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Commentary

Elezioni in Ucraina, le ambiguità da non ignorare

23 maggio 2014

Oltre al voto europeo, domenica 25 maggio è il giorno in cui si svolgeranno le elezioni presidenziali in Ucraina, indette tre mesi fa dal parlamento ad interim di Kiev a seguito della fuga dal Paese dell’ex presidente Yanukovich.  A pochi giorni dal voto le tensioni nelle regioni orientali del paese sono proseguite, culminando in uno scontro tra filorussi ed esercito che ha portato alla morte di 16 soldati ucraini nella regione di Donetsk, e dando un’ulteriore ragione a Kiev e all’Occidente per temere che queste elezioni potrebbero non bastare a stabilizzare la situazione nel Paese. L’elemento determinante, e più incerto, è se la Russia riconoscerà - se sì, in quale misura e a quali condizioni - la legittimità del voto e del nuovo Presidente.

Il 23 maggio il presidente Putin ha dichiarato che accetterà l’esito delle elezioni, qualunque sarà il vincitore: con l’approssimarsi del voto, Mosca sembra negli ultimi giorni aver preso la posizione ufficiale di lasciare nei fatti che le elezioni si svolgano il più regolarmente possibile con il coordinamento dell’OSCE, con l’obiettivo chiaro di potersi tenere aperta la possibilità di valutare ex post se ritenere l’esito elettorale legittimo o meno, e di negoziare.

Al di là dei timori che i russi hanno per le prime elezioni ucraine che si svolgono senza la regione della Crimea - elezioni quindi private del bacino elettorale filorusso fondamentale, tanto come porzione importante dei voti totali nazionali, tanto come sostegno ad un proprio candidato – alcune delle ragioni di “illegittimità” del voto sostenute dai russi sono in effetti ambigue, non univocamente interpretabili, e quindi non ignorabili dalla comunità internazionale ai fini di una de-escalation negoziata nelle prossime settimane.

Tra le principali:

1) La sera del 21 febbraio l’ex Presidente ucraino Yanukovich, la Russia, gli Usa e l’Unione Europea si accordavano affinché si svolgessero elezioni anticipate nel dicembre del 2014 e il Presidente Yanukovich non si ricandidasse. In meno di una settimana si insediava un Parlamento ad interim che, sebbene con il sostegno di una buona parte dell’ex Partito delle Regioni dello stesso Yanukovich, indiceva le elezioni per il 25 maggio con l’endorsement occidentale.

2) Le elezioni si svolgono sulla base di una Costituzione, quella del 2004 post Rivoluzione Arancione, a cui il Parlamento ad interim ucraino è tornato non solo senza svolgere un referendum, ma in generale senza rispettare le procedure di revisione costituzionale previste dal testo precedente.

3) L’accordo di Ginevra del 17 aprile tra Russia, Usa, UE e Ucraina prevedeva l’impegno del governo ad interim a includere le minoranze etno-linguistiche del paese in un dibattito costituzionale da cui, cosa lontana dall’essere avvenuta, sarebbe dovuto nascere un nuovo testo costituzionale di natura federale, quantomeno da accennare prima del 25 maggio.

4) Il candidato di gran lunga favorito alle elezioni, Petr Poroshenko, è uno degli uomini più ricchi del paese, oligarca proprietario dell’Industria cioccolatiera Roshen, e incarna quindi il lato tradizionalmente più malsano del sistema politico ucraino, di cui Yanukovich sembrava dover essere l’ultimo rappresentante. Per quanto sia emerso come filoeuropeista per il suo pieno sostegno a Euromaidan, è un politico di vecchia data che ha cambiato più volte bandiera, nominato da ultimo nel 2012 Ministro dello Sviluppo Economico e del Commercio direttamente da Yanukovich.

5) Quando a fine febbraio è stata fissata la data delle elezioni al 25 maggio, il governo ad interim era stato appena votato con un’ampia maggioranza parlamentare e quindi apparso relativamente stabile, e non c’erano state né l’annessione della Crimea né l’inizio degli scontri e delle occupazioni filorusse nella ragione sudorientale ucraina del Donbass. Il contesto attuale però è ben diverso, e a dimostrarlo è da ultimo il tragico scontro nella regione di Donetsk: il governo al momento non ha il controllo di metà del paese e il territorio dell’est, occupato dall’esercito e dai filorussi che si fronteggiano, sta nei fatti vivendo una guerra civile. Per quanto l’OSCE possa garantire la trasparenza del voto, si deve considerare quindi che la democraticità delle elezioni - già solo in termini di accesso ai seggi e composizione delle liste dei candidati - verrà fortemente ostacolata.

6) Al di là delle rivendicazioni russe, filorusse, e delle ragioni per cui si è arrivati a questa situazione, i principali candidati alle elezioni si dichiarano tutti, con sfumature diverse, filoeuropeisti.  Manca cioè un credibile candidato rappresentativo delle istanze di un’importantissima porzione della popolazione, cosa che non è detto possa, a urne chiuse, venire unanimemente accolta come la soluzione attesa per ricucire il paese.

Con l’apertura della Russia al riconoscimento delle elezioni presidenziali, sperando che non si verifichino violenze durante le procedure di voto, è legittimo immaginare che un Presidente eletto direttamente dal popolo avrà maggiore credibilità rispetto al suo predecessore ad interim, e da questo intravedere l’avvio di un confronto più proficuo, o più fermo, con le regioni sudorientali del paese.

Nonostante ciò, se le principali ambiguità nelle premesse di queste elezioni non verranno prese in considerazione, questo voto non sarà il tanto atteso spartiacque risolutivo, ma solo un ulteriore motivo - giustificabile o strumentale, comunque interpretabile a piacere - per alimentare la radicalizzazione politica interna e pericolose rivendicazioni internazionali.

*Carolina de Stefano, ISPI Research Trainee

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