La guerra russo-ucraina e il suo impatto sull’economia globale stanno già avendo profonde ripercussioni sull’Egitto, amplificandone la vulnerabilità economica e riflettendosi sulla politica interna e sul posizionamento internazionale del Paese.
Sullo sfondo di un’inflazione record (10,5% nel mese di marzo, in crescita rispetto all’8,8% di febbraio e al 7,3% di gennaio), le autorità hanno alzato i tassi di interesse e svalutato il tasso di cambio di circa il 16%. Nell’ultimo mese, per mantenere la stabilità dei prezzi, le riserve valutarie sono diminuite di quasi 4 miliardi di dollari. La Banca Mondiale, per l’anno in corso, prevede un aumento del 6% del deficit delle partite correnti. La crisi attuale si innesta inoltre su difficoltà strutturali e su una ripresa post-pandemica che, seppure meglio avviata rispetto ad altri Paesi del Nord Africa, risulta ancora incompleta.
Sono tre i settori che subiranno le maggiori ripercussioni dello shock scatenato dalla guerra russo-ucraina: quello energetico, alimentare e quello dell’industria turistica.
Petrolio e gas naturale
L’Egitto risente negativamente dell’impatto degli alti prezzi del petrolio, che all’indomani dello scoppio del conflitto hanno raggiunto i livelli più alti degli ultimi 14 anni, fino a 139 dollari al barile. Nel 2021, il Paese ha importato circa 127 mila barili di greggio al giorno e ne ha esportati circa 98 mila (principalmente verso l’India, la Cina e alcuni Paesi europei).
Oltre ai maggiori costi di importazione, l’aumento dei prezzi del greggio ha un impatto diretto sulle finanze dello stato, perché i carburanti sono ancora sovvenzionati e i prezzi sono definiti dal governo. Nonostante per il quinto trimestre consecutivo i prezzi di tutti e tre i tipi di benzina siano stati aumentati di 25 piastre per litro, questo intervento, limitato, non contribuirà a contrastare in modo significativo le ripercussioni sul bilancio degli alti prezzi del greggio.
Tuttavia, la crisi energetica, incidendo ulteriormente sugli aumenti del prezzo del gas naturale e rilanciando la strategia europea di diversificazione delle fonti di approvvigionamento per ridurre la dipendenza dalla Russia, rappresenta anche un’opportunità per aumentare le esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl).
Il Paese, infatti, dispone di due impianti di liquefazione, a Idku e Damietta. Quest’ultimo ha ripreso le attività nel febbraio 2021, dopo un fermo quasi decennale. L’Egitto aveva dovuto abbandonare temporaneamente lo status di esportatore netto di gas naturale a causa della domanda crescente e della produzione stagnante e, a metà dello scorso decennio, aveva cominciato a importare gas. La situazione si è poi riequilibrata negli ultimi anni, a seguito delle scoperte di nuovi giacimenti nel Mediterraneo orientale.
Nel 2021 il Paese ha esportato circa 6,8 milioni di tonnellate di Gnl (il 31% di queste destinate all’Europa), quadruplicando i volumi rispetto al 2020. Recentemente, il gruppo italiano Eni e l’egiziana Egas hanno sottoscritto un accordo quadro per la massimizzazione della produzione di gas e delle esportazioni di Gnl verso l’Italia e l’Europa, per volumi complessivi fino a 3 miliardi di metri cubi nel 2022.
Bisogna sottolineare inoltre che l’Egitto è l’unico Paese dell’area a disporre di infrastrutture di liquefazione con un’ampia capacità inutilizzata. Il Paese si candida quindi a diventare un hub per l’esportazione del surplus di gas prodotto da Paesi vicini come Israele e Cipro.
L’aumento delle esportazioni di gas egiziano rimane comunque limitato dall’alta domanda domestica (il consumo interno assorbe oltre il 90% della produzione) e dalla produttività dei nuovi giacimenti, che è stata inferiore alle aspettative.
