Con la notizia che il Trans Adriatic Pipeline (TAP) è finalmente pronto a entrare in funzione, si conclude il lungo percorso di realizzazione del Corridoio Meridionale del Gas: un’infrastruttura che collega i giacimenti del Caspio ai mercati dell’Europa occidentale e che l’Unione Europea (UE) considera strategica per la propria sicurezza energetica in quanto dovrebbe contribuire a ridurre la dipendenza dei Paesi europei dalle forniture di gas provenienti dalla Russia. Ma sarà davvero così?
Alle origini del progetto
A partire dai primi anni Duemila l’UE ha intensificato le iniziative per rafforzare la dimensione esterna della propria politica energetica, con l’obiettivo primario di diversificare le fonti di approvvigionamento rispetto al gas proveniente dalla Russia: la preoccupazione principale era (e, in parte, rimane ancora oggi) che Mosca potesse avere le chiavi della politica europea e che il Cremlino, tramite i rubinetti del gas, potesse influenzare le scelte strategiche dei singoli Paesi.
Nel corso degli anni, quindi, lo sviluppo di un Corridoio Meridionale del Gas, indipendente da Mosca, è diventato il principale banco di prova per l’ambiziosa azione di Bruxelles in questo settore, tanto che nel novembre 2008, con la Comunicazione “Second Strategic Energy Review – An EU Energy Security and Solidarity Action Plan” la Commissione europea ha riconosciuto il Corridoio quale “una delle più alte priorità dell’Unione in campo energetico”, sottolineando la necessità di una cooperazione tra la Commissione stessa, gli Stati membri e i Paesi fornitori coinvolti. Se solamente oggi, però, si è arrivati alla realizzazione del Corridoio, questo lo si deve anche in parte al fatto che non tutti gli Stati membri hanno fornito, nel corso del tempo, pieno sostegno alle iniziative della Commissione: Paesi come Francia, Italia e Spagna, che hanno sviluppato una concreta politica di diversificazione delle importazioni, avevano (e tuttora hanno) differenti percezioni, interessi o necessità rispetto a Paesi dell’Europa orientale, quali Repubblica Ceca e Slovacchia, quasi completamente dipendenti dagli approvvigionamenti russi.
Ascesa e declino del Nabucco
Figura 1. Progetto Nabucco
Progetto-guida della Commissione europea per lo sviluppo del Corridoio Meridionale è stato per lungo tempo il Nabucco, un gasdotto lungo 3.800 km, con una capacità di 31 miliardi di metri cubi (gmc) all’anno, che avrebbe dovuto trasportare verso l’Europa meridionale e centrale, attraverso la Turchia, il gas proveniente dall’Azerbaigian, dal Turkmenistan, dall’Iraq, dall’Iran e dall’Egitto. Il progetto ottenne sin dall’inizio un forte supporto politico anche dalla Turchia, che mira da tempo a diventare una sorta di corridoio energetico tra i Paesi orientali e i mercati europei, e dagli Stati Uniti, per i quali Nabucco rappresentava un importante asset geopolitico per ridurre la dipendenza energetica europea dalla Russia.
Nonostante il supporto politico (e finanziario) proveniente da più parti, tuttavia, il Nabucco non vide mai la luce per una serie di ragioni finanziarie e commerciali, che ben presto si aggiunsero alla concorrenza del South Stream. Qualche anno dopo, nel 2012, il consorzio del Nabucco cercò di reinventarsi proponendo una nuova, e più snella, versione del progetto: il Nabucco West. La nuova iniziativa, anch’essa supportata dall’UE, fallì come la precedente, dal momento che il consorzio che gestiva il giacimento di Shah Deniz optò, nel giugno 2013, per il TAP per completare il collegamento tra il Trans-Anatolic Pipeline (TANAP) e il mercato europeo.
La nuova (e finale) configurazione del Corridoio
Figura 2. Corridoio Meridionale del Gas
Fin da quando venne ideato il progetto del Nabucco, si è svolto un intenso dibattito circa le varie forme che il Corridoio Meridionale del Gas avrebbe potuto assumere, tanto che numerosi sono stati i potenziali gasdotti in competizione. La versione finale del progetto, meno ambiziosa delle precedenti – dal momento che prevede, per il momento, l’Azerbaigian quale unico fornitore di gas attraverso il giacimento caspico di Shah Deniz II – si basa oggi su tre componenti fondamentali, che attraversano un totale di sette Paesi.
