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MEDITERRANEO

Filiere produttive: Nord chiama Sud

Alessandro Gili
|
Davide Tentori
08 luglio 2022

Il conflitto tra Russia e Ucraina ha ridato vigore a un dibattito che era già in corso da alcuni anni: il futuro della globalizzazione e la ridefinizione delle catene globali del valore. Reshoring, nearshoring, friendshoring sono facce di uno stesso prisma, relativo alla creazione e al rafforzamento di legami commerciali e di investimenti con partner geograficamente più vicini o considerati più “affidabili” dal punto di vista della condivisione di valori comuni o della stabilità geopolitica. L’Unione Europea sta considerando già da diverso tempo di accorciare le proprie filiere produttive in settori strategici per le proprie industrie manifatturiere: in questo senso, l’area del Mediterraneo potrebbe costituire un’area molto importante per rafforzare supply chains di livello regionale. A che punto siamo? Quali progetti sono in cantiere e quali strumenti servirebbero per rafforzare l’integrazione, generando opportunità di crescita e sviluppo win-win?

 

La sponda Sud del Mediterraneo: potenzialità ancora da esprimere

La regione MENA non ha fatto eccezione rispetto al resto del mondo ed è stata duramente colpita dalla pandemia a livello economico, con una recessione del 5,2% nel 2020. Una performance che si è innestata su un contesto già fragile per fattori diversi, che vanno dalla latente instabilità politica alla forte dipendenza esterna per l’importazione di input chiave, soprattutto a livello alimentare, passando per un pesante deficit di infrastrutture e di connettività soprattutto intra-regionale, segno più evidente dei contrasti a livello diplomatico che persistono tra Paesi dell’area. In effetti, il gap infrastrutturale è uno degli elementi che più contribuisce a ritardare lo sviluppo economico della regione, creando innanzitutto colli di bottiglia che rallentano i trasporti aumentandone i costi (si stima che i costi dei servizi portuali siano fino al 40% superiori della media globale) e scoraggiando anche gli investimenti diretti esteri tra gli Stati che fanno parte della regione (costituiscono infatti solo l’1% del totale).

In generale, dunque, rispetto al potenziale della regione (caratterizzata da un buon livello di sviluppo dei mercati e da una buona disponibilità di capitale umano), il livello degli investimenti rimane decisamente insoddisfacente nonostante alcune eccezioni positive come Egitto e Marocco. Tuttavia, l’integrazione commerciale nella regione del Mediterraneo (considerando anche i Paesi europei della Sponda Nord) è aumentata costantemente negli ultimi vent’anni, soprattutto a livello di supply chains, anche se negli ultimi anni si è verificato un rallentamento. I Paesi che presentano una maggiore integrazione con l’Europa (misurata in termini di valore aggiunto importato dall’estero) sono Marocco e Tunisia, avvantaggiati in alcuni settori manifatturieri particolarmente rilevanti quali la produzione di componenti per aeromobili e autovetture (settori che garantiscono legami stretti soprattutto con Francia e Italia).

 

ZES: la chiave per attirare più investimenti?

Proprio per supplire alla marginalità della regione nelle catene internazionali del valore, i Governi dei diversi Paesi hanno adottato diverse strategie per migliorare e aumentare l’attrazione di investimenti diretti esteri (IDE). Se progressi considerevoli sono stati conseguiti attraverso riforme economiche e una riduzione progressiva delle restrizioni agli investimenti esteri, uno strumento importante per rafforzare la crescita e favorire l’integrazione economica regionale potrebbe essere costituito dalla creazione di Zone economiche speciali (ZES). In particolare, le ZES possono costituire uno stimolo per lo sviluppo di infrastrutture regionali e di collegamento con l’Europa e il resto del mondo. Come è ben noto, le Zone economiche speciali sono, in ampi termini, aree delimitate geograficamente all’interno di confini nazionali, dove le leggi e i regolamenti sono semplificati, sono presenti incentivi fiscali o riduzioni tariffarie e, infine, vi è la presenza di un contesto infrastrutturale rafforzato.

