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Commentary
Elezioni in Nigeria: prova di maturità per la più grande economia della regione
Giovanni Carbone
13 febbraio 2019

Solo quattro anni fa la Nigeria votò, per la prima volta nella sua storia, per sostituire un presidente in carica con un candidato alternativo proveniente dall’opposizione. Lo straordinario risultato delle elezioni – mai facili in questo vasto e composito paese africano, perennemente irrequieto – venne giustamente celebrato come un inatteso successo e un segnale che la giovane “democrazia” nigeriana, tutt’altro che priva di lacune, intendeva proseguire i suoi progressi. 

La Nigeria torna a votare tra una settimana, il prossimo 23 febbraio. Le imminenti elezioni - inizialmente previste il 16 febbraio e rimandate all’ultimo momento per ragioni logistiche dalla Independent National Electoral Commission - non potranno generare il pathos che accompagnò quelle del 2015. Benché l’esito resti incerto, se anche l’attuale presidente Muhammadu Buhari venisse sconfitto dopo il primo mandato dal suo avversario Atiku Abubakar (semplicemente “Atiku” per i nigeriani, abituati da tempo alla ribalta di questo chiacchierato uomo d’affari, già in passato vicepresidente sotto Olusegun Obasanjo), non si tratterebbe di un risultato di per sé eclatante. Il People’s Democratic Party (PDP) di Abubakar, del resto, aveva già governato ininterrottamente per quindici anni prima di essere estromesso da Buhari.

Eppure, a vent’anni dal ritorno a governi civili in un paese in cui i precedenti quaranta furono dominati dai militari, vi sono diverse ragioni per seguire con attenzione questa sesta elezione. 

Anzitutto, e semplicemente, la Nigeria resta la Nigeria. Quello che già oggi conta 200 milioni di abitanti è destinato a diventare, non più tardi del 2050, il terzo stato più popoloso al mondo dopo Cina e India (attualmente è in settima posizione, insegue da vicino Pakistan e Brasile). Detto altrimenti, una persona su cinque in Africa subsahariana è un nigeriano o una nigeriana: l’esito dell’elezione riguarda la vita di molti. Non solo, ma il governo di Abuja guida la prima economia del continente per dimensioni, seppur un po’ appannata nei tassi di crescita mostrati negli anni più recenti. 

Un paese così rilevante non può che contribuire in maniera importante a tracciare percorso e dinamiche dell’intera area geopolitica e geoeconomica africana. Ogni singola elezione in Nigeria aiuta a radicare maggiormente regole e prassi (almeno in parte) democratiche. È dunque vitale che non si facciano passi indietro, in una fase che ha visto regressi e deterioramenti della democrazia in tante altre zone del mondo. I centri studi che monitorano gli sviluppi democratici – incluso ISPI, con il progetto African Leadership Change (ALC) – hanno evidenziato che, nel suo complesso, l’Africa subsahariana sta resistendo alle spinte negative manifeste altrove, ma la guardia va mantenuta alta. Governi eletti in contesti il più possibile democratici possono peraltro sostenere meglio i tentativi di accelerare il passo dello sviluppo nel continente. 

Il voto nigeriano, infine, pur non potendo replicare la novità rappresentata dall’alternanza al governo di quattro anni fa, è comunque una “prima”. La prima delle sei elezioni dal 1999 in cui a contendersi la presidenza saranno non già un candidato del nord e uno del sud – come fin qui accaduto, riflesso tanto della cesura tra il settentrione islamico e un meridione per lo più cristiano, quanto dell’idea di far ruotare tra queste due anime del paese il controllo del governo – bensì due candidati del nord. Il presidente viene dallo stato di Katsina, nel nord-ovest, il più povero dei 36 stati della federazione, mentre Abubakar è originario dello stato orientale dell’Adamawa. Entrambi appartengono però all’etnia Fulani, la più numerosa seppur solo come maggioranza relativa (comprende tra un quarto e un terzo della popolazione nigeriana). La gara presidenziale è dunque del tutto inedita. 

Non sono moltissime le differenze programmatiche tra l’All Progressives Congress (APC) di Buhari e il People’s Democratic Party (PDP) di Abubakar. I temi che hanno catalizzato maggiore attenzione nella campagna elettorale sono per lo più quelli che hanno accompagnato le precedenti. La lotta alla corruzione (Buhari ha una certa credibilità, ma la sua controversa decisione di sospendere il giudice capo della Corte Suprema è stata da molti letta come un’indebita intromissione politica). La crescita economica e la connessa lotta a disoccupazione e povertà (la Nigeria sta faticosamente cercando di ritrovare la strada di una crescita più rapida, se non il ritorno ai tassi di cinque, dieci o quindici anni fa; ma ormai da un po’ di tempo l’andamento del prezzo del petrolio non la aiuta). L’insicurezza e le violenze condizionano ancora pesantemente la vita di molti nigeriani, e a troppi di loro l’hanno tolta. In questo caso non si tratta solo di un certo ritorno, in tempi recenti, degli attacchi jihadisti di Boko Haram nel nord est e dell’instabilità generata dai secessionisti nel Delta del Niger, ma anche di quella prodotta, soprattutto negli stati centro-orientali della cosiddetta middle belt, dagli scontri tra comunità di pastori e agricoltori che rivendicano modi diversi di usare le terre. Più che i temi, sono alcuni degli espedienti della campagna elettorale che segnano parziali novità, in particolare una crescente diffusione e influenza delle cosiddette “fake news” (la più nota quella secondo cui alla presidenza siederebbe da tempo un clone del vero Buhari, essendo quest’ultimo morto durante uno dei suoi lunghi soggiorni di cura all’estero). 

Assieme a pochi altri paesi – il Sudafrica e l’Etiopia, ad esempio – gli sviluppi interni della Nigeria sono interni solo fino a un certo punto, destinati inevitabilmente ad avere ripercussioni più ampie nel continente. Come e a chi i nigeriani daranno il loro voto merita di essere seguito da vicino.

 

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Nigeria Elezioni Muhammadu Buhari Atiku Ababakar Africa
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AUTORI

Giovanni Carbone
Università degli Studi di Milano e ISPI

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