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Commentary

Europa: a che punto siamo tra Bilanci di genere e fondi deviati

08 marzo 2014

In preparazione del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, la delegazione dell’EIGE -European Institute for Gender Equality, agenzia europea per l’eguaglianza di genere con sede a Vilnius, guidata dalla direttrice Virginjia Langbakk, ha avuto a Roma dal 17 al 19 febbraio una serie di incontri.  È stata un’opportunità di confronto e conoscenza tra istituzioni italiane e l’istituzione europea sul tema della parità di genere. Ma anche l’occasione di un bilancio. In particolare, si è discusso della situazione italiana a partire dai risultati italiani nel Global Gender Gap Index. L’Italia si collocava nel 2012 all’80° posto su 135 paesi del mondo; nel 2013 è risalita al 71° per la maggior presenza di donne nel Parlamento dopo le elezioni politiche. Però nel 2008 la posizione italiana era la 68°. Ciò significa che dal 2008, anziché migliorare, le condizioni delle donne in Italia rispetto agli uomini sono peggiorate! 

La situazione italiana è falsamente attribuita a ragioni economiche o a “emergenze” che in realtà nascondono la mancanza di volontà politica per superare una concezione tradizionale dei ruoli sessuali e dei rapporti tra i generi. La cronica mancanza di risorse finanziarie per le politiche di Pari Opportunità e in particolare per la parità di genere, che non consente alle donne italiane di superare gap lavorativi, salariali o di rappresentanza con la parte maschile della popolazione, impedisce anche di poter avere dati e statistiche disaggregati per genere.  In caso contrario emergerebbe con chiarezza sia la realtà della condizione femminile sia lo spreco di risorse umane causato dalla sottovalutazione dell’apporto femminile per il progresso sociale ed economico. 

La questione di fondo, squisitamente culturale, impedisce non solo la considerazione del valore delle differenze femminili in termini di qualità,  capacità e competenze, ma impedisce che le tematiche di genere entrino nei luoghi di formazione fin dalla scuola primaria per modificare la cultura tradizionale. Mancano in Italia settori scientifico disciplinari che legittimino gli studi di genere nelle Università con la conseguenza che chi ha il compito di formare personale formatore e dirigente non sa neanche che cosa in realtà significhi il termine genere e tantomeno che cosa siano la Gender Equality e il Gender Mainstreaming, obiettivo trasversale europeo in tutte le politiche e azioni per il 2020. 

La situazione europea presentata da Virginjia Langbakk non è altresì del tutto soddisfacente. Gli aspetti culturali contrari a una piena valorizzazione della presenza femminile nella società e soprattutto le resistenze verso la condivisione dei lavori di cura che, seppure in misura inferiore rispetto all’Italia, persistono nelle società europee, rendono ancora oggi necessaria l’adozione di politiche e azioni positive specifiche per il pieno raggiungimento della Gender Equality.

Le donne sportive sono presenti nei programmi televisivi solo dal 2 al 9 % del tempo dedicato agli sport, anche se le donne spesso hanno risultati di grande rilevanza in termini non solo di capacità e abilità, ma anche di spettacolarità (basti pensare al pattinaggio artistico a Sochi).

Solo il 10% dei politici sono donne in tv e le donne sono ancora fortemente sottorappresentate sia come esperte (16%) sia come conduttrici (14%).

Negli studi scientifici c’è una equa presenza negli ambiti delle scienze biologiche, ma un forte dislivello nella scelta delle facoltà tecnologiche. La presenza femminile è sottorappresentata ai vertici delle università e nei CdA di università e centri di ricerca (22%).

Tra le cause che impediscono un progresso in questi ambiti, l’ EIGE assegna una particolare importanza alla diminuzione delle risorse finanziarie dedicate alla Gender Equality con spostamenti dei capitoli di spesa giustificati dalla crisi e da un’espansione degli obiettivi che oggi comprendono altre diversità.

In questo senso l’ EIGE fa notare che lo spostamento della competenza dalla Direzione generale Lavoro a quella della Giustizia focalizza meno le politiche sulla Gender Equality e più su un generale Diversity Mainstreaming o un ancor più generico ambito dei diritti umani.

A sostegno delle sue tesi l’ EIGE porta i dati sull’impegno governativo in politiche di genere: rispetto al 2005, quando l’88% dei 25 Stati membri aveva un ufficio di gabinetto ministeriale specifico sulla GE, si scende al 75% nel 2012 in un’Europa a 28. Nel 2012 solo il 18% degli stati ha un intero ministero che si occupa di Gender Equality.

Mancano poi autorità centrali che ad alto livello si occupino di attuare politiche di parità con fondi adeguati e un numero adeguato di personale qualificato. Nella maggioranza degli stati della UE le agenzie indipendenti dal governo per la promozione della equità tra i generi hanno più personale qualificato e maggior fondi (tali agenzie in Italia non esistono, ma potrebbero essere assimilate alla ex Commissione nazionale pari opportunità, o all’attuale Dipartimento pari opportunità presso la presidenza del Consiglio dei ministri o anche forse alla consigliera nazionale di parità).

Gli ambiti sono troppo ampi e le competenze sono suddivise negli uffici di vari ministeri come lavoro e politiche sociali, famiglia, pari opportunità (nel senso più ampio), cultura, istruzione, giustizia. 

Inoltre i Bilanci di genere e l’analisi dell’impatto sui generi delle politiche stentano ad affermarsi. Per questo, anche se la realizzazione dei Bilanci di genere negli stati della UE è aumentata dal 12% del 2005 al 29% nel 2012, il Gender Mainstreaming che può essere favorito attraverso di essi rimane a un livello iniziale o praticamente sconosciuto in molti stati. In più i Bilanci di genere, anche dove attuati, stentano a produrre radicali cambiamenti verso la Gender Equality. 

Laura Moschini, Università Roma Tre

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Unione Europea eige gender equality gender mainstreaming condizione femminile Italia Virginjia Langbakk Global Gender Gap Index
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