Con l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca è prevedibile che i rapporti tra l'Europa e gli Stati Uniti siano destinati a cambiare.
Gli europei commetterebbero un grave errore se sottovalutassero il significato dell’ascesa alla presidenza USA di una personalità che, per esperienze pregresse e istinto, non sembra possedere la consapevolezza, tradizionale nel mondo politico americano di qualsivoglia colore, dell’importanza storica e attuale del rapporto con i paesi europei, che, insieme agli USA, costituiscono "l'Occidente", con il suo complesso di ideali, valori e interessi condivisi.
Il rischio che l'Europa continui a declinare nella lista delle priorità di Washington è concreto, soprattutto se le tensioni con la Russia cedessero il posto a un corso cooperativo. In una ipotesi del genere, desiderabile se accompagnata dalle giuste condizioni, ne farebbero particolarmente le spese i paesi della sponda sud, esposti alle crisi del Mediterraneo, venendo a godere di un sostegno e di una attenzione da parte degli USA inferiori al passato.
Il cambiamento potrà riguardare tre ambiti.
In primo luogo, quello delle relazioni bilaterali tra Washington e i paesi europei, tradizionali partners e alleati. Per questi, la sfida sarà quella di rimanere rilevanti, sotto diversi aspetti, agli occhi della prossima amministrazione.
Se Trump rimanesse fedele allo stile ed alla sostanza esibiti in campagna elettorale, i singoli paesi Europei avranno un peso relativamente scarso nel suo orizzonte di politica estera. Potranno fare in parte eccezione il Regno Unito, per i legami storici ed istintivi tra i due paesi, oltre che per i vasti interessi personali del Presidente eletto, la Francia, per la condivisione dello status alle Nazioni Unite, e naturalmente la Germania, per il suo obiettivo peso economico e geopolitico. Gli altri, Italia compresa, dovranno raddoppiare gli sforzi per farsi riconoscere come interlocutori validi, al di là delle belle parole di cui gli americani sono sempre stati prodighi. A nostro favore, giocano la presenza degli elettori italo-americani (il ruolo di Giuliani nella stretta cerchia di Trump potrebbe aiutarci) e la posizione strategica nel cuore del Mediterraneo. Tuttavia, il peso di questo fattore diverrà chiaro solo una volta precisata la politica della amministrazione Trump in Medio Oriente che, si badi bene, non si esaurisce nella pur vitale eliminazione dell'insediamento territoriale di Daesh.
Il secondo ambito riguarda i rapporti degli Stati Uniti con l'Unione Europea.
Su questo piano, nulla può più essere dato per scontato. È indispensabile che i membri dell’UE si convincano, senza reticenze o meschine illusioni nazionali, che, per farsi valere con un Presidente che sbandiera il principio della “America first”, debbono presentarsi coesi e con unitarietà di intenti.
In passato non sono mancate frizioni ed incomprensioni tra Bruxelles e Washington su questioni commerciali o regolatorie. Non è azzardato immaginare che il potenziale per simili tensioni cresca con la prossima amministrazione, votata non solo alla tutela ma alla affermazione muscolare degli interessi americani. Gli interessi europei ne uscirebbero schiacciati qualora l'UE si mostrasse incerta o divisa.
Rischi altrettanto seri produrrebbe una debole capacità dell’UE di farsi valere come partner forte e credibile nel settore della politica estera e di sicurezza.
Difficilmente Trump potrà rimanere ancorato al suo istinto isolazionista. Una potenza globale come gli USA non può rinchiudersi nel proprio recinto. Le responsabilità si imporranno anche a un leader riluttante, senza contare la messa in pericolo di interessi vitali americani. Il Presidente eletto, però, ha mostrato di non essere portato a esercitare la leadership attraverso la costruzione del consenso e di alleanze. L'importanza dell'Europa come spalla dell'azione internazionale degli Stati Uniti sembra avviata al declino.
Questo scenario impone agli europei di muoversi in due direzioni complementari.
In primo luogo, dovranno agire per tempo e senza timidezze per essere propositivi a Washington, additando aspettative e percorsi sulle maggiori crisi aperte, in vista di una azione comune. Senza questo contributo europeo, non potremmo escludere posizioni o iniziative USA su questioni cruciali come le crisi mediorientali ed il terrorismo, il futuro dell'accordo sul nucleare con l'Iran, i rapporti con la Russia, le relazioni con la Cina, non allineate con le nostre sensibilità e interessi.
In secondo luogo, occorre che l'Unione Europea si decida a potenziare la propria sfera di azione in materia di politica estera e di difesa, acquisendo le necessarie risorse e superando resistenze ideologiche e pratiche. Questa presa di coscienza, con relativa assunzione di responsabilità, è sembrata infine delinearsi. Con la Presidenza Trump verrà meno l'alibi della supposta contraddizione tra strumenti europei e atlantici, messa avanti ad arte per frenare la PESC-PESD.
Collegato a quest'ultima dimensione appare il terzo ambito delle relazioni euro-americane, quello del legame transatlantico imperniato sulla NATO.
È superfluo sottolineare che è vitale interesse comune salvaguardare l'Alleanza che ha assicurato la nostra difesa durante gli anni della guerra fredda e che oggi, in un mondo sempre più imprevedibile, con gli opportuni aggiornamenti continua a rappresentare uno strumento cruciale di sicurezza.
La premessa è una più equa distribuzione degli oneri tra USA e alleati europei. Su questo il Presidente eletto è stato chiaro sino alla brutalità. Lo sviluppo delle capacità europee, in risorse e in maggiori responsabilità operative autonome, deve quindi andare a beneficio anche della operatività della NATO.
Bisogna al contempo realizzare una maggiore sintonia politica tra gli alleati sugli obiettivi della NATO nel post guerra fredda. Occorrerà conciliarne la missione centrale della difesa collettiva e della dissuasione, invocata in particolare dagli alleati dell'Europa centro-orientale, vicini a una Russia tornata assertiva, con un rinnovato sforzo volto a esplorare se vi sia ancora lo spazio per riprendere l'approccio disegnato alla caduta del muro di Berlino e che poi, per responsabilità di entrambe le parti, si è perso per strada. All'epoca, e negli anni immediatamente successivi, si pensava che la NATO potesse sostenere la stabilità complessiva dell'area euro-atlantica, in un quadro di dialogo e cooperazione con Mosca.
Trump, con il suo annunciato "reset" verso la Russia, potrebbe essere il leader adatto a favorire questo ritorno allo scenario originario, senza nasconderci però che nel frattempo il quadro internazionale è molto peggiorato e che sulla articolazione concettuale del prossimo Presidente non abbiamo elementi univoci. Una svolta di questo genere chiamerebbe gli alleati europei a far sentire la loro voce per contribuire a una architettura euro-atlantica di respiro strategico, coerente con gli interessi di tutti e che racchiuda le condizioni necessarie per essere stabile e duratura.
Giancarlo Aragona, ISPI Senior Advisor