Come altri paesi della regione, anche l’Egitto è impegnato a far fronte all’improvvisa e dilagante diffusione pandemica del Covid-19, un’emergenza sanitaria che ha avuto un violento impatto sulle dinamiche interne e internazionali e le cui ricadute politiche, sociali e soprattutto economiche rischiano di far sprofondare il paese in un baratro dalla difficile risalita.
Quadro interno
Con 12.764 casi confermati e oltre 600 morti (al 19 maggio), stando ai dati ufficiali forniti dal governo, secondo il rapporto aggiornato Worldometers,[1] l’Egitto si candida a essere il paese nordafricano più colpito dalla pandemia di Covid-19. All’inizio di marzo, le autorità egiziane hanno rintracciato la presenza di un pericoloso focolaio collegato alle crociere sul Nilo, in particolare nella zona di Luxor, confermato dalla positività riscontrata in alcuni turisti che ritornavano dal paese: questi dati hanno fin da subito suggerito l’ipotesi che vi fossero molti più casi di quelli dichiarati dagli organi ufficiali. Davanti all’esplosione dell’emergenza, a metà marzo, il governo ha annunciato di aver stanziato un fondo da 6,4 miliardi di dollari per combattere il contagio, implementando contemporaneamente una serie di misure di contenimento contro la pandemia, come la chiusura delle scuole, delle università e dei ristoranti, il divieto di viaggiare, l’annullamento dei tour turistici e dei principali eventi sportivi, la riduzione del numero di dipendenti del settore pubblico insieme all’imposizione del coprifuoco notturno. Inoltre, il 21 marzo il ministero degli Affari Religiosi (Awqaf), insieme alla Chiesa copta ortodossa egiziana, ha annunciato la chiusura di moschee e chiese e la sospensione delle preghiere pubbliche per due settimane con l’obiettivo di limitare la diffusione del contagio tra i fedeli. Con l’inizio del mese del Ramadan a fine aprile il governo ha stabilito la riduzione delle ore del coprifuoco, pur sempre mantenendo alta la guardia sulle misure di contrasto alla diffusione: secondo un rapporto pubblicato dalle autorità sanitarie e di sicurezza del paese, infatti, l’Egitto non dovrebbe raggiungere il suo picco prima della terza settimana di maggio, che coinciderà con la fine del mese sacro musulmano.
Con un decreto presidenziale emesso martedì 28 aprile il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha, infine, deciso di prolungare lo stato di emergenza nazionale di altri tre mesi, affermando che le condizioni di salute e sicurezza nel paese nordafricano permangono di elevata pericolosità. L’ulteriore rinnovo, che avviene in maniera sistematica ormai dagli attentati del 10 aprile 2017 contro le chiese copte di Tanta e Alessandria, sembra non dare garanzia che queste misure eccezionali saranno revocate al termine della crisi sanitaria. Tanto più che il parlamento ha approvato alcuni emendamenti alla legge di emergenza che forniranno al presidente al-Sisi, nuovi poteri per controllare la diffusione dell’epidemia di coronavirus con il rischio che questi potrebbero presto confluire tra gli ordinari poteri in mano al ra’is. Tra questi ultimi, il potere di sospendere l’anno scolastico e universitario, di chiudere totalmente o parzialmente determinati ministeri, di rinviare, in maniera totale o parziale, il pagamento delle bollette per l’acqua, l’elettricità e il gas nonché il potere di obbligare gli espatriati egiziani a tornare a casa per sottoporsi alle necessarie misure di quarantena.[2]
Ad aggravare la situazione, secondo alcuni ricercatori, vi è per molti egiziani il sospetto che il governo stia cercando di sottostimare il numero reale di casi positivi: alla fine di febbraio, un gruppo di specialisti in malattie infettive dell’Università di Toronto aveva già lanciato l’allarme stimando la presenza di almeno 6.000 persone infette dall’epidemia,[3] studio poi pubblicato dalla rivista The Lancet Infectious Disease.[4] Il quadro cupo così delineato da tale studio ha provocato la dura reazione del ministero degli Interni e del servizio informazioni statale dell’Egitto che, tra il 15 e il 17 marzo, ha autorizzato l’arresto di alcune decine di egiziani con l’accusa di diffondere notizie pericolose per la sicurezza del paese.[5] Questa ulteriore presa di posizione del regime di al-Sisi contro la libertà di espressione farebbe presagire quello che già in altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente sta avvenendo, ossia un possibile uso strumentale della diffusione del Covid-19 per restringere ulteriormente gli spazi di dissenso in una regione già caratterizzata dalla presenza di regimi fortemente illiberali. Attraverso strategie di disinformazione e di propaganda attuate principalmente dai media di proprietà statale, con l’obiettivo di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica locale sulla crisi del paese, il governo ha iniziato a puntare il dito contro gli oppositori politici, in particolare i membri della Fratellanza musulmana messa al bando, rea di alimentare con notizie false la dissidenza contro il regime. A farne le spese, insieme agli attivisti islamici, sono anche in questo caso i giornalisti e gli attivisti della società civile ancor più duramente colpiti dalle iniziative messe in atto dal regime. Le stesse autorità egiziane hanno, infatti, minacciato di intraprendere un’azione legale contro un giornalista del TheGuardian e un reporter del TheNew York Times sempre con la medesima accusa di diffondere notizie ritenute pericolose dal regime.[6]
