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Daily Focus
Fondo Salva Stati: what a MES!
Antonio Villafranca
|
Fabio Parola
02 Dicembre 2019

La riforma del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, detto anche “Fondo Salva Stati”, accende il dibattito politico. Oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha riferito alle camere, ma è stato solo il preludio di un rinvio: tutto si deciderà l’11 dicembre, quando, dopo le comunicazioni del premier in vista del Consiglio Ue, il Parlamento sarà chiamato a varare una risoluzione comune. Sulla riforma i fronti sono contrapposti ma, in generale, in un clima di grande confusione: di seguito qualche domanda e i punti chiave per orientarsi. Che cos’è esattamente il Fondo Salva Stati? Come funziona, a chi serve e come sarà riformato? Cerchiamo di fare il punto.

 

Perché è nato un Fondo Salva Stati?

Quando nel 2010-2011 alcuni paesi Ue si trovarono sull’orlo del tracollo finanziario ci si è scontrati con un punto saldo dei Trattati europei (l’art. 123 del TFUE) che vieta agli stati membri e alla Banca centrale europea di ‘salvare’ stati europei in difficoltà. Un articolo che era stato fortemente voluto dai paesi del nord dell’Europa, a partire dalla Germania, che temevano che paesi altamente indebitati potessero continuare a farlo nella convinzione che in caso di necessità altri paesi europei sarebbero andati in loro soccorso scaricando così, almeno in parte, l’onere sui contribuenti europei. Ma in un clima di emergenza per alcuni paesi dell’Eurozona (Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda e Italia) che poteva mettere a rischio l’esistenza stessa della moneta unica, i leader europei si trovarono costretti a trovare degli escamotage per aggirare l’art 123. 

È in questo contesto che nasce nel 2010 un primo fondo temporaneo: il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF). Si trattava in realtà di una società di diritto lussemburghese che poteva sostenere finanziariamente gli stati in difficoltà (con prestiti e acquisti di titoli dello stato) e loro banche finanziandosi a sua volta emettendo titoli garantiti dai singoli paesi europei in proporzione al capitale da questi versati nella BCE (ovvero sostanzialmente in base alla popolazione e al Pil dei paesi). In pratica, se i mercati finanziari si fossero rifiutati di prestare altri soldi al paese in difficoltà (o fossero stati disposti a farlo solo a interessi esorbitanti) sarebbe intervenuto lo EFSF, in grado di reperire i fondi necessari a tassi più bassi, proprio grazie alle garanzie fornite dai paesi membri (tra cui quelli solidi del nord Europa), per poi girarli sotto forma di prestiti al paese in difficoltà. È proprio quello che è successo con Irlanda, Portogallo e Grecia cui lo EFSF ha assegnato complessivamente quasi 175 miliardi di euro. Di fronte al perdurare della crisi all’interno dell’Eurozona e a crescenti pressioni da parte dei Paesi maggiormente esposti, inclusa l’Italia, a partire dal luglio del 2012 l’EFSF (insieme al Fondo EFSM che faceva capo alla Commissione Ue) è stato sostituito da un fondo permanente: il Meccanismo europeo di stabilità (MES), cosiddetto ‘Fondo salva-stati’

 

Che cosa è il MES?

Il MES diversamente dall’EFSF non è una semplice società lussemburghese ma una organizzazione internazionale costituita con un Trattato affiancato ma non incluso in quelli Ue. Il capitale su cui può contare il MES è di 700 miliardi di euro di cui gli stati membri iniziano a versare pro quota 80 miliardi di euro (con quasi il 27% del capitale la Germania è il primo contributore; L’Italia partecipa con il 18%).

I prestiti concessi dal MES – dietro esplicita richiesta da parte dello stato in difficoltà – sono soggetti a una rigida condizionalità, ovvero all’approvazione di un memorandum d’intesa (MoU) con il paese in difficoltà che definisce le condizioni (in termini in generale di tagli al deficit e al debito e di riforme strutturali) alle quali il prestito viene concesso. Il MES prende le proprie decisioni con una super maggioranza dei voti dei paesi membri e opera in stretto coordinamento con la Commissione europea cui spetta ad esempio la negoziazione sul MoU con il paese coinvolto e con la BCE e il FMI (nel caso in cui quest’ultimo venga coinvolto nel salvataggio). Ad oggi il MES ha concesso prestiti a Cipro (€6,3 miliardi), Grecia (€61,9 miliardi) e Spagna (€41,3 miliardi). 

 

 

 

Perché un nuovo Trattato sul MES?

Di riforma e rafforzamento del MES si parla ormai da diversi anni. Al riguardo si sono succedute diverse proposte che non hanno mancato di suscitare aspre polemiche tra i più solidi paesi del Nord Europa, da un lato, e i paesi maggiormente indebitati dall’altro. Ciò che però unisce tutti è la consapevolezza che il MES necessiti di un miglior chiarimento dei suoi ruoli e del suo inserimento all’interno delle Istituzioni comprese negli altri Trattati dell’Ue. Ciò perché lo si ritiene non pienamente adeguato nel caso si ripresentino condizioni che mettano a rischio l’Eurozona sia in merito al suo funzionamento sia in merito ai suoi ambiti e modalità di intervento. 

