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Il mondo in tasca

Erdogan: diversivo albanese

17 gennaio 2022

Charm offensive

Oggi Erdogan è atterrato in Albania in visita ufficiale. È una notizia: di questi tempi per il presidente turco essere accolto con tutti gli onori su suolo europeo è qualcosa di piuttosto raro. 

Con l’occasione, Erdogan ha consegnato ufficialmente centinaia di case, ricostruite con i soldi di Ankara dopo il grande terremoto del 2019. Ennesimo simbolo dell’amicizia turco-albanese: una partnership stretta, ma anche una delle poche che il presidente turco non abbia messo in crisi negli ultimi anni.  

Ferite autoinflitte

Già, perché l’ultimo decennio per la Turchia ha di fatto segnato la fine della politica di “zero problemi con i vicini”. Dalle tensioni in Siria e Libia, alle questioni marittime nel Mar Egeo e nella regione del Mediterraneo orientale, oggi Erdogan ha molte gatte da pelare (in gran parte create da lui stesso) e sempre meno alleati con cui affrontarle. 

Sul fronte interno, Erdogan dichiara pubblicamente da anni che i tassi d’interesse alti sono “la madre di tutti i mali”, sostituendo un governatore della Banca centrale dopo l’altro (siamo al terzo in due anni). Così l’anno scorso l’ennesimo ingiustificato taglio dei tassi ha fatto crollare la lira turca (-44% contro il dollaro in dodici mesi) e portato l’inflazione alle stelle (+36% su base annua a dicembre). 

Buono, forse, per gli esportatori. Meno per i consumatori, il cui reddito pro capite dal 2013 si è ridotto di un terzo. 

Alleato scomodo

Per Erdogan, la visita in Albania è stata un (piccolo) momento di sollievo. Perché le elezioni del 2023 non sono poi così distanti. E i suoi avversari, complice la crisi economica, si fanno sempre più sotto.  

Ma la crisi turca non fa piacere neppure agli Usa di Biden, che contavano su Ankara per garantire quel minimo di stabilità regionale in Medio Oriente da permettere a Washington un maggiore disimpegno. 

Per l’Europa, l’assertività di Erdogan è ancora più preoccupante. Come sottolinea spesso, il presidente turco ha ancora tra le mani la “bomba” di 4 milioni di rifugiati siriani. Le sue azioni (su Cipro e Libia, per esempio) spaccano il fragile consenso Ue in politica estera. Con l’aggravarsi della sua “crisi in casa”, c’è da augurarsi che il presidente non provi a “sfogarsi” all’estero. 

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