Elezioni in Germania: la partita è aperta | ISPI
Salta al contenuto principale

Form di ricerca

  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED

  • login
  • EN
  • IT
Home
  • ISTITUTO
  • PALAZZO CLERICI
  • MEDMED
  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI

  • Home
  • RICERCA
    • OSSERVATORI
    • Asia
    • Digitalizzazione e Cybersecurity
    • Europa e Governance Globale
    • Geoeconomia
    • Medio Oriente e Nord Africa
    • Radicalizzazione e Terrorismo Internazionale
    • Russia, Caucaso e Asia Centrale
    • Infrastrutture
    • PROGRAMMI
    • Africa
    • America Latina
    • Global Cities
    • Migrazioni
    • Relazioni transatlantiche
    • Religioni e relazioni internazionali
    • Sicurezza energetica
    • DataLab
  • ISPI SCHOOL
  • PUBBLICAZIONI
  • EVENTI
  • PER IMPRESE
    • cosa facciamo
    • Incontri su invito
    • Conferenze di scenario
    • Formazione ad hoc
    • Future Leaders Program
    • I Nostri Soci
  • ANALISTI
Verso il voto

Elezioni in Germania: la partita è aperta

Antonio Villafranca
01 settembre 2021

I tedeschi hanno finora prestato poca attenzione alla campagna elettorale. Le conseguenze della pandemia, la devastante alluvione di luglio e la disfatta in Afghanistan hanno calamitato l’attenzione dei media e della gente. Ma il 26 settembre è dietro l’angolo e la corsa per la cancelleria sembra finalmente essere entrata nel vivo.

Domenica 29 agosto si è tenuto il primo confronto televisivo tra i tre principali candidati: Armin Laschet per i cristiano-democratici (CDU-CSU), Olaf Scholz per i social-democratici (SPD) e Annalena Baerbock per i Verdi (Grünen). Secondo un primo sondaggio il confronto televisivo è stato vinto da Scholz, seguito da Baerbock e poi da Laschet. D’altra parte, ormai, da qualche tempo Scholz viene indicato come il candidato alla cancelleria preferito da oltre il 30% dei tedeschi staccando così di molto Baerbock (15%) e soprattutto Laschet (11%). È notizia di qualche giorno che il partito socialista nei sondaggi avrebbe raggiunto il 23%, scavalcando così i cristiano-democratici per la prima volta in 15 anni. Un risultato che, se confermato dalle urne, torna a dare un certo lustro alla SPD che soltanto qualche mese fa sembrava in caduta libera. A ben vedere, però, con il 23-24% dei voti i socialisti raccoglierebbero ‘solo’ il 3% dei voti in più rispetto al loro minimo storico delle precedenti elezioni federali.

La vera notizia, infatti, non è tanto la presunta buona performance socialista, quanto piuttosto quella pessima della CDU/CSU post-Merkel che con il 22% dei voti perderebbe ben il 10% rispetto alla precedente tornata elettorale. Si tratterebbe del peggiore risultato degli ultimi 70 anni per i cristiano-democratici guidati da un leader come Laschet – poco carismatico e incline alle gaffes – a cui gli stessi elettori cristiano-democratici preferirebbero il bavarese Söder. Quest’ultimo è dovuto intervenire personalmente per scartare definitivamente questa ipotesi, non fosse altro perché arriva ormai troppo tardi. Che governo ci si può quindi aspettare dalle prossime elezioni e quali politiche, interne ed internazionali, implementerebbe?

 

Governo tedesco: tre colori

Nei 16 anni di cancellierato Merkel, la Grosse Koalition tra la CDU/CSU e l’SPD è stata ripetuta tre volte su quattro, con l’unica eccezione rappresentata dal secondo governo Merkel (2009-2013) quando i cristiano-democratici andarono al governo con i liberali dell’FDP. Insomma, finora le ‘larghe intese’ tedesche hanno rappresentato una partita a due. Non sembra che questo sarà il caso del prossimo governo. Per la prima volta dagli anni '50, ci si potrebbe trovare costretti a una coalizione a tre. Se davvero i socialisti arrivassero primi, i cristiano-democratici – che sono stati al governo per 50 degli ultimi 70 anni – potrebbero restare fuori dall’esecutivo.

Solo alcune settimane fa, la coalizione ‘nero-verde’ (CDU-CSU con i Verdi) sembrava la più probabile, magari con l’inserto dei ‘gialli’ liberali in quella che viene chiamata coalizione “Jamaica”. Con il sorpasso dei socialisti potrebbe invece profilarsi un altro scenario in cui i ‘rossi’ socialisti di Scholz vanno al governo con la coalizione “semaforo”, quindi con i Verdi e i liberali. Resterebbero fuori dal governo la sinistra più estrema di Linke (a meno di sorprese da parte dei socialisti), così come l’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD) .

Ma cosa aspettarsi da una coalizione a tre senza precedenti? Anzitutto tempi piuttosto lunghi per la formazione del governo. I tedeschi infatti tendono a fissare le priorità del governo in un accordo preventivo. Angela Merkel aveva dovuto negoziare per 171 giorni con i socialisti nello scorso governo. In un governo a tre la negoziazione potrebbe essere ancora più complessa ed estenuante, anche perché le distanze tra i partiti appaiano notevoli sia in merito alle politiche interne che su quelle europee e internazionali.