Sulla carta, sembra che l’Egitto stia seguendo le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) su come gestire la crisi e rallentare la diffusione del virus mostrando pubblicamente un elevato grado di controllo della situazione interna che ha persino portato il governo egiziano a inviare 1,5 milioni di maschere mediche in Italia a sostegno della catastrofica situazione scoppiata a fine febbraio. I recenti arresti hanno ulteriormente aumentato il numero già elevato (pari a 60.000) di oppositori politici e attivisti sociali che si trovano attualmente nelle prigioni sovraffollate in attesa di giudizio: secondo gli attivisti di Human Right Watch, la diffusione del contagio tra i prigionieri tenuti in cure mediche inadeguate e condizioni antigieniche è grave e rappresenta una minaccia allarmante.[7] Il 21 marzo le autorità egiziane hanno rilasciato alcuni attivisti e intellettuali, tra i quali Laila Soueif, professoressa dell’Università del Cairo e madre del noto attivista Alaa Abdel Fattah[8] ancora in carcere, la scrittrice Ahdaf Soueif e Rabab al-Mahdi,[9] professore dell’Università americana del Cairo, che hanno organizzato una protesta pubblica richiedendo che i prigionieri fossero messi in libertà.[10]
Tuttavia, questa non è l’unica preoccupazione: la diffusione del Covid-19 potrebbe portare al collasso le strutture sanitarie del paese, per lo più molto deficitarie, soprattutto alla luce dell’incessante crescita demografica che ha ormai superato la barriera dei 100 milioni di abitanti, dove il 95% di essi vive su circa il 5% di territorio. Tali numeri renderebbero la possibilità di applicare il distanziamento sociale una sfida difficilmente sostenibile.[11] Il 2 aprile la Banca mondiale ha annunciato lo stanziamento di un piano di finanziamenti da 7,9 milioni di dollari a sostegno del governo egiziano per fronteggiare l’emergenza del coronavirus con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’assistenza medica primaria e secondaria, in particolare davanti agli investimenti insufficienti che hanno lasciato il settore della sanità pubblica dipendente dalle donazioni pubbliche.[12]
Davanti all’attuale inasprimento delle pratiche autoritarie, gli investimenti nel settore della sanità sarebbero una variabile fondamentale anche per impedire ricadute sociali ed economiche importanti per l’intero sistema nazionale. In una situazione caratterizzata da una vivace ripresa economica, seppur lenta, che si sarebbe dovuta mantenere costante per tutto il periodo 2020-2024 (media del 5,6% annuo[13]) insieme all’introduzione di una serie di misure di compensazione sociale (aumento dei salari pubblici e delle pensioni) e di politiche volte a migliorare il settore delle infrastrutture e a riformare il settore della sanità e dell’istruzione,[14] la diffusione del Covid-19 sembrerebbe in grado di trascinare nuovamente l’Egitto in una profonda crisi finanziaria. Il paese non è certo immune dalle tendenze recessive causate dall’improvviso arresto delle catene di approvvigionamento e dal forte calo della domanda, a livello nazionale e globale, derivante dalla rapida diffusione del virus. Tale situazione potrebbe influenzare negativamente le industrie che dipendono dagli input cinesi e da altri mercati esteri, condizionando così i livelli di produzione sia per il mercato interno sia per le esportazioni, nonché i ricavi del Canale di Suez, che ha raggiunto 5,8 miliardi di dollari nel 2019. Altresì impattante per l’Egitto potrebbe essere la difficile condizione economica vissuta dai paesi del Golfo, anch’essi chiamati a far fronte alle ricadute del Covid-19, dato il calo della domanda di petrolio con la conseguente forte contrazione dei prezzi derivante dalla disputa Russia-Arabia Saudita: ciò comporterà un inasprimento delle politiche economiche negli stati del Golfo che potrebbero avere pesanti ricadute sui tagli ai salari e sul licenziamento dei lavoratori immigrati, il che a sua volta influenzerà gli introiti derivanti dalle rimesse, voce importante per il budget governativo. Oltre a ciò, i riflessi negativi potrebbero toccare anche il volume degli investimenti e degli aiuti economici, commerciali ed energetici delle monarchie arabo-sunnite all’Egitto.
