È andato tutto come ci si aspettava. Ora che è stata espletata la formalità del voto, finalmente il generale al-Sisi può essere chiamato presidente. Secondo i dati non ufficiali pubblicati dal giornale Al Ahram, l’ex ministro della Difesa avrebbe vinto con più del 95% dei voti: un risultato che certifica la sua popolarità, ma non indica la sua reale percentuale di consenso nel paese. Circa il 53% degli egiziani ha preferito non partecipare a un voto di cui conosceva il risultato; alcuni indignati per la deposizione di Mohamed Morsi, altri ormai stanchi e disillusi.
L’affluenza (46,9%) sarebbe rimasta stabile rispetto al primo turno delle presidenziali nel 2012 (46,4%). È un risultato piccolo, soprattutto se si considera che il Comitato elettorale aveva minacciato di far pagare agli astenuti una multa di 500 sterline egiziane (50 euro) e aveva concesso agli egiziani un giorno in più per votare. Questa percentuale si spiega con la decisione dei Fratelli musulmani di boicottare le elezioni e con la generale indifferenza degli elettori. L’unico avversario di al-Sisi era, infatti, Hamdeen Sabahi, un vecchio seguace di Nasser che aveva partecipato al movimento per rovesciare Mohamed Morsi e non poteva perciò raccogliere i voti degli islamisti.
I Fratelli musulmani non vogliono rinunciare al sogno di creare uno stato Islamico per via costituzionale e faticano ad accettare un sistema di regole condivise e neutrali. Dopo che al-Sisi ha dichiarato guerra a questa organizzazione, la Fratellanza islamica si è limitata a chiedere un improbabile ritorno al potere di Morsi, senza avere un progetto realistico per tornare a incidere nella politica egiziana.
Una scelta molto diversa da quella del partito salafita Al Nour, che ha invece preferito sostenere la candidatura di al-Sisi. Una decisione che riporta i salafiti all’epoca di Mubarak, quando alcuni Imam ultra-conservatori sostenevano che fosse doveroso per i musulmani sostenere qualsiasi governante, anche se ingiusto. Oggi questo movimento politico offre al nuovo presidente la promessa di una blanda opposizione politica, in cambio del ruolo di rappresentante del mondo islamista.
Anche i liberali si sono presentati divisi al voto. La parte più intransigente, inclusi i membri del Movimento 6 Aprile (fuorilegge da alcune settimane), ha deciso di boicottare il voto. Alcuni hanno invece deciso di votare per Sabahi o sostenere al-Sisi. Tra loro molti cristiani, da sempre ostili alla Fratellanza islamica. È una spaccatura del fronte rivoluzionario che ha consentito al nuovo presidente di non temere l’opposizione della piazza e di consolidare il suo potere.
Tuttavia sarebbe ingeneroso non riconoscere all’ex ministro della Difesa di avere avuto una grande capacità politica e di essere riuscito a presentarsi agli egiziani come un uomo ragionevole, devoto e capace di riportare l’ordine e la sicurezza. Il nuovo presidente ha saputo inoltre proporre un programma concreto di interventi pubblici per modernizzare l’Egitto, un tema molto sentito in un paese in cui lo stipendio medio è di circa 80 euro e in diverse aree del paese mancano ancora l’acqua potabile e l’elettricità.
Non bisogna perciò pensare che la vittoria di al-Sisi sia soltanto un ritorno al passato e al governo militare. È piuttosto una vittoria della stanchezza e della rassegnazione. In questi anni gli egiziani si sono convinti che non è possibile governare questo paese senza il sostegno dei servizi segreti, dell’esercito, delle gerarchie cristiane e dei media. Per questa ragione hanno votato il candidato più gradito alle élite, sperando di ottenere ordine e stabilità.
Oggi al-Sisi vince con quasi il 100% dei voti, ma è meno amato di quanto stia cercando di far credere. Tra coloro che si sono astenuti ci sono, infatti, tanti egiziani che stanno cercando un partito o un leader per esprimere il proprio malcontento o che non vogliono accettare un ritorno al passato. È un’opposizione silenziosa, che potrebbe cercare di organizzarsi per proporre un’alternativa al nuovo potere.
Bisognerà aspettare i prossimi mesi per capire se al-Sisi riuscirà a sfruttare la stanchezza degli egiziani per consolidare il suo potere, oppure se i suoi metodi e il suo stile ricorderanno troppo il vecchio regime. È una scommessa difficile da vincere per il nuovo uomo forte dell’Egitto, visto che dovrà dimostrare di essere in grado di garantire la stabilità ed evitare gli scontri tra i diversi gruppi politici, senza dimenticare che non è più possibile governare questo paese senza il consenso dell’opinione pubblica.
Matteo Colombo, giornalista freelance