 

Una questione di politiche (diverse)

Investimenti e politiche sociali post-Covid, transizione verde e digitale, migrazioni, NATO e politica estera. I principali partiti tedeschi hanno idee diverse, in alcuni casi molto diverse. In una inedita coalizione a tre sarà necessario cercare una sintesi, ma questa potrebbe insidiare la stabilità del governo soprattutto in mancanza di un cancelliere forte.

Riguardo agli investimenti e alle politiche sociali, nel caso di un governo socialista le distanze con i Verdi potrebbero essere ‘gestibili’. Entrambi i partiti vorrebbero introdurre una sorta di tassa sul patrimonio e aumentare gli investimenti, magari anche derogando al tradizionale rigore tedesco. Tradotto in chiave europea, entrambi i partiti sostanzialmente concordano sulla sospensione del Patto di stabilità e crescita (PSC) fino al 2023 e nel frattempo auspicano un aumento degli investimenti, magari derogando al ‘freno all’indebitamento’ inscritto nella Costituzione tedesca che limita il deficit della spesa pubblica allo 0,35% del Pil.

I Verdi si spingono anche oltre, chiedendo di rivedere i criteri del PSC per favorire la transizione verde. Per lo stesso motivo, non escludono di rendere addirittura permanente il Next Generation EU, ovvero il ricorso all’indebitamento comune europeo, su cui la posizione degli altri partiti spazia dalla cautela al terrore. Tra questi ultimi figurano i liberali dell’FDP che prediligono misure di sostegno alle imprese in una cornice di rinnovato rigore di bilancio per i tedeschi e per l’Ue.

Trovare la quadra in un eventuale governo tra socialisti, verdi e liberali sarà tutt’altro che facile. Specularmente, se nella corsa alla cancelleria i cristiano-democratici arrivassero primi troverebbero una sponda (con vari distinguo) nei liberali, ma i Verdi metterebbero non pochi paletti. Spostandoci poi sul piano della politica internazionale, anche qui le distanze sembrano notevoli. A far la differenza sarebbero soprattutto i Verdi. Le loro posizioni (a partire dall’appartenenza alla NATO) si sono certamente ammorbidite nel corso degli ultimi anni; cosa che ha permesso loro di crescere riuscendo a convincere anche gli elettori moderati. Ma con i Verdi al governo è lecito attendersi una posizione più dura nei confronti della Cina, sia in merito al rispetto dei diritti umani (questione uigura inclusa) che sul tema della tassazione delle più ‘inquinanti’ importazioni cinesi. Lo stesso dicasi dei rapporti con la Russia e di quella infrastruttura – il gasdotto sottomarino Nord Stream 2 – invisa ai Grünen al punto che potrebbero essere rivisti anche i recenti accordi con gli Usa che prevedono ‘compensazioni’ per l’Ucraina per i più ridotti diritti di transito del gas russo a causa proprio del raddoppio del gasdotto tra Russia e Germania. Le divergenze non mancano anche su un tema politicamente molto sensibile come quello delle migrazioni e, più recentemente, dei possibili nuovi rifugiati afghani. È ancora vivo il ricordo del milione di profughi siriani accolti dalla Cancelliera Merkel nel 2015, che ha spaccato lo stesso partito cristiano-democratico e fatto deteriorare i rapporti soprattutto con la controparte bavarese. Non a caso la posizione di Laschet è meno morbida rispetto a sei anni fa, quando aveva appoggiato l’apertura di Merkel. I profughi afghani dovranno contare sull’accoglienza da parte dei Paesi confinanti, perché questa volta in Germania sembra esserci poca propensione ad aprire i confini. Su questa linea si sono espressi anche SPD e FDP, timorosi che una nuova ondata migratoria possa fornire linfa vitale ai nazionalisti di AfD. Anche in questo caso, la voce fuori dal coro è quella di Baerbock, che ha accusato il governo Merkel di aver abbandonato migliaia di afghani nelle mani dei Talebani, nonostante molti di loro in questi anni avessero lavorato con la rappresentanza tedesca nel Paese.

Volendo quindi tirare le somme, a poche settimane dalle elezioni tedesche la partita sul prossimo governo tedesco è del tutto aperta. Con l’uscita di scena di Angela Merkel per la Germania si chiude davvero un’era. I leader politici del nuovo corso saranno in buona parte nuovi (con la possibile eccezione di Scholz), mentre si profilano una coalizione a tre e una estenuante negoziazione. Per capire se – e fino a che punto – questo impatterà sulle politiche tedesche, bisognerà quindi attendere ben oltre il 26 settembre.

Ti potrebbero interessare anche:

Il mondo nel 2023. Quiete dopo le tempeste... Really?
Ucraina: Berlino libera i Leopard
Ucraina: Leopard si o no?
NATO: alea iacta est?
Davos e disuguaglianze
Gas: l’Europa che non ti aspetti
Matteo Villa
ISPI

Tags

Europa Germania
Versione stampabile
 
EU GREEN DEAL

AUTORI

Antonio Villafranca
Direttore della ricerca ISPI

SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE NEWS

Iscriviti alla newsletter Scopri ISPI su Telegram

Chi siamo - Lavora con noi - Analisti - Contatti - Ufficio stampa - Privacy

ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) - Palazzo Clerici (Via Clerici 5 - 20121 Milano) - P.IVA IT02141980157