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Daily Focus
Egitto, la morte del faraone Mubarak
25 febbraio 2020

Mubarak è stato il presidente che ha governato più a lungo l’Egitto. Spodestato dalla Primavera Araba, il suo trentennale governo ha garantito stabilità interna e crescita economica. Ma con la sua presidenza sono aumentate le disuguaglianze, la repressione interna e il peso politico ed economico dei militari e dei grandi imprenditori vicini al governo.

 

L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak è morto questa mattina al Cairo all'età di 91 anni. La sua carriera inizia nell’esercito – da sempre uno dei principali ascensori sociali dell’Egitto – scalando le gerarchie militari e diventando capo di stato maggiore dell'aeronautica nel 1972. Questa nomina gli consente di ottenere una grande popolarità nel 1973 durante la guerra dello Yom Kippur contro Israele. Due anni dopo Mubarak diventa vicepresidente e, dopo l’assassinio di Anwar al-Sadat, viene nominato presidente dell’Egitto. Questa la sua carica posizione fino al 2011, quando viene destituito dallo scoppio delle proteste in piazza Tahrir. Era l’inizio della Primavera Araba. Nel 2012 e 2013 viene condannato all’ergastolo con vari capi di accusa, tra cui omicidio e corruzione. La cassazione decide di annullare il processo principale nel 2014, Mubarak viene comunque condannato a 3 anni per sottrazione di fondi pubblici, pena che sconterà ai domiciliari, per via dei gravi problemi di salute. La sua vicenda processuale è stata criticata da diversi oppositori dell’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi a causa del trattamento di favore riservato a Mubarak, molto diverso rispetto a quello deciso dalle corti di giustizia nei confronti del suo successore Mohammed Morsi e di migliaia di egiziani che hanno criticato l’attuale sistema di potere. Quasi dieci anni dopo le rivolte di piazza Tahrir, i prigionieri politici egiziani sono spesso sottoposti a processi poco trasparenti e trattamenti degradanti all’interno delle carceri.

 

Chi era Mubarak?

La presidenza di Mubarak ha segnato in Egitto il definitivo abbandono del modello economico socialista di Gamal Abd el-Nasser. Un processo, questo, già iniziato con la presidenza di Anwar al-Sadat e portato avanti da Mubarak con una serie di misure di liberalizzazione economica accompagnate da interventi sociali di edilizia popolare e sussidi alimentari. Dal 1980 al 2010 l’economia egiziana è cresciuta velocemente, con una media del 5,2% . Eppure, l’Egitto di Mubarak non è mai riuscito a limitare l’aumento dell’inflazione (+11,78% di media), con un incremento dei prezzi al consumo ha avuto effetti pesantissimi sulla classe media del paese.

Dal punto di vista politico, i veri protagonisti della presidenza di Mubarak sono stati i militari: è aumentata a dismisura la loro influenza, quella delle aziende legate all’esercito, e di alcuni grandi imprenditori vicini al governo. Loro, più di tutti gli altri, hanno beneficiato più di altri dalle privatizzazioni e liberalizzazioni. Non a caso, l’altra cifra della lunga presidenza di Mubarak è stata forte repressione politica del dissenso, accompagnato dal tentativo di cooptare parte dei Fratelli Musulmani all’interno del sistema di potere. Il governo ha consentito ai Fratelli Musulmani di partecipare ad alcune elezioni parlamentari dal 1984 in poi, permettendo ad alcuni membri dell’organizzazione islamista di essere eletti in parlamento come candidati di altri partiti o da indipendenti. Allo stesso tempo, il governo è sempre intervenuto direttamente o indirettamente contro alcuni membri di questo gruppo quando riteneva che la loro influenza fosse troppo pericolosa per la stabilità interna.

 

Che ricordo ne avranno gli egiziani?