Nell’area MENA il potenziale di sviluppo delle ZES è ancora agli albori e molto ampi sono gli spazi di potenziamento. Tuttavia, esse hanno già in alcuni casi dispiegato un’importante funzione per lo sviluppo economico dei Paesi in cui sono state create. Alcune Free Trade Zones (FTZs), ad esempio, sono prevalenti in Medio Oriente (si pensi alla Jebeli Ali Free Zone negli Emirati Arabi Uniti) e hanno aumentato i flussi commerciali attraverso pratiche quali il transhipment. Le Qualifying Industrial Zones (QIZs) in Giordania ed Egitto sono altri esempi di strumenti utili ad attrarre investimenti esteri capaci di trasformare progressivamente la politica industriale e l’intero tessuto industriale del Paese, migliorandone la competitività generale, aumentando la diversificazione produttiva e l’occupazione. Nel passato recente, invece, le ZES nella regione sono state totalmente scollegate dal tessuto economico nazionale e questo, unito alla centralità della produzione di idrocarburi nelle economie nazionali, ha determinato finora la scarsa integrazione nelle catene globali del valore e la creazione di un settore privato competitivo.

La natura delle ZES nella regione sta ora cambiando. Alcune iniziative quali i Parchi tecnologici in Tunisia, la ZES di Aqaba in Giordania e Tanger Med in Marocco sembrano aver conseguito un certo grado di successo nel migliorare i collegamenti tra queste zone con il resto dell’economia nazionale e, in una prospettiva mediterranea, l’integrazione nelle catene regionali e globali del valore. Altrettanto promettente sembra essere la costituzione di FTZs nella forma di partnership tra Governi (G2G): la Suez Canal Economic Zone in Ain Hokhna (con rilevanti investimenti cinesi) e l’Algeria-China Jiangling Free Trade Zone.

L'espansione del Canale di Suez nel 2015, per migliorare la posizione dell'Egitto nel commercio marittimo globale, è stata seguita dalla creazione della Zona Economica del Canale di Suez (SCZone) per sfruttare il suo potenziale di attrazione degli investimenti e di crescita orientata all'esportazione. Questi megaprogetti fanno parte della Vision 2030 dell'Egitto, finalizzata a creare posti di lavoro e rafforzare una crescita sostenibile. La SCZone è stata istituita su un’area di 461 km² e sei porti marittimi sono situati in una posizione strategica lungo il Canale con accesso diretto ai porti, per servire come hub logistico internazionale. Per gestire e supervisionare efficacemente lo sviluppo della zona, è stata successivamente costituita un'autorità speciale autonoma denominata SCZone Authority.

La SCZone ha recentemente sviluppato una strategia 2020-25 per diventare un hub di investimento internazionale e una piattaforma di esportazione con un accesso distintivo ai mercati africani. Per sostenere l'attuazione di questa strategia, la SCZone si basa su diversi strumenti e politiche, quali l'assetto e la preparazione delle infrastrutture abilitanti, il quadro normativo, gli incentivi finanziari, la fornitura di servizi e il vantaggio di costo. E dispone di quattro zone industriali (Sokhna, Ain Sokhna, Port Said e Qantara West), destinate a vari tipi di investimenti produttivi all'interno di un'ampia gamma di cluster industriali. Non si concentra esclusivamente sui servizi marittimi, ma più in generale sull'offerta di un ambiente di investimento attraente per le industrie manifatturiere medie, leggere e pesanti, nonché per i servizi a più alto valore aggiunto, come le energie rinnovabili e le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Tra gli altri settori interessati figurano il farmaceutico, l'agroalimentare, il tessile e l'elettronica di consumo.

In generale, la competizione tra le diverse zone per attrarre investimenti ha registrato un forte aumento nel corso degli ultimi anni, e la Sponda Nord del Mediterraneo non resta a guardare. L’Italia ha creato 8 ZES nel Mezzogiorno, con il fine ultimo di creare una piattaforma logistica per il Mediterraneo e migliorare la dotazione infrastrutturale dell’area, anche grazie ai collegamenti TEN-T, che permetteranno alle merci di fluire in modo rapido nel resto d’Europa. Analoghe iniziative sono state condotte da Spagna, Francia e Grecia, grazie anche all’afflusso dei fondi PNRR.

