Un giorno anziché quattro, e solo in videoconferenza. Il vertice Europa-Cina mantiene un basso profilo e rivela che tra Bruxelles e Pechino qualcosa sta cambiando.
Giornata di colloqui tra Unione europea e Cina riguardo alle relazioni tra Pechino e Bruxelles. Oggi la cancelliera tedesca Angela Merkel, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato in videoconferenza il presidente cinese Xi Jinping. All’incontro era presente anche il commissario per gli Affari Eesteri dell'UE Josep Borrell. Durante l’incontro, oltre al commercio, si è parlato di cambiamenti climatici, della risposta internazionale alla pandemia da Coronavirus e del rispetto dei diritti umani. Ma soprattutto, l’Europa ha manifestato la sua volontà di presentarsi in modo meno frammentario nei confronti di una potenza emergente i cui toni, secondo i critici, si sono fatti sempre più aggressivi.
Al di sotto delle attese?
Inizialmente il vertice avrebbe dovuto durare quattro giorni e avrebbe dovuto svolgersi in presenza a Lipsia, in Germania, presidente di turno dell’Ue. Anche se ufficialmente è stata la pandemia ad aver reso necessaria una riorganizzazione, ci sono altre ragioni che giustificano la sensazione che il summit non coincida con le aspettative concepite al suo annuncio. Da allora, la reputazione della Cina presso l’Unione ha subito “duri colpi”, osserva Deutsche Welle, ricordando le proteste formali del parlamento di Strasburgo contro le violazioni dei diritti nello Xinjiang e in seguito agli arresti e la repressione degli attivisti a Hong Kong. In realtà, anche la gestione della pandemia da parte di Pechino ha causato più di qualche attrito: la “diplomazia delle mascherine” messa in atto dalla Cina ufficialmente per aiutare i paesi occidentali alle prese col virus, è stata percepita da molti come una campagna di autopromozione per le sue forniture mediche in Europa. Esportazioni, insomma, mascherate da aiuti.
Cina: partner o rivale?
L’equilibrio su cui si basano le attuali relazioni sino-europee ha una data di inizio precisa che coincide con la crisi finanziaria del 2007-2008. Pechino aveva aiutato la ripresa economica del continente, acquistando debito e attività sull’orlo del fallimento a causa della crisi. Qualche anno dopo, dal punto di vista politico, evitò di unirsi ai cori per la Brexit ed evitò di esprimere sostegno a Mosca sulla crisi ucraina. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca non fece altro che alimentare le frustrazioni europee, mentre Pechino avrebbe continuato a corteggiare Bruxelles con la Belt and Road Iniative (Bri) senza che, come spiega Riccardo Perissich in questa analisi, l'Europa fosse ancora ad elaborare una "China policy" chiara e condivisa. Da anni, ormai la Cina è stabilmente il secondo partner commerciale dell’Unione, dopo gli Stati Uniti. Ma i rapporti economici sono segnati da un rosso costante per Bruxelles. Il vento nelle relazioni dei 27 con il gigante asiatico è cambiato nel 2019 e precisamente il 12 marzo: delusa dal limitato accesso al mercato interno cinese, frenato anche da un’economia in rallentamento, e allarmata dall’aggressività del nazionalismo impresso dal presidente Xi Jinping, la Commissione Europea ha diffuso un rapporto in cui definiva la Cina “un rivale sistemico che propone modelli di governance alternativi”. Il messaggio era chiaro: la Cina sta cercando di stabilire il suo sistema di governo autocratico in tutto il mondo, come concorrente della democrazia in stile UE.
Nel suo discorso al Consiglio europeo di marzo 2019, il presidente francese Emmanuel Macron affermava che “l’epoca dell’ingenuità europea nei confronti della Cina è finita”. In riferimento a quanto stabilito dal rapporto della Commissione, Macron sottolineava che “questo risveglio era necessario” perché “da diversi anni abbiamo un approccio in ordine sparso e la Cina sfrutta le nostre divisioni”.
Europa meno conciliante?
In seguito c’è stata la pandemia, i lockdown e la crisi economica. Ma il vertice di oggi è stato preceduto, a fine agosto, dal tour europeo del ministro degli esteri cinese, Wang Yi, con tappe in Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Francia e Germania. In quell’occasione l’accoglienza, da parte europea, è stata piuttosto fredda, e se in tutti gli incontri Wang ha denunciato la postura da nuova guerra fredda adottata dagli Stati Uniti, rinnovato gli appelli al multilateralismo, non sono mancate critiche sulle violazioni dei diritti umani in Cina e inedite richieste di “rispetto e collaborazione reciproca”. Che un cambiamento ci sia stato, lo dimostra anche il fatto che, nei giorni della visita di Wang, Berlino sia entrata nel ‘club’ dell’Indo-Pacifico, di cui fa parte anche la Francia, annunciando formalmente l’adozione di una dottrina per la sicurezza strategica nella regione dal titolo significativo: “Germania-Europa-Asia: costruire il 21esimo secolo insieme”.
Fine di una luna di miele?
Per la Nikkei Asian Review è “la fine di una luna di miele”. Ma può definirsi anche l’inizio di una politica comune, da parte dell’Europa, nei confronti di Pechino. Come nel caso del Cai (Comprehensive Agreement on Investment), l’accordo che dovrebbe riequilibrare le condizioni di accesso commerciale all’ingresso del mercato cinese e la garanzia di una competizione paritaria al suo interno per società e investitori europei di fronte ad aziende nazionali cinesi o di paesi terzi. Le imprese cinesi, infatti, operano già in mercati liberi a differenza delle imprese europee in Cina. Se Bruxelles da un lato denuncia le difficoltà ad ottenere aperture, dall’altro Pechino si lamenta delle strette che l’Ue vorrebbe introdurre sulle aziende troppo legate al governo centrale. I negoziati sull’accordo sono in corso da sei anni ma finora non si sono registrati passi avanti. Ora Pechino è chiamata a fare la sua parte.
Il commento
Di Giulia Sciorati, Associate Research Fellow, programma Cina, ISPI
“L’Europa deve essere un giocatore e non un campo di gioco: le parole del Presidente del Consiglio europeo rispecchiano bene un mutato atteggiamento dell’Europa nei confronti della Cina. Inoltre, questo summit, nato e rimasto in sordina, ricalca un trend in voga già dall’Accordo di prima fase tra Stati Uniti e Cina dello scorso gennaio: un’attesa, sempre più palpabile, per i risultati delle elezioni presidenziali americane che hanno ancora il potenziale di influenzare profondamente lo scacchiere internazionale”.
***
A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)