Il calo dell’attività economica è ancora più evidente in un paese che ha adottato misure di risanamento di bilancio e ha aumentato la spesa pubblica per i principali progetti infrastrutturali attualmente in corso. Queste politiche hanno funzionato mentre l’economia era forte, ma adesso il governo si trova nella condizione di dover varare un pacchetto di misure per promuovere il settore privato che rientrano all’interno degli emendamenti alla legge di emergenza approvata in questi giorni in parlamento. A tal proposito, lo scorso 15 marzo, la Banca centrale egiziana ha adottato misure preventive volte a garantire la sicurezza e la stabilità del settore bancario attraverso la riduzione del tasso d’interesse del 3%, la promozione dei pagamenti salariali, per i dipendenti regolari licenziati, tramite un fondo di emergenza, un’iniezione di 1,27 miliardi di dollari per sostenere il mercato azionario.[15] Oltre ai sussidi arrivati dalla Banca mondiale per il settore sanitario, il primo ministro Mostafa Madbouli ha dichiarato che il governo si è rivolto nuovamente al Fondo monetario internazionale per richiedere un pacchetto di aiuti, che secondo alcuni economisti dovrebbe ammontare a tre o quattro miliardi di dollari, indirizzato soprattutto al settore turistico. Un comparto, questo, dal quale l’economia egiziana dipende fortemente soprattutto in fase di avvio della stagione e che di certo risentirà in maniera pesante delle conseguenze della pandemia: sebbene sia troppo presto per ipotizzare dei dati, gli economisti stimano che le perdite potrebbero raggiungere 1 miliardo di dollari soprattutto se le misure di contenimento rimarranno a lungo in vigore,[16] aggravando la situazione occupazionale del paese già abbastanza negativa.
Il lockdown imposto e la drastica contrazione del settore turistico potrebbero riportare alla luce le proteste sociali: la diffusa povertà e la persistente diseguaglianza sociale (il 32,5% della popolazione vive al di sotto del livello di povertà secondo le statistiche riportate dal Central Agency for Public Mobilization and Statistics – Capmas per il 2017-2018[17]). Il rischio concreto è quello di ritornare a una pericolosa fase di instabilità con il manifestarsi ricorrente di periodiche proteste e rivolte come le ultime del settembre 2019.[18] La mancanza di trasparenza mostrata dal regime e l’aumento delle modalità repressive e autoritarie potrebbero mettere a nudo le fragilità del sistema egiziano, dall’impreparazione evidente delle istituzioni nel gestire l’emergenza al timore che possibili proteste per il peggioramento delle condizioni economiche possano mettere in discussione la legittimità stessa del potere.