Primo “anello” di congiunzione del corridoio energetico, il cui costo finale dovrebbe ammontare intorno ai 40 miliardi di dollari, è il South Caucasus Pipeline (SCP), un gasdotto lungo 691 km che, seguendo la rotta dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), arriva sino al confine tra Georgia e Turchia. Una volta arrivato in Turchia, il gas azero prosegue la sua corsa verso Ovest attraverso il TANAP, infrastruttura di 2.000 km con una capacità di 16 gmc di gas all’anno, 6 dei quali sono destinati alla Turchia mentre i rimanenti 10 dovrebbero essere convogliati verso il mercato europeo attraverso l’anello finale del corridoio; il TAP, gasdotto della lunghezza di oltre 800 km che collega la Grecia con l’Italia attraversando l’Albania e il Mar Adriatico. In particolare, di questi 10 gmc di gas all’anno, 8 gmc sono destinati all’Italia, 1 gmc alla Grecia e 1 gmc alla Bulgaria, una volta che sarà terminato l’Interconnector Greece-Bulgaria (IGB), la cui entrata in funzione è prevista al momento per la metà del 2021.
I dubbi sul progetto tra regimi autoritari e (in)sicurezza
Sebbene il progetto possa dirsi oramai completato, non mancano ancora oggi dubbi di varia natura intorno al Corridoio. In primo luogo, infatti, va osservato come il Corridoio stesso appaia destinato ad aumentare la dipendenza energetica europea da Paesi che possono essere definiti autoritari.
L’Azerbaigian, ad oggi unico fornitore del gas trasportato attraverso il Corridoio, nel settembre 2015 è stato descritto in una risoluzione del Parlamento europeo come il Paese che negli ultimi dieci anni ha subito il più grande declino in termini di governance democratica in tutta l’Eurasia. Inoltre, l’organizzazione non governativa Freedom House ha specificato espressamente che la realizzazione del Corridoio rafforzerebbe finanziariamente il Governo repressivo e corrotto del presidente azero Aliyev. Da non dimenticare, poi, come la parte centrale del Corridoio attraversi la Turchia, che diventa così un importante Paese di transito per le forniture energetiche europee aumentando ulteriormente il suo potere contrattuale con l’Unione europea. Un Paese, la Turchia, dove oramai da anni spicca l’autoritarismo del presidente Erdogan, che, tra l’altro, ha più volte utilizzato, e lo ha fatto ancora recentemente, la questione dei rifugiati siriani come “arma” per ottenere un aumento dei finanziamenti concessi da Bruxelles.
In questo contesto, il Corridoio Meridionale del Gas, progettato per contribuire alla sicurezza energetica europea, potrebbe in realtà diventare fonte d’insicurezza a causa delle dispute geopolitiche nei territori attraversati. Seguendo il tragitto del Corridoio da Est verso Ovest, la prima (e principale) fonte di tensione, come dimostrano gli eventi delle scorse settimane, è rappresentata dal conflitto relativo al Nagorno-Karabakh, una regione contesa militarmente da Armenia e Azerbaigian da quasi trent’anni, situata a pochi chilometri dal South Caucasus Pipeline. Continuando poi lungo il percorso del Corridoio, il gasdotto attraversa altre due aree che si sono rivelate, e tuttora lo sono, alquanto instabili. Una volta abbandonato il territorio azero, infatti, il South Caucasus Pipeline attraversa il territorio della Georgia, “protagonista” di un conflitto “congelato” con la Russia per l’Ossezia del Sud, regione separatista a maggioranza russofona. Infine, prima di arrivare in Europa, il Corridoio entra in territorio turco, in una zona dove in passato numerosi sono stati gli scontri tra le forze armate turche e le milizie indipendentiste curde del PKK.
Non manca, poi, un possibile paradosso: sin dall’inizio della sua costruzione, infatti, si parla della possibilità di raddoppiare la capacità del TAP. Ciò, stanti le limitate riserve azere, potrà avvenire solo a condizione di trovare nuovi fornitori di gas con il quale riempire le nuove condotte. E il principale candidato a fornire il gas necessario potrebbe essere proprio la compagnia energetica russa Gazprom, sfruttando un cavillo della normativa europea in materia. Per ironia della sorte, quindi, un gasdotto ideato per contribuire alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento europee potrebbe trasformarsi in uno strumento per rafforzare la dipendenza europea da Mosca.
