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Dopo il voto

Elezioni in Libano: Hezbollah indietreggia, avanzano volti nuovi

Federico Manfredi Firmian
18 maggio 2022

Il Libano non smette mai di sorprendere. Nei giorni prima delle elezioni parlamentari del 15 maggio, i media internazionali avevano previsto che le elezioni non avrebbero portato grandi cambiamenti. Erano in molti a ritenere che Hezbollah avrebbe facilmente mantenuto la maggioranza e che probabilmente avrebbe incrementato ulteriormente il distacco dai partiti dell’opposizione, vista la rinuncia di Saad Hariri e il boicottaggio delle elezioni da parte del suo Movimento del Futuro.

Molti nomi celebri della politica libanese sono stati invece bocciati dagli elettori. Hezbollah e alleati hanno perso seggi, e forse anche la maggioranza. Sono stati invece eletti tredici candidati indipendenti, numero che non tiene conto dei candidati nominalmente indipendenti che in realtà sono politicamente schierati. Gli indipendenti rappresentano ora circa il 10% del parlamento libanese, che è unicamerale e conta 128 seggi. Per mettere in prospettiva questi sviluppi, nelle elezioni parlamentari del 2018 solo un seggio era andato agli indipendenti, quello di Paula Yacoubian a Beirut.  

C’è vento di cambiamento in Libano. Vale la pena soffermarsi su alcuni degli episodi più eclatanti di queste elezioni. Nella circoscrizione elettorale Sud 3, due candidati indipendenti hanno avuto la meglio sui candidati sostenuti da Hezbollah: Elias Jradi ha strappato il seggio a Assaad Hardan, candidato del Partito Nazionalista Sociale Siriano; e contro ogni aspettativa l’avvocato trentatreenne Firas Hamdan ha battuto il banchiere Marwan Kheireddine, altro candidato vicino a Hezbollah. Hamdan è uno dei “candidati della rivoluzione” (murashahin al-thawra). Attivista nelle proteste popolari del 2019 e del 2020, nei giorni che hanno seguito l’esplosione nel porto di Beirut è stato gravemente ferito da una scheggia di piombo nel contesto di una violenta azione delle forze di sicurezza contro i manifestanti. Operato al cuore, Hamdan è sopravvissuto e si è lanciato in politica in una delle roccaforti di Amal e di Hezbollah, dove la sua campagna elettorale ha dovuto far fronte a intimidazioni e violenza. Che un candidato come Hamdan possa essere stato eletto dimostra che il cambiamento in Libano non solo è possibile ma è già in atto.  

Fra i veterani della politica rigettati dagli elettori ricordiamo inoltre diversi leader vicini alla Siria di Bashar Al-Assad, fra cui Faisal Karami, figlio di un ex primo ministro, e a sua volta già ministro dal 2011 al 2014, per volere di Hezbollah; e poi Elie Ferzli, altro politico pro-Assad, che in passato Hezbollah aveva elevato a vicepresidente del parlamento; e Talal Arslan, erede di una nota dinastia politica drusa e membro del parlamento da 30 anni. Arslan è stato sconfitto dall’indipendente Mark Daou, professore di scienze della comunicazione e proprietario di una compagnia pubblicitaria.

Un altro alleato di Bashar Al-Assad e di Hezbollah è in difficoltà. Si tratta del presidente ed ex generale Michel Aoun, il cui Movimento Patriottico Libero ha perso diversi seggi e non è più il maggior partito cristiano in parlamento. Questo titolo spetta ora alle Forze Libanesi di Samir Geagea, nemico acerrimo di Assad e di Hezbollah. Da decenni Geagea è anche una delle figure più controverse della scena politica libanese. Capo di una delle milizie cristiane durante la guerra civile (1975-1990), ha scontato undici anni in carcere e per motivi politici è l’unico leader libanese ad essere stato punito per crimini commessi in quel buio periodo di storia. Uscito di prigione nel 2005, Geagea è stato a lungo un alleato di Saad Hariri ma dopo il ritiro dalla politica del leader sunnita sarà per lui difficile formare una coalizione di governo, anche con il sostegno del Partito Socialista Progressista di Walid Jumblatt.

Hezbollah, Amal, il Movimento Patriottico Libero e i loro alleati, d’altra parte, non hanno che 62 seggi nel nuovo parlamento, e ne occorrono almeno 65 per formare un governo. È probabile quindi che seguiranno lunghi negoziati fra diversi partiti e forze politiche.

Dopo le elezioni del 2018 ci vollero ben tredici mesi per formare un governo. Molto è cambiato da allora in Libano. La crisi economica che è cominciata nel 2019 e che ha portato ad una svalutazione senza precedenti della lira libanese, l’impatto del Covid-19, l’esplosione nel porto di Beirut e la deriva economica e istituzionale del paese hanno sconvolto la vita della stragrande maggioranza dei libanesi. Diversi pacchetti di aiuti e prestiti internazionali sono in attesa delle necessarie riforme per essere ergoati. Ma senza una coalizione di governo sarà molto difficile creare consenso intorno a nuovi progetti di legge.

Uno dei rischi maggiori è quello di una lunga paralisi politica e istituzionale, che non farebbe che aggravare la crisi economica e sociale in cui versa il Libano. Un altro rischio è che Hezbollah ricorra alla violenza per regolare i conti con i propri rivali e perseguire la propria agenda politica. In Libano è ancora oggi tabù attribuire a Hezbollah e alla Siria gli omicidi e le autobombe che hanno preso di mira le forze politiche filoccidentali e diversi rappresentanti delle istituzioni libanesi nel corso degli ultimi due decenni. Ma se ci chiediamo a chi hanno giovato queste azioni, non ci sono molti dubbi.

Rimane inoltre il pericolo che Hezbollah possa provocare un’altra guerra contro Israele, come già avvenuto nel 2006. Una scintilla potrebbe accendersi lungo il confine fra il Libano e Israele, o anche in Siria, dove Hezbollah ha installato diverse posizioni militari nei pressi della linea di armistizio che separa la Siria di Assad dalle alture del Golan. Molto dipenderà anche dagli sviluppi su scala regionale, in particolare dalla rivalità fra l’Arabia Saudita e l’Iran. I risultati delle elezioni parlamentari in Libano hanno rafforzato la posizione dell’Arabia Saudita e indebolito quella dell’Iran e della Siria. L’incertezza dei prossimi mesi potrebbe quindi incentivare Hezbollah e i suoi alleati a usare la forza.

Nonostante questo difficile quadro politico, per il momento in Libano si respira aria di cambiamento e di ottimismo. Gli indipendenti come Paula Yacoubian e Firas Hamdan e tutti i neodeputati che hanno sostenuto i sollevamenti popolari del 17 ottobre 2019 rappresentano la speranza in un Libano diverso, con volti nuovi in politica, più trasparenza e meno impunità. Non sarà facile riformare il paese, ma almeno sappiamo che è possibile. Sono in molti a crederci, come l’attivista Rula El Halabi, che dopo i risultati delle elezioni ha detto: “Informate le forze di sicurezza del parlamento che i rivoluzionari del 17 ottobre sono entrati in Piazza Nejmeh (sede dell’assemblea parlamentare del Libano), ma questa volta da deputati.”

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AUTORI

Federico Manfredi Firmian
Sciences Po Paris

Image credits: Shahen Araboghlian (CC BY-SA 4.0)

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