Relazioni esterne
Anche il fronte internazionale egiziano si trova fortemente condizionato dalle dinamiche politiche legate al Covid-19. Ciononostante il paese nordafricano è riuscito a ritagliarsi un suo spazio d’azione sul piano esterno grazie agli aiuti medico-sanitari forniti a paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Italia, ai quali è stata donata tutta una serie di forniture atte a debellare la minaccia epidemiologica rappresentata dal virus. Nella fattispecie, Il Cairo ha donato a Washington, Pechino, Roma e Londra mascherine e materiali sanitari chimici prodotti nel paese. Di egual misura è stato l’invio di altro materiale sanitario nella Striscia di Gaza e in Libia.[19] Proprio il tema degli aiuti medico-sanitari ha creato numerose polemiche. È facile supporre che alla base della scelta egiziana vi fosse l’intenzione di non pregiudicare la propria immagine internazionale, ricorrendo all’uso della public diplomacy – legata nello specifico al ruolo assunto dalle donazioni di materiale sanitario – per consolidare le relazioni internazionali del paese e rilanciare altre questioni di carattere securitario o di cooperazione bilaterale proprio con i destinatari degli aiuti.[20] Se i materiali medici diretti in Libia, e per la precisione in Cirenaica, si spiegano con la scelta egiziana di saldare il legame politico e militare con il generale Khalifa Haftar, specie dopo le tensioni ufficiose seguite all’indomani della Conferenza di Berlino sulla Libia,[21] gli aiuti destinati a Gaza rispondono a una duplice motivazione di sicurezza. Da un lato, Il Cairo, infatti, punta a evitare una possibile escalation di violenze tra Hamas e Israele, che potrebbe addirittura condurre a un nuovo conflitto, soprattutto dopo che il leader dell’organizzazione islamista, Yahya Sinwar, aveva messo in guardia Tel Aviv dall’impedire l’accesso di beni e forniture sanitarie essenziali per combattere la diffusione del coronavirus nella Striscia. Dall’altro lato, l’Egitto ha inviato aiuti, medici e prodotti alimentari a Gaza per assistere Hamas nella gestione della pandemia e mitigare la rabbia popolare. È quindi evidente che l’intervento egiziano miri a impedire sia la possibile diffusione del virus entro in confini egiziani attraverso il passaggio di Rafah, unico collegamento terrestre, oltre i tunnel sotterranei che uniscono il Sinai egiziano all’enclave gazawi, sia l’ingresso e l’uscita di beni e materiali lungo la direttrice da e per Egitto-Striscia di Gaza.[22]
Di diverso tenore e valore sono gli aiuti egiziani nei confronti di Londra e Roma. Anche in questo caso le donazioni trovano una giustificazione nelle trattative bilaterali portate avanti dal Cairo sull’attrazione di investimenti diretti esteri (in particolare nell’energia, dove British Petroleum ed Eni svolgono un ruolo molto importante) e sull’acquisto di armamenti tecnologici. Proprio quest’ultimo punto è ancora oggi un tema cruciale al centro delle discussioni tra Egitto e Italia, dove le parti dibattono di un contratto di fornitura militare da 9 miliardi di dollari, incentrato sull’acquisto da parte egiziana di due fregate Fremm (altre quattro sarebbero ancora oggetto di trattative) e, secondo alcuni organi di stampa italiani e arabi, anche di pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, oltre ad aerei da addestramento Macchi M-346. Un’iniziativa che ha tuttavia lasciato numerosi strascichi, soprattutto nell’opinione pubblica italiana, ancora fortemente influenzata dalle tensioni, mai sopite, prodotte dall’irrisolto caso di Giulio Regeni, ucciso nel 2016 al Cairo in circostanze non ancora del tutto chiarite, e dall’arresto a febbraio 2020 dello studente-attivista egiziano, che frequentava un master presso l’Università di Bologna, Patrick George Zaky.[23]
Sebbene quindi il tema Covid-19 e i suoi riflessi anche geopolitici abbiano una certa centralità nel discorso politico egiziano, vi sono tre questioni tra loro fortemente interconnesse che hanno mantenuto, tuttavia, un’alta attenzione nelle prospettive di politica estera del Cairo. Essi riguardano gli ultimi sviluppi in Libia, le tensioni sulla questione della diga del Rinascimento sul Nilo Azzurro da parte etiope e il ruolo del Sudan. Se in tutti e tre i fronti il minimo comune denominatore rimane il sostanziale mantenimento delle alleanze e degli equilibri favorevoli all’azione politica egiziana nel suo vicinato strategico, esso si manifesta nella fattispecie nel contenimento turco e di tutti i suoi spillover transregionali. Un attivismo turco percepito negativamente dall’Egitto e palese in maniera più o meno evidente nel quadrante geo-strategico del Mediterraneo orientale e del Mar Rosso. L’azione turca è manifesta in Libia, più circoscritta in Sudan (specie prima della transizione del 2019) e più in generale nel Mar Rosso, dove Ankara ha costruito negli anni una penetrazione politica, commerciale e di sicurezza che punta a definire una sua presenza stabile in un contesto molto sensibile agli interessi egiziani e quindi pregiudizievole di entrare in diretta competizione con la politica estera del Cairo.[24]