 

Infrastrutture sempre più centrali

La riorganizzazione delle catene del valore, e il rientro (re-shoring) o riavvicinamento (nearshoring) di alcune delle produzioni considerate strategiche porta anche a una riconsiderazione del ruolo delle infrastrutture e dell’organizzazione delle catene del valore nel Mediterraneo. Non più necessariamente un’ottica di contrapposizione e competizione, ma una prospettiva di cooperazione tra le due sponde del Mediterraneo, in cui ognuna dovrebbe specializzarsi nella produzione e nella gestione logistica dei settori in cui gode di un vantaggio comparato. E questo tipo di approccio sembra confermato dal recente lancio del Global Gateway, in cui parte dei 300 miliardi di euro previsti saranno destinati all’area e al miglioramento dei collegamenti con il mercato europeo. In quest’ottica va letto anche lo sforzo finanziario delle banche regionali di sviluppo, con un ruolo di primo piano della BERS e della BEI per gli investimenti nella regione e per l’attrazione di investimenti privati, cruciali per ridurre l’importante gap infrastrutturale della regione. Un gap che ammonta a circa il 7% del Pil regionale ed è quindi pari a 100 miliardi di dollari l’anno. La BEI, in particolare, attraverso il piano NDICI-Global Europe, intende aumentare gli investimenti in infrastrutture che migliorino i collegamenti dell’Unione Europea con il resto del mondo: dei circa 80 miliardi di euro previsti, una parte considerevole andrà alla regione euro-mediterranea. La vera sfida ora riguarda il rafforzamento delle infrastrutture interne e il miglioramento delle interconnessioni intra-regionali nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. Si tratta di una condizione imprescindibile per creare un’efficiente catena del valore regionale, una piattaforma logistica integrata per l’area e per garantire un flusso di investimenti privati e la nascita di un ecosistema industriale competitivo.

 

L’ostacolo dell’instabilità

La guerra in Ucraina avrà molto probabilmente un impatto negativo sui Paesi della Sponda Sud del Mediterraneo, in particolare quelli che risentono in maniera più significativa della carenza di materie prime agricole importate attraverso il Mar Nero. All’interno di questo contesto, non mancano Paesi che invece potrebbero risultare avvantaggiati grazie al loro ruolo sempre più strategico di fornitori energetici all’Europa (Algeria in primis, ma in prospettiva anche Egitto).

Tuttavia, l’attuale situazione internazionale e l’incertezza legata al futuro della globalizzazione potrebbe favorire l’afflusso di maggiori investimenti europei nella regione sfruttando i vantaggi comparati in alcuni settori manifatturieri, grazie a costi più bassi e forza lavoro qualificata. Opportunità che potranno essere sfruttate appieno solo se sostenuti da interventi concreti mirati ad aumentare la competitività della Sponda Sud, in particolare attraverso investimenti in infrastrutture (soprattutto a livello portuale, stradale e ferroviario) per migliorare la connettività e sfruttando i vantaggi offerti dalle ZES per aumentare l’attrattività di questi Paesi.

Dietro l’angolo, continua però a incombere lo spettro dell’instabilità politica come principale freno a flussi di investimenti esteri più robusti e continui nel tempo. Se gli interventi promessi dall’UE attraverso iniziative come Global Gateway si trasformeranno in veri progetti tesi anche a rafforzare l’integrazione intra-regionale, allora la creazione di un ecosistema più favorevole agli investimenti e allo sviluppo economico potrebbe favorire anche una maggiore stabilità politica e sociale. 

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Tags

Geoeconomia infrastrutture Europa Area Mena
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AUTORI

Alessandro Gili
ISPI
Davide Tentori
ISPI

Image Credits (CC BY-SA 4.0): NAC, Wikimedia Commons

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