasso ha annunciato che il Paese andino ha raggiunto un accordo con due controparti finanziarie cinesi per la ristrutturazione di 3,2 mld USD di debito, con un risparmio valutato in 1,4 mld USD da qui al 2025, quasi il 20% del servizio del debito pubblico (l’ammontare dei pagamenti – come interessi e capitale - che chi contrae un debito deve al prestatore secondo i termini del contratto di prestito).

In dettaglio, il governo ha ristrutturato due prestiti verso China Development Bank ed Export-Import Bank of China, rispettivamente per 1,4 mld USD e 1,8 mld. Si tratta di accordi che riducono il tasso di interesse che l’Ecuador paga annualmente a questi istituti, allungando le scadenze fino al 2032, e si inseriscono all’interno della strategia dell’esecutivo, sulla scia di quello precedente di Lenin Moreno, volta a ridurre il peso del servizio sul debito. L’obiettivo è quello di liberare risorse a favore di spese sociali, in un paese che ha sanato solo in parte le ferite sociali inferte dalla pandemia e che a giugno 2022 vedeva ancora un cittadino su quattro in povertà relativa.

Il Cavallo di troia cinese

L’Ecuador ha rappresentato uno degli avamposti della penetrazione cinese in America Latina nel corso della lunga era al comando del presidente Rafael Correa (2006-2017). Il totale dei prestiti erogato da parte di banche cinesi nel periodo in cui è stato al potere il socialista Correa somma quasi 20 mld USD, non poco considerando che il debito pubblico totale a fine 2021 ammontava a 62 mld USD.

Inoltre, nel 2011 e 2016 la compagnia petrolifera statale Petroecuador aveva firmato due contratti con Petrochina, società controllata dal colosso dell’oil&gas e petrolchimica cinese China National Petroleum Corporation, cui si era aggiunto un contratto con la società di trading dell’energia Unipec nel 2014. Tali contratti prevedono la vendita di buona parte della produzione petrolifera ecuadoriana, dal 2004 di circa mezzo milione di barili al giorno, alle controparti cinesi, in base a una formula prefissata, scontata rispetto alle quotazioni di Brent e WTI. A settembre 2022, dopo oltre quattro mesi di negoziazioni, Petroecuador ha rinegoziato i suoi due contratti con Petrochina, riducendo le consegne mensili di barili da 3,5 milioni a 1,5 ed estendendo il termine dell’accordo dal 2024 al 2027. In questo modo, se nel 2021 il 78% dei barili disponibili per l’esportazione andava a controparti cinesi, nell’ultimo trimestre del 2022 tale percentuale è destinata a scendere al 60%, e a calare poi progressivamente fino all’8% nel 2027. Ciò significa, soprattutto nella fase attuale di prezzi spot del petrolio sostenuti, più entrate per Petroecuador e, di riflesso, maggiori ingressi fiscali (le sole entrate petrolifere in Ecuador pesano per il 10% del Pil). Perché Petrochina ha accettato una rinegoziazione di questo tipo? Le ipotesi possono essere diverse, la più accreditata è quella di un cambio di strategia di Pechino verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo, ma potrebbe anche trattarsi di una mossa di più corto respiro, possibile nel momento in cui l’approvvigionamento petrolifero avviene a forte sconto grazie al greggio Urals proveniente dalla Russia, che permette di compensare i maggiori prezzi di altre forniture.

Il peso del default

Certo la ristrutturazione del debito verso controparti cinesi è un passo avanti molto importante per un Paese che solo due anni fa, nella primavera 2020, era precipitato negli abissi del selective default a causa di una crisi di liquidità che si era sommata agli effetti nefasti della pandemia, particolarmente violenta e precoce rispetto ad altri contesti dell’area. L’Ecuador era in parte riuscito a ripartire già dall’estate dello stesso anno, grazie alla ristrutturazione del debito verso i creditori internazionali e alla chiusura in autunno di un nuovo accordo Extended Fund Facility con il Fondo Monetario, in sostituzione di quello del 2019 precocemente deragliato. Ciò aveva segnato un nuovo corso e relazioni più intense con gli Stati Uniti e con le multilaterali regionali e globali, permettendo al Paese di non dover ricorrere a finanziamenti sui mercati internazionali. Tale opzione sarebbe stata - e continua a essere – però molto costosa, considerando la percezione del rischio comunque elevata verso un Paese che ha dichiarato tre volte default nell’ultimo ventennio (2000 , 2008 e appunto 2020). 