In Libia l’Egitto segue sempre con molta attenzione l’evoluzione delle dinamiche interne, specie dopo le recenti perdite territoriali subite nell’ovest del paese (in sostanza l’area che da Sabratha e Zawya va fino al confine tunisino) dalle milizie locali vicine ad Haftar – le quali hanno contribuito all’annuncio a sorpresa del generale libico sul suo prossimo ruolo di leader della Cirenaica. Secondo indiscrezioni di stampa egiziana e turca, il governo cairota, con il contributo fondamentale degli Emirati Arabi Uniti che forniranno i mezzi necessari alla missione, ha istituito una forza speciale di comando navale che lavorerà con i militanti libici fedeli ad Haftar per rompere la linea di rifornimenti marittima di Ankara al Governo di accordo nazionale (Gna) e alle milizie sue alleate in Tripolitania. La creazione e l’addestramento di questo commando navale avverrà sotto direttiva egiziana e dovrebbe fermare in acque libiche le navi turche dirette verso Tripoli.[25] Oltre a definire un nuovo capitolo nella competizione intra-regionale nel Mediterraneo orientale e, nello specifico, nel contrasto egiziano agli interessi turchi nell’area, tale iniziativa si inserisce in un contesto ben più articolato che vede l’Egitto in prima linea nel proporsi come attore di sicurezza indispensabile nello scacchiere del Medio Oriente allargato, puntando a definire, in primis, una strategia che rafforzi il suo potere marittimo nel Mediterraneo e nel Mar Rosso. Per ottenere ciò per l’Egitto è importante anche stabilire un fronte politico e di sicurezza arabo contro la Turchia operante in tutto l’arco di crisi che va dalla Siria alla Libia, passando per il Mar Rosso.[26]
Non meno rilevanti, infine, sono gli sviluppi che coinvolgono l’Egitto in Africa orientale e nel Mar Rosso, aree deputate a essere di rinnovata rilevanza strategica nella visione di politica estera del paese nordafricano. A dominare tale scenario sono due questioni strettamente legate: da un lato, le grandi manovre degli attori intra- e trans-regionali attivi nel Grande Corno d’Africa (Ghoa), dall’altro la tensione tra Egitto ed Etiopia sulla gestione delle acque del Nilo che è entrata in una nuova fase dopo la mancata firma dell’accordo di Washington (14 febbraio). In entrambi i casi, il Sudan gioca un ruolo molto importante, tradizionalmente a supporto dell’Egitto, ma gli sviluppi degli ultimi anni hanno portato Khartoum a ricercare una nuova postura da battitore libero che non fosse schiacciata troppo sulle prerogative dell’egemone di turno, egiziano o etiope. Proprio questo punto ha creato numerose preoccupazioni in Egitto, che ha seguito da vicino gli sviluppi politici del Sudan, temendo che una trasformazione nel suo “cortile di casa” potesse interrompere i propri interessi economici, strategici e di sicurezza.[27] Una condizione divenuta palese sin dalle rivolte in Sudan del 2019.
In questo senso, il rifiuto da parte del governo di transizione sudanese di firmare la risoluzione di condanna contro l’Etiopia per la costruzione della diga sul Nilo e approvata il 5 marzo scorso da parte dei membri della Lega araba, potrebbe rappresentare una nuova fase nelle relazioni tra Egitto e Sudan. Se l’iniziativa di Khartoum punta a evitare l’internazionalizzazione della crisi, per lasciare ai diretti interessati la gestione del dossier e non veder nuociuti i propri interessi primari tra Africa e mondo arabo, allo stesso tempo, e in continuità con il precedente governo, l’esecutivo sudanese punta a sfruttare i vuoti di potere o i ventagli di crisi per definire nuovi spazi operativi, come è avvenuto nel recente passato con Turchia e Qatar in funzione anti-saudita ed egiziana. Nel tentativo di ricucire lo strappo e impedire il dilagare di nuove tensioni, il primo ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, ha affermato che visiterà presto Egitto ed Etiopia, sebbene le date non siano state ufficializzate, per riaprire i negoziati sulla Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd).[28] Dal 2013 il Sudan ha dato il suo via libera al progetto etiope di costruzione della diga del millennio, quest’ultimo iniziato nel 2011. Grazie alla diga, Addis Abeba potrebbe generare grandi quantità di elettricità utili a soddisfare l’alta domanda interna di energia, andando soprattutto a danno dell’Egitto, che detiene circa il 75% dei consumi idrici derivanti dall’uso delle acque del Nilo e dei suoi affluenti, e del Sudan, che controlla il 25% delle quote previste.