A tal riguardo nel testo del nuovo Trattato sul MES si introducono due rilevanti riforme. La prima è di grande importanza e urgenza: sarà proprio il MES a fornire il backstop al Fondo di risoluzione comune delle banche. In pratica se una o più banche fossero in grave difficoltà, il MES - che può contare su ingenti fondi - sarà il garante del Fondo di risoluzione comune: attualmente in corso di formazione, il Fondo è stato pensato per accantonare, tramite contributi delle banche dei paesi membri, le risorse necessarie ad aiutare la risoluzione ordinata di banche di interesse europeo. Una riforma non facile da accettare per i paesi del Nord Europa che temono di dover far fronte agli eccessivi rischi assunti dalle banche degli altri paesi. Ma una decisa trattativa ha consentito di ottenere il loro consenso. Val la pena di ricordare che il salvataggio delle banche in crisi può avvenire anche in paesi con conti pubblici in ordine e che lasciar fallire senza aiuti banche di qualche rilievo in paesi molto indebitati rischia di precipitare una crisi sistemica in tutta l’Eurozona.

 

Chi può essere ‘salvato’ dal MES?

La seconda riforma introdotta dal Trattato sul MES è quella che ha attratto maggiori critiche e attenzione, ovvero il ‘salvataggio’ di interi paesi. Particolarmente delicata è la questione delle regole relative all’attivazione della procedura di ristrutturazione del debito, ovvero del coinvolgimento dei detentori dei titoli del debito pubblico. Questi potrebbero vedersi tagliare (c.d. ‘haircut’) il valore dei titoli che avevano acquistato da un paese che si è trovato poi in difficoltà nei relativi pagamenti. La logica è che a rimetterci devono essere anche loro perché nel momento in cui hanno acquistato i titoli oltre alla prospettiva di guadagno si sono assunti anche i relativi rischi. Gli stati dell’Eurozona dovranno quindi intervenire solo successivamente attraverso i prestiti concessi dal MES (a questo punto più ridotti proprio a seguito del preliminare coinvolgimento dei detentori dei titoli). I paesi del Nord, a iniziare dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann, spingevano per una ristrutturazione automatica da attivare secondo regole trasparenti e predefinite prima che un paese potesse attingere ai fondi del Mes. Si sarebbe trattato di un’opzione potenzialmente pericolosa per un paese altamente indebitato come l’Italia perché avrebbe potuto generare panico sui mercati e vendite improvvise ed eccessive, con il rischio di avviare spirali speculative: i grandi speculatori avrebbero infatti potuto ‘scommettere’ contro il paese in difficoltà spingendolo verso la soglia di attivazione automatica secondo il più classico esempio di ‘profezia che si auto-avvera’. Questa prospettiva è stata però attenuata perché nell’ultimo testo del Trattato sul Mes si prevede che prima dell’avvio della ristrutturazione del debito si dovrà procedere a una analisi della sostenibilità del debito, legata quindi alla futura capacità del paese di ripagarlo. A procedere a tale analisi saranno sia la Commissione che il MES. Questo affiancamento del MES (istituzione intergovernativa), alla Commissione (istituzione sovranazionale) è uno dei punti critici della riforma che molti hanno rimarcato, anche perché il MES prenderà in considerazione principalmente la capacità del paese di ripagare il prestito del Mes stesso (e non necessariamente l’interesse dell’intera Ue, come fa invece la Commissione). È evidente comunque che l’analisi di sostenibilità comporta ampi margini di discrezionalità e negoziazione. Se il risultato sarà negativo, il paese sarà tenuto alla ristrutturazione del proprio debito, peraltro con regole di coinvolgimento dei detentori dei titoli rese più veloci  e ordinate (come la cosiddetta ‘clausola single limb’). Se il paese non presenta un debito sostenibile - malgrado la ristrutturazione del proprio debito o se si rifiuterà di provvedervi - non potrà ricorrere ai prestiti del MES.

 

E ora: quale tabella di marcia?

Le modifiche sopra esposte sono il frutto di lunghe negoziazione che si sono chiuse lo scorso giugno quando l’Eurogruppo ha approvato all’unanimità gli ultimi emendamenti al Trattato. Per la sua entrata in vigore bisogna ora passare dall’approvazione unanime dei capi di stato e di governo in occasione del Consiglio europeo del 12-13 dicembre. Dopo questa approvazione, la parola passerà ai singoli stati che dovranno provvedere entro 12-18 mesi alla ratifica del Trattato secondo le proprie norme costituzionali. Nella maggior parte dei casi, incluso quello italiano, sarà il Parlamento l’istituzione chiamata a esprimersi sulla ratifica. Si tratta dunque di un lungo percorso a ostacoli in cui è ovviamente lecito esprimere posizioni critiche su singole proposte di riforma. L’auspicio è comunque che non si perda di vista che il MES rappresenta un importante esercizio di solidarietà europea. Una solidarietà ancora più importante per i paesi più indebitati, a partire proprio dall’Italia con il suo esorbitante 133% del rapporto debito/Pil (con il debito già oltre i 2.350 miliardi di euro). La questione della sostenibilità del debito è una priorità per il nostro paese, a prescindere dall’intervento o meno del MES. Anche senza MES, se i mercati giudicassero insostenibile il nostro debito, ci costringerebbero, più o meno direttamente, a ristrutturarlo in modo traumatico e disordinato perché senza l’intervento di un arbitro pubblico e potenziale finanziatore come il MES.

 

 

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Europa economia
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AUTORI

Antonio Villafranca
ISPI Research Coordinator - CO-HEAD EUROPA E GOVERNANCE GLOBALE
Fabio Parola
ISPI Research assistant - EUROPA E GOVERNANCE GLOBALE

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