Oltre che per le esportazioni di gas naturale, la crisi attuale potrebbe dare ulteriore slancio alla strategia nazionale per lo sviluppo dell’industria delle energie rinnovabili e dell’idrogeno verde, nell’ottica di trasformare l’Egitto in un hub regionale per l’esportazione di energia pulita.
Per concludere la panoramica sull’impatto del conflitto sul settore energetico egiziano bisognerà infine valutare l’impatto che il conflitto e le sanzioni internazionali contro la Russia avranno sulla costruzione della centrale nucleare di Dabaa, la prima nel Paese, frutto della collaborazione con la russa Rosatom.
Prezzo del grano e insicurezza alimentare
L’Egitto è il primo importatore al mondo di grano e circa l’80% del suo fabbisogno proviene dalla Russia e dall’Ucraina. Il paese risente quindi particolarmente dell’inflazione alimentare rafforzata dalla chiusura dei porti ucraini e dallo stato di guerra nel Mar Nero. Il prezzo del pane è sovvenzionato dallo Stato (è rimasto lo stesso dal 1988) e il programma dei sussidi coinvolge fino a 83 milioni di cittadini. Il Paese investe circa 2,9 miliardi di dollari l’anno per il mantenimento di queste sovvenzioni e si teme che l’aumento dei prezzi possa comportare una spesa aggiuntiva di quasi 760 milioni di dollari.
Questo ulteriore aggravio al bilancio dello Stato si rende indispensabile vista l’alta sensibilità politica che il prezzo del pane ricopre nella società egiziana. Dai “moti del pane” nel 1977, alla crisi alimentare mondiale del 2007-2008, alle rivolte del 2011, variazioni del prezzo di questa commodity essenziale per un Paese in cui circa un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà, rischiano di sfociare in proteste di piazza e mobilitazioni di massa. Fenomeni che il governo cerca di prevenire con una politica di controllo dei prezzi (è stato stabilito un prezzo massimo per il pane non sovvenzionato e sono stati rafforzati i controlli contro le speculazioni), con la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di grano (ai 16 Paesi già autorizzati dalla General Authority For Supply Commodities si è recentemente aggiunta l’India) e con l’incremento della produzione locale (tramite un aumento delle aree coltivabili a grano, della produttività per ettaro e con incentivi agli agricoltori locali).
Il settore turistico
Il settore turistico egiziano sta già subendo il riverbero del conflitto in Ucraina. Quella turistica è una delle industrie più importanti del Paese: nel 2018 costituiva circa il 15% del Pil, impiegando il 9,5% della forza lavoro. Circa un terzo dei turisti arrivati nel Paese nel 2021 provenivano da Russia e Ucraina. Si temono quindi pesantissime ripercussioni sociali nel caso di interruzione del flusso. Proprio ad agosto 2021 erano ripresi i voli diretti fra la Russia e le città egiziane del Mar Rosso, per la prima volta dopo l’attentato sul volo Metrojet 9268 dell’ottobre 2015 sui cieli della penisola del Sinai. Ma l’inizio del conflitto ha avuto un immediato impatto in termini di tasso di occupazione alberghiera nelle principali città della regione, Sharm-el-Sheik e Hurghada. Fra l’altro, all’indomani dello scoppio delle ostilità, decine di migliaia di turisti di entrambi i Paesi sono rimasti bloccati nei resort egiziani.
Dal momento che il crollo del rublo e l’impatto delle sanzioni internazionali avranno probabilmente un impatto di lungo periodo sui flussi dalla Russia (nonostante proprio negli ultimi giorni oltre 300 turisti russi siano arrivati a Hurghada), gli operatori turistici locali hanno cominciato a puntare sui turisti arabi, israeliani e su un rafforzamento delle presenze dal Sud America e dal Sud-Est asiatico.