Il quadro delle trattative è reso ancor più complesso dall’esistenza di due trattati stipulati dal Cairo con Londra (1929 e 1959), che regolano la gestione delle acque del Nilo e dei suoi affluenti, decretando appunto quote di uso e consumo dei volumi idrici del grande fiume africano. Nello specifico, la costruzione della diga coinvolge uno degli affluenti principali del fiume, il Nilo Azzurro, che ha origine dall’Altopiano Etiopico, presso il lago Tana. Per effetto dei trattati, Il Cairo non ha bisogno del consenso degli altri stati della Blue Basin Initiative (ossia i paesi che condividono il bacino idrografico con Etiopia, Sudan ed Egitto, ossia Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Kenya, Uganda) per intraprendere progetti idrici nei propri territori, mentre può porre il veto a qualsiasi iniziativa di altri paesi riguardante la gestione delle acque degli affluenti del Nilo. L’Egitto si oppone strenuamente e ha lanciato un’offensiva diplomatica per sensibilizzare alleati (su tutti Stati Uniti, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), organizzazioni regionali (Lega araba e Unione africana) e internazionali (Banca mondiale) a sostenere la sua causa. Se la portata del Nilo dovesse scendere, anche rapidamente, l’Egitto dovrebbe far fronte a una situazione di emergenza che metterebbe a repentaglio non solo l’agricoltura ma tutto il sistema-paese. Quindi, per l’Egitto, ancor più che per il Sudan, il Nilo ha anche un cruciale valore economico.[29] In questa prospettiva, quanto sta accadendo tra Egitto, Sudan ed Etiopia potrebbe definire nuovi equilibri e alleanze in Africa e nella stessa area Mena.
Alla luce di ciò devono essere seguite con molta attenzione le mosse egiziane in Africa orientale. Infatti, tali iniziative puntano a creare un fronte anti-turco[30] e iraniano – e quindi pro-arabo in generale – nel Grande Medio Oriente e nelle sue periferie immediate, ma allo stesso tempo queste azioni mirano a prevenire conflitti o a impedire escalation in Sudan (sostenendo il processo di pace in Sud Sudan[31]) e in Etiopia (accordo con l’Eritrea volto a stabilire una base navale egiziana sull’isola di Nora, nel Mar Rosso[32]) nell’intento dichiarato di salvaguardare l’interesso strategico cairota nell’area.
[1] Worldometers, Covid-19 coronavirus pandemic.
[2] “Coronavirus: Egypt parliament to discuss bill to give Sisi extensive powers”, Middle East Eye, 9 aprile 2020.
[3] R. Michaelson, “Egypt: rate of coronavirus cases ‘likely to be higher than figures suggest’”, The Guardian, 15 marzo 2020.
[4] A.R. Tuite et al., “Estimation of the COVID-19 burden in Egypt through exported case detection”, The Lancet Infectious Disease, 26 marzo 2020.
[5] “Coronavirus: One of the strangest reasons for detention in Egypt”, Egypt Watch, 15 March 2020.
[6] “Egypt targets Guardian, NYT journalists over coronavirus reports”, Al Jazeera, 18 March 2020.
[7] A. Magdi, “Coronavirus: Egypt’s Prisons Could Spare Disaster with Conditional Releases”, Middle East Eye, 16 March 2020.
[8] Uno dei volti più noti tra gli attivisti della rivolta egiziana del 2011, Alaa Abdel Fattah, aveva terminato a marzo del 2019 di scontare una condanna a cinque anni di detenzione per avere protestato contro una legge del 2013 che vietava le manifestazioni pubbliche. Scarcerato e posto in libertà vigilata, è stato ricondotto in carcere, dove si trova tuttora, a seguito delle proteste del settembre del 2019.
[9] “Egypt arrests activists demanding prisoners are freed amid virus”, al Jazeera, 19 marzo 2020.
[10] “Egypt: Four Arrested Over COVID-19 Protest”, Human Rights Watch, 20 marzo 2020.