Molti rimangono comunque i nodi da sciogliere per la geografia andina. Se rispetto al calo del Pil del 7,8% nel 2020 la ripresa durante l’anno successivo è stata solo parziale (+4,2%), nel 2022 la crescita finale si attesterà intorno a un discreto 3%, aiutata in parte dai corsi del petrolio e da rimesse dall’estero giunte a livelli record (quasi 4% del Pil). Nonostante la dollarizzazione in questa fase protegga il Paese e l’inflazione, anche alimentare, rimanga a cifra singola rispetto a molti altri contesti regionali e globali, i benefici per la popolazione restano ancora purtroppo limitati.

Il pendolo andino

La navigazione di Lasso in questa legislatura, così come quella di Moreno nella passata, rimane tuttavia particolarmente complicata: la frammentazione parlamentare riflette infatti quella sociale e, non è esagerato, anche etnica del Paese, determinando grandi difficoltà nella formazione del consenso sia dentro l’Assemblea Nazionale che fuori.

Il movimento del presidente, Creando Oportunidades (CREO), ha infatti solo 12 seggi su 137 all’Assemblea Nazionale. Per ottenere il suo consenso sui principali provvedimenti il governo si basa quindi su maggioranze a “geometria variabile,” principalmente grazie all’appoggio degli indigeni di Pachakutik (PK) e del Partido Izquiderda Democratica (ID).

 

Giungono pertanto solo in parte a sorpresa le notizie su ricorrenti manifestazioni di protesta convocate dalla potente Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador (CONAIE) o dalle forze di sinistra di opposizione parlamentare ed extraparlamentare e non è da escludere che la situazione possa sfuggire di mano come accadde a ottobre del 2019 o, quantomeno, diventi sempre più difficile per i poteri pubblici riportare la situazione sotto controllo. Lo stesso Lasso cerca di sopravvivere politicamente tra un tentativo e di impeachmente l’altro. E anche la minaccia dellamuerte cruzada, cioè la facoltà che ha il Presidente ecuadoriano di dissolvere in un colpo solo i poteri rappresentativi dello Stato, della Presidenza e dell’Assemblea Nazionale, appare una pistola scarica in un momento in cui l’approvazione personale di Lasso è ai minimi termini. Tanto che nemmeno l’annuncio lo scorso 12 settembre di un referendum costituzionale su sicurezza, istituzioni democratiche e tematiche ambientali, programmato dal Presidente per inizio 2023, sembra abbia mutato il quadro.

Tra i Paesi della fascia andina, ovvero di quella regione dell’America Latina che si è dimostrata negli ultimi due decenni economicamente più dinamica, l’Ecuador rappresenta a tutt’oggi un’eccezione negativa per molti motivi: bassa crescita economica, instabilità politica e sociale, criminalità comune e organizzata (in netto aumento nel corso degli ultimi anni), posizionamento mutevole sullo scacchiere internazionale. Il governo Lasso vorrebbe che il Paese entrasse nell’Alleanza del Pacifico con Cile, Colombia, Perù e Messico ma la conclusione dell’accordo di libero scambio con quest’ultimo non è semplice, così come anche l’approdo ad accordi di libero scambio con la Cina e gli Stati Uniti è ben lontana. 

Saranno i prossimi mesi e anni a dire se l’Ecuador resterà uno degli emblemi di quel pendolo latino-americano che oscilla continuamente tra destra e sinistra, oppure riuscirà finalmente a trovare un suo centro di gravità.

Ti potrebbero interessare anche:

Fake news sulla moneta comune
Antonella Mori
ISPI e Università Bocconi
Una moneta comune per il Sudamerica?
Emiliano Guanella
CORRISPONDENTE DA SAN PAOLO (RSI - TV SVIZZERA E LA STAMPA) E ANALISTA POLITICO
Rivolte in Perù: lo Stato contro il popolo?
Perù: la marcia su Lima
Brasile: Lula dovrà convincere i fedeli evangelici
Federico Nastasi
Giornalista freelance
Podcast Globally: Brasile, le conseguenze dell'assalto alle istituzioni

Tags

Ecuador America Latina
Versione stampabile

AUTORI

Davide Serraino
SACE

Image Credit: Asamblea Nacional del Ecuador (CC BY-SA 2.0)

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157