La memoria e il giudizio degli egiziani nei confronti di Mubarak non sono condivisi. I liberali, che vorrebbero un Egitto sul modello delle democrazie occidentali, ricordano Mubarak come il dittatore che ha represso ogni tentativo di cambiamento. Per i Fratelli Musulmani, che sostengono un modello basato sulla legge islamica in un contesto multipartitico, è il presidente che ha represso la loro organizzazione e non ha mai governato secondo i dettami della loro interpretazione dell’Islam politico. Per i nazionalisti, infine, è il presidente che ha garantito la stabilità e la crescita economica e ha governato il paese con la necessaria durezza e pragmatismo.

 

…e la comunità internazionale?

La politica estera di Mubarak è stata sostanzialmente in continuità con quella di Sadat. Mubarak ha mantenuto i rapporti di amicizia con i paesi occidentali in generale e gli Stati Uniti in particolare. In Medio Oriente, il presidente mantenne gli accordi con Israele, ma lo ha fatto distanziandosi simbolicamente da Sadat: nei 30 anni di governo Mubarak non ha mai visitato Tel-Aviv o Gerusalemme, non lesinando ostilità nei confronti di questo paese. Inoltre, Mubarak è riuscito ad ottenere che l’Egitto fosse ammesso di nuovo nella Lega Araba, che aveva espulso Il Cairo a seguito dell’accordo di pace tra Israele ed Egitto firmato da Sadat nel 1979. I rapporti positivi tra Egitto e buona parte dei paesi arabi, così come la relazione diplomatica con Tel-Aviv, hanno consentito a questo paese di ritagliarsi un ruolo di mediatore tra israeliani e Autorità Nazionale Palestinese, un ruolo che – forse meno efficacemente – il paese ambirebbe a svolgere ancora oggi. Infine, sotto la presidenza di Mubarak si sono rafforzati i rapporti tra Il Cairo e i paesi del Golfo, soprattutto grazie al supporto per l’azione contro regime iracheno di Saddam Hussein durante la prima guerra del Golfo.

 

Come è cambiato l’Egitto dopo di lui?

Le parole d’ordine dell’Egitto di Mubarak furono stabilità, sicurezza e crescita economica. E oggi, anche il governo di Abdel Fattah al-Sisi ne ha fatto le proprie priorità. La continuità è evidente in molti settori. Lo è nel modello economico, basato su grandi opere pubbliche, investimenti esteri ed edilizia: opere che come ai tempi di Mubarak sono ancora spesso affidate ai grandi gruppi imprenditoriali, anche stranieri, e alle aziende vicine ai militari. Continuità c’è però anche nella repressione del dissenso interno di qualsiasi tipo. Entrambi i governi hanno cercato di cooptare parte delle gerarchie copte per garantirsi il consenso del 10% di egiziani di religione cristiana. Un’iniziativa, questa, che ha avuto alterne vicende: ciò che è certo, però, è che oggi come ieri il governo egiziano giova la carta del “pericolo islamista” per ottenere il sostegno di questa fascia della popolazione. A differenza del passato invece, il governo di al-Sisi ha abbandonato qualsiasi tentativo di cooptare i Fratelli Musulmani. Per loro, è rimasta la repressione.

 

Il Commento

di Matteo Colombo, ISPI Associate Research Fellow

“La morte di Mubarak chiude simbolicamente una fase della storia egiziana. Ma l’ideologia e alcuni aspetti dell’azione di governo di Mubarak sono stati in parte mantenuti e sviluppati da al-Sisi. L’attuale presidente ha preservato le linee guida della politica economica di Mubarak, basata sugli investimenti esteri e sulle grandi opere, e ha confermato la collocazione internazionale dell’Egitto: paese amico degli stati del Golfo e degli Stati Uniti.

Anche il sistema su cui si basa il potere in Egitto è rimasto simile, con la differenza che i militari e le aziende legate all’esercito hanno rafforzato ancor di più la loro influenza politica ed economica. E poi c’è la repressione, sulla continuità delle due presidenze in questo gli oppositori politici egiziani non hanno dubbi.”

 

 

* * *

A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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