[11] K. Mezran, A. Melcangi, E. Burchfield, e Z. Riboua, “The coronavirus crisis highlights the unique challenges of North African countries”, Atlantic Council, 30 marzo 2020.
[12] A. Ismail e A. Lewis, “Egypt’s health sector races to scale up coronavirus readiness”, Reuters, 1 aprile 2020.
[13] The World Bank, “Egypt’s Economic Update October 2019”, 9 ottobre 2019.
[14] The World Bank, “Egypt. Overview”, 1 ottobre 2019.
[15] Y. Elnaggar, “What does COVID-19 mean for Egypt’s economy?”, Middle East Institute, 26 marzo 2020.
[16] M.A. Farouk, “Coronavirus cripples Egypt’s tourism industry”, Al Monitor, 18 marzo 2020.
[17] CAPMAS, Income & Expenditure Search Bulletin Date, luglio 2019.
[18] A. Melcangi, “Egitto: perché si protesta contro al-Sisi”, Commentary, ISPI, 30 novembre 2019.
[19] “British Min. thanks Egypt for medical gowns en route to UK amid Covid-19 battle”, Egypt Today, 14 aprile2020.
[20] Si vedano: “Egypt sends medical gowns to UK as its own doctors reel from shortages”, Middle East Monitor, 14 aprile 2020; “In role reversal, Egypt sends virus aid to US”, Al Monitor, 22 aprile 2020.
[21] G. Dentice, “Libia: un test per le ambizioni geopolitiche dell’Egitto”, in E. Dacrema (a cura di), La Libia dopo la Conferenza di Berlino: What’s next?, ISPI Dossier, ISPI, 31 marzo 2020.
[22] M. Ayesh, “Arabic press review: Egypt mediates to avoid escalation between Gaza and Israel”, Middle East Eye, 6 aprile 2020.
[23] F. Sforza e G. Stabile, “Navi da guerra, elicotteri e caccia: Italia-Egitto, affari per 9 miliardi”, La Stampa, 11 febbraio 2020.
[24] K. Al-Anani, “Egypt-Turkey Strained Relations: Implications for Regional Security”, Arab Washington Center, 18 marzo 2020.
[25] “Egypt forms navy commando force to attack Turkish ships off Libya”, The New Arab, 9 aprile 2020.
[26] “Egypt seeks to establish Arab security front against Turkey”, Middle East Monitor, 2 marzo 2020.
[27] Per approfondire il ruolo e il valore delle relazioni critiche tra Egitto e Sudan, si veda: J. Fenton-Harvey, “The Critical Importance of Sudan’s Political Future to Egypt”, Inside Arabia, 17 gennaio 2020.
[28] Si vedano: “Etiopia-Egitto-Sudan: Nilo, l’intesa salta”, Africa Rivista, 14 febbraio 2020; S. Amin, “Egypt alarmed over Sudan’s siding with Ethiopia in Nile water dispute”, Al Monitor, 13 marzo 2020.
[29] T. von Lossow, L. Miehe e S. Roll, “Nile Conflict: Compensation Rather Than Mediation. How Europeans Can Lead an Alternative Way Forward”, SWP Comment, Stiftung Wissenschaft und Politik/German Institute for International and Security Affairs (SWP), 11 marzo 2020.
[30] Ankara possiede la sua più grande base militare d’oltremare a Mogadiscio in Somalia e si è altresì assicurata la gestione del porto sudanese di Suakin, nel Mar Rosso, nel 2018.
[31] “South Sudan’s Kiir hails Egypt’s efforts to support his country’s stability”, Ahramonline, 25 marzo 2020. Se storicamente l’Egitto ha sempre appoggiato strumentalmente le prerogative dei cristiani in Sudan in funzione anti-sudanese, la mossa cairota di queste settimane mira soprattutto a garantirsi un controllo quanto più diretto sul Nilo e a impedire tentativi sudanesi ed etiopi di utilizzare le sue acque.
[32] Si ritiene che l’Egitto abbia già un contingente a Sawa, in Eritrea, stazionato in una base araba affidata all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti per un periodo di 30 anni. Per maggiori approfondimenti, si veda: S. Khan, “As it moves closer to Eritrea, Egypt eyes military base on Nora island”, The Arab Weekly, 15 marzo 2020, p. 12.