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Commentary

Falsi miti/2: la guerra ibrida russa

Andrea Carati
10 ottobre 2014

La crisi che nel corso del 2014 ha travolto l’Ucraina è stata, comprensibilmente, l’epicentro di una serie di ripensamenti politico-strategici su diversi fronti. Le vicende ucraine hanno infatti investito, oltre gli assetti politici e i conflitti interni al paese, anche la politica estera russa e le diverse aspettative che i paesi occidentali avevano rispetto ai disegni politici di Putin, alla Nato e infine le priorità dell’Alleanza  di fronte a una politica più assertiva da parte russa, l’Ue e le sue divisioni interne. Nel dibattito pubblico, sia quello giornalistico sia quello fra gli esperti, la crisi in Ucraina ha similmente sollevato le interpretazioni più svariate e, in alcuni casi, addirittura bizzarre. Nei giorni della crisi e alla luce delle azioni da parte russa si è invocato un ritorno alla Guerra fredda, si sono ipotizzati paralleli azzardati fra crisi locali (solitamente nell’Europa dell’Est), foriere di deflagrare in conflitti mondiali, e l’eventualità che il conflitto ucraino possa condurci a una guerra generalizzata, si è inoltre agganciata la vitalità della Nato e la una sua ennesima trasformazione all’evoluzione degli eventi in Ucraina.

Uno dei più singolari, e fuorvianti, concetti scomodati è quello di guerra ibrida. Una nozione attribuita all’ingerenza russa in Ucraina, riferita sia al ruolo che la Federazione russa ha giocato in Crimea e che ha avviato il processo di annessione al supporto fornito dalla Russia ai ribelli filo-russi nelle province orientali del paese. La guerra ibrida condotta da parte russa, stando al dibattito giornalistico, si riferirebbe alla multidimensionalità del suo intervento, in cui sono comprese azioni più o meno clandestine (l’infiltrazione di soldati russi con divise prive di distintivi in Crimea), rifornimenti di asset militari ai ribelli del Donbass (come i missili terra-aria di difesa antiaerea che nell’estate hanno abbattuto il volo di linea olandese), la partecipazione delle Forze armate russe a livello di addestramento e direzione tattica a favore dei ribelli filo-russi dell’est. La guerra ibrida, facendo leva sulla vaghezza del concetto, può a secondo dei casi comprendere una dimensione, parallela a quella militare e operativa, relativa alla propaganda, alla guerra psicologica, al controllo/infiltrazione dei sistemi informatici e altro ancora.

Vale la pena sottolineare tuttavia che la nozione di guerra ibrida, soprattutto se utilizzata in modo generico e comprensivo di ogni tipo di azione russa, non ci dice un granché sulla crisi e sul ruolo della Federazione. Non solo questa rischia da un lato di dare un’etichetta nuova, richiamando erroneamente un fenomeno inedito, a forme d’ingerenza vecchie come gli stati nazionali e, dall’altro lato, ignora il fatto che il concetto di guerra ibrida sia emerso nel dibattito degli studi strategici una decina di anni fa, in esplicito riferimento alla guerra di resistenza di Hezbollah contro l’intervento israeliano in Libano del 2006, ma con un significato più preciso e del tutto estraneo a ciò che la Federazione russa ha fatto in Ucraina in questi mesi.

Sul primo aspetto, è fin troppo facile ritrovare nella storia esempi di grandi potenze che hanno finanziato, aiutato, alimentato gruppi di ribelli in un altro paese al fine di perseguire o difendere il proprio interesse nazionale, o addirittura per ridisegnare i confini territoriali degli stessi paesi. I paesi occidentali e gli Stati Uniti (si pensi al loro ruolo in America Latina) non sono senza macchia da questo punto di vista. Che questo sia stato fatto in nome della difesa (presunta o reale che sia) dei propri cittadini all’estero o in nome della difesa di un ceppo linguistico-culturale comune, o in nome di un irrinunciabile imperativo di sicurezza nazionale è materia che distingue un singolo caso d’ingerenza da un altro. Tuttavia, al di là del giudizio sul ruolo della Federazione russa in Ucraina, leggere a tutti i costi delle novità che non ci sono finisce per trascurare la natura fin troppo tradizionale dell’azione russa.

Sul secondo elemento di confusione, va sottolineato che il concetto di guerra ibrida si è diffuso dopo la guerra in Libano del 2006 e ha ispirato il primo documento strategico adottato dall’amministrazione di Barak Obama – il Quadrennial Defense Review Report 2010. In quel documento, come nella lettura specialistica degli studi strategici, il concetto di guerra ibrida si riferisce in maniera più puntuale a una modalità di condurre un conflitto utilizzando metodi e personale convenzionale (le forze armate regolari di un paese) in combinazione con formazioni e metodi non convenzionali (guerriglia, terrorismo). Hezbollah raccolse diversi successi sul piano tattico contro l’intervento militare israeliano nel 2006 proprio perché integrò (nella catena di comando e nella conduzione strategica del conflitto) tecniche di guerriglia con una resistenza sul piano convenzionale alle incursioni di terra delle forze armate israeliane. Le modalità del conflitto, alla luce delle significative perdite da parte dell’esercito israeliano, allarmarono Israele e indirettamente gli Stati Uniti al punto di fare della guerra ibrida una delle principali forme di guerra del futuro più preoccupanti.

L’ingerenza russa in Ucraina non ha preso le forme di una guerra ibrida perché anzitutto non abbiamo assistito a una guerra da parte russa, né convenzionale né non convenzionale. Il ruolo russo nella crisi ucraina, anche quello militare, è molto più tradizionale di quanto le nuove etichette facciano pensare. L’inclinazione a vedere delle novità in tutto – e di attribuire alle novità alternativamente una sensazione di pericolo o un potere salvifico – è certo lo spirito dei nostri tempi ma, a un’analisi attenta, nel ruolo russo in Ucraina prevale certo la consuetudine sul nuovo.

Andrea Carati, Università degli Studi di Milano e Ispi Associate Research Fellow.

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Filippo Fasulo
Co-Head, ISPI Centre on Business Scenarios

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Russia Ucraina Crisi Guerra Fredda intervento militare guerra ibrida Putin
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Autori

Andrea Carati
Associate Research Fellow

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