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Commentary

Fine della tecnocrazia, inizio della politica?

26 novembre 2014

Il recente scambio di opinioni fra Juncker e Renzi sulla natura dell’esecutivo dell’Unione Europea ha riportato alla luce la questione sul ruolo tecnico o politico della Commissione Europea. La Commissione è un organo tecnico, composto da grigi burocrati, o è un organo politico, espressione della volontà di una maggioranza? La selezione dell’esecutivo dell’Unione unisce caratteristiche parlamentari e presidenziali: parlamentari perché la selezione del presidente della Commissione è basata ora su candidati presentati dai partiti che partecipano alle elezioni Europee e la nomina è l’espressione di una maggioranza legislativa bicamerale; presidenziali perché la sopravvivenza dell’esecutivo non dipende da tale maggioranza (la mozione di censura necessita di una maggioranza qualificata ed è più simile all’impeachment che ad una mozione di sfiducia, inoltre elezioni europee anticipate non sono previste).

Ma l’assetto istituzionale è una condizione né sufficiente né necessaria per determinare se un organo è politico, come non lo è neppure la nomina di politici di professione a commissari (un aspetto ormai consolidato). A mio modo di vedere, porre la questione in questi termini significa presupporre che esista un criterio oggettivo per distinguere una questione di policy come tecnica o politica. Tale criterio non esiste. Forse l’unica eccezione sono i limiti imposti dalla fisica e dall’innovazione tecnologica (la fusione nucleare non si ottiene per decreto). Ma la gran parte delle decisioni prese delle instituzioni di un sistema politico non ha nulla a che fare con la fisica. Considerarle quindi tecniche o politiche è una costruzione sociale.

Nel periodo fra le due guerre mondiali, la politica commerciale era di grande rilevanza politica. Nel secondo dopoguerra, preso atto delle conseguenze nefaste del protezionismo, diventa una questione tecnica seguendo il funzionalismo di Monnet e viene delegata alla Commissione. Ma le misure antidumping che può imporre la Commissione sull’import extra-Europeo sono funzionalmente equivalenti alle tariffe intra-Europee degli anni trenta. La differenza sta quindi nella consapevolezza dei rischi legati al protezionismo.

Modificare il tasso di interesse o l’acquisto del debito pubblico da parte della banca centrale erano decisioni squisitamente politiche in molti paesi europei negli anni settanta, fino a quando non ci si rese conto che una lotta credibile all’inflazione necessitava di una banca centrale indipendente.

Al consenso si associa frequentemente la delega e una decisione che prima era politica ora è tecnica, sebbene sia esattamente la stessa. Inoltre il beneficiario della delega, come una banca centrale, ha tutto l’interesse a nascondersi dietro la tecnicità o la complessità delle sue decisioni, sia per evitare il conflitto che per tutelare le sue prerogative.

La natura tecnica di una misura non è neppure legata alla sua complessità. La politica pensionistica ad esempio non è più semplice di quella monetaria. Affronta problemi molto complessi, eppure è oggetto di aspri dibattiti e le misure adottate sono squisitamente politiche.

Alcune questioni sono considerate politiche in un paese ma tecniche in un altro. Negli Stati Uniti, il riscaldamento climatico è ampiamente (e tristemente) dibattuto in politica, nonostante il consenso scientifico sulle sue cause antropogeniche. In Europa, dove è raramente oggetto di aperto confronto fra le parti politiche, è una questione più che altro tecnica, da delegare a esperti. È il conflitto che fa la differenza.

Torniamo alla Commissione. Nel corso degli anni, all’esecutivo dell’Unione sono state delegate un numero crescente di competenze di policy. Come dicevamo una condizione necessaria (ma non sufficiente) per tale delega è la convergenza di vedute fra gli stati membri. In altre parole, il consenso rendeva tecnica una politica e ne giustificava la delega a una burocrazia.

All’aumentare dei poteri della Commissione, tale sintonia rischia di venir meno, la trasparenza ne soffre e il dissenso affiora. In altre parole, le questioni diventano politiche. La Commissione è oramai soggetta a critiche aspre - Renzi docet – e quando il conflitto è aperto, il modo migliore per legittimare le proprie decisioni è di farsi interprete di una maggioranza – Juncker respondet. 

In un’Europa con più contrasti, c’è più politica.

Fabio Franchino, Università degli Studi di Milano

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