I possibili sviluppi
Figura 3. Riserve Provate di Gas - Paesi del Caspio, Asia Centrale e Medio Oriente
Fonte: elaborazione autore su dati BP 2020
Nonostante i dubbi che circondano il progetto, i sostenitori del Corridoio Meridionale del Gas ipotizzano già da tempo la possibilità di dare attuazione alla cosiddetta “Fase 2” del Corridoio, ovvero di porre concretamente le basi per il potenziamento della sua capacità e per i lavori sulle sue diramazioni. Futuri fornitori di gas potrebbero essere Azerbaigian, Turkmenistan, Kazakistan, Iraq e Iran. Potenzialmente, si tratta di un bacino immenso, dal momento che tutti insieme questi Paesi detengono riserve di gas per 60,5 tmc, che equivalgono al 30,4% delle riserve mondiali di gas convenzionale. A questi potrebbero aggiungersi anche le quantità di gas scoperte nei vari giacimenti del Mediterraneo orientale, le cui reali entità sono ancora oggi in fase di valutazione.
Il possibile sviluppo del Corridoio, però, non si basa solamente sull’espansione della capacità di trasporto dei gasdotti ma anche sulla possibilità di costruire alcuni inter-connettori che consentano di convogliare il gas proveniente dai giacimenti originari verso Paesi che non sono attraversati dal Corridoio, quali, oltre al già citato IGB, lo Ionian Adriatic Pipeline (IAP), e l’Azerbaijan–Georgia–Romania Interconnector (AGRI). Tra i vari possibili sviluppi del Corridoio merita poi una menzione il progetto relativo alla realizzazione del Trans-Caspian Pipeline (TCP), che però molto difficilmente potrà vedere effettivamente la luce, anche a causa della forte opposizione di Russia e Iran.
Il Corridoio Meridionale del Gas fornirà sicuramente un contributo alla riduzione della dipendenza energetica dell’Europa nei confronti della Russia, specialmente se dovesse vedere la luce, in futuro, anche il progetto Eastmedper trasportare 10 gmc all’anno di gas nel Vecchio continente proveniente dai giacimenti di gas scoperti nel Mediterraneo orientale. Basta però leggere i dati più recenti per capire come tale contributo sia destinato a rivelarsi comunque modesto. Nel 2019, infatti, la compagnia energetica russa Gazprom ha esportato verso il continente europeo 198,97 gmc di gas (di cui 28 gmc riservati all’Italia). Considerando che il Corridoio Meridionale sarà in grado di trasportare sino a 16 gmc di gas all’anno (di cui 8 in Italia), ovvero una quantità circa dodici volte inferiore a quella russa, si capisce quindi come il Corridoio non possa essere considerato alla stregua di un vero e proprio game-changer europeo, bensì come una delle varie e possibili fonti di approvvigionamento di gas.
Questo continua ad essere vero anche nel caso, oggi tutto da vedere, in cui si decida di procedere all’espansione dell’infrastruttura, raddoppiandone la capacità. A ciò si aggiunga che il Corridoio vede la luce in un momento in cui il mercato dell’energia è molto diverso rispetto a quello immaginato agli albori del progetto, non solo a causa della pandemia ma anche alla luce delle politiche europee sempre più orientate verso la decarbonizzazione. Una volta che il Corridoio sarà entrato in funzione, la Russia perderà qualche quota di mercato in Europa (in particolare in Italia, il secondo mercato per Gazprom dopo la Germania) che potrà però essere agevolmente compensata con l’aumento delle esportazioni verso l’Asia.
In ogni caso, effetti positivi si verificheranno sul nostro Paese in termini di sicurezza energetica: le quantità di gas provenienti dall’Azerbaigian, infatti, seppur non particolarmente elevate, potranno rivelarsi utili nel caso di (temporanee) interruzioni delle forniture provenienti dalla Russia (come avviene in occasione delle cicliche tensioni con l’Ucraina) o dal Nord-Africa, un’area sempre più politicamente instabile come dimostra (non solo) il caso della Libia.