Mitigare la crisi, garantire stabilità al Paese
La crisi in corso è destinata ad avere un impatto nel lungo periodo. Oltre alla non prevedibile durata del conflitto, i riflessi sui prezzi dell’energia, del cibo e sul settore turistico, si protrarranno nel tempo. Secondo la Banca Mondiale, i prezzi delle commodities dovrebbero rimanere elevati almeno fino al 2024. Nelle scorse settimane il governo ha annunciato un piano del valore di circa 7 miliardi di dollari che prevede, fra i vari provvedimenti, aumenti degli stipendi nel settore pubblico e delle pensioni, nonché misure fiscali.
Già dalla fine dello scorso anno il Paese aveva cercato di “ottimizzare” alcune delle leve economiche di cui dispone. Il Canale di Suez, ad esempio, fonte chiave di valuta estera, rappresenta una risorsa cruciale: l’autorità di gestione ha recentemente annunciato un ulteriore aumento dei costi di transito.
Alleviare i riflessi della crisi ucraina sull’economia egiziana passa anche attraverso il sostegno di partner regionali e di organizzazioni finanziarie internazionali. Nel mese di marzo è stato annunciato l’avvio di discussioni per un supporto da parte del FMI. Non è la prima volta che il Paese si rivolge al Fondo, dopo lo stanziamento del 2016 ne erano seguiti due nel 2020, dell’importo rispettivo di 2,7 e 5,2 miliardi di dollari. Insieme all’Argentina, il Paese è uno dei principali debitori del fondo a livello mondiale.
Evitare che le ripercussioni economiche si riflettano sul piano politico e quindi sulla stabilità è una priorità dei principali partner del Paese, sebbene il forte controllo del regime e la repressione riducano la probabilità di mobilitazioni di massa e di pubbliche manifestazioni di dissenso.
Nel mese di marzo, il fondo sovrano Abu Dhabi Developmental Holding ha annunciato la volontà di investire 2 miliardi di dollari tramite l’acquisizione di quote di compagnie statali; la Qatar Investment Authority investirà altri 5 miliardi; 15 miliardi arriveranno infine dall’Arabia Saudita. In totale i Paesi del Golfo promettono investimenti o depositi per circa 22 miliardi di dollari. Sebbene su scala nettamente inferiore, l’Unione Europea ha invece dedicato all’Egitto la fetta più ampia, circa 100 milioni di euro, della sua “Food and Resilience Facility initiative” a sostegno della sicurezza alimentare.
Un delicato equilibrio diplomatico
La vulnerabilità economica del Paese si è riflessa anche sul piano diplomatico. Il conflitto in corso pone l’Egitto in una posizione delicata, di fronte a un continuo negoziato fra la necessità di mitigare le ripercussioni politiche ed economiche dell’invasione russa e il mantenimento dei fondamentali della sua politica estera.
Le relazioni fra il Cairo e Mosca sono eccellenti. Nel 2018 i due Stati hanno firmato un accordo di cooperazione strategica che copre le sfere militare, di sicurezza, commerciale ed economica. Nel 2019, il commercio bilaterale ha raggiunto i 6,2 miliardi di dollari e l’Egitto si è imposto come uno dei primi partner commerciali della Russia nell’intera regione MENA.
Negli ultimi anni il rafforzamento della cooperazione con la Russia ha coinciso con il progressivo raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti, nonostante il Cairo sia un alleato chiave di Washington nell’area. L’Egitto è uno dei principali destinatari dell'asistenza estera americana. All’inizio di marzo, gli ambasciatori dei Paesi del G7 al Cairo hanno chiesto e ottenuto dal governo egiziano un voto a sostegno della risoluzione ONU a condanna dell’invasione russa. Questa decisione non sembra aver minato la relazione con Mosca: pochi giorni dopo, Putin e al Sisi hanno ribadito la forza della relazione bilaterale durante una conversazione telefonica.
Il Paese si muove quindi su un delicato equilibrio fra Mosca e Washington, in un anno che vedrà il Paese particolarmente esposto sul piano internazionale, anche in vista della prossima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP27), prevista a Sharm-El-Sheik il prossimo novembre.