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EUROPA

Germania: cambio epocale di modello

Beda Romano
17 giugno 2022

Durante la Grande Guerra i tedeschi sfogarono le loro paure e le loro preoccupazioni scrivendo poesie. In una ricerca pubblicata a metà degli anni Ottanta lo storico inglese Patrick Bridgwater raccontò che nell’agosto del 1914 in Germania venivano scritte ogni giorno cinquantamila poesie, cinquecento delle quali erano inviate ai giornali che ne pubblicavano quotidianamente un centinaio. Non sappiamo se il conflitto in Ucraina abbia provocato simili reazioni, anche se possiamo presumere un uso maggiore delle reti sociali. I timori non sono dissimili da quelle prevalenti un secolo fa. Certamente, la guerra in Europa orientale ha scombussolato come non mai le certezze della Germania, dimostrandosi - secondo le parole dello stesso cancelliere Olaf Scholz - uno Zeitenwende, un cambio epocale.

 

In discussione certezze consolidate

Dall’oggi al domani le prospettive che il Paese si era dato con innegabile precisione, ma peccando di lungimiranza, sono state improvvisamente sconvolte dall’invasione russa dell’Ucraina. Imprevista da molti, soprattutto in Germania. La guerra ha rimesso in discussione modello economico, politica ambientale, futuro militare. Come in altri momenti della propria storia - tornano alla mente i capovolgimenti di Weimar nel 1918 o di Berlino nel 1989 - la Repubblica Federale è chiamata a cercare un nuovo assetto. Dovrà chiedersi umilmente se un futuro più comunitario non sia la soluzione a molti problemi tedeschi.

Modello economico e politica ambientale vanno di pari passo. Negli ultimi venti anni, la Germania si è voluta mercantilista. Il profitto economico ha preso il sopravvento sull’interesse politico. Il paragone con la Svizzera è ormai sbiadito tanto è stato utilizzato. Wandel durch Handel, cambiamento attraverso il commercio, è diventato il cavallo di battaglia dell’establishment. Pochi altri Paesi sono riusciti ad approfittare della globalizzazione quanto la Repubblica Federale. Tra il 2000 e il 2020, il saldo attivo della bilancia commerciale è passato da 3,3 a 221,5 miliardi di dollari.

 

Il percorso a ostacoli dei mercati globali

Oggi tuttavia i grandi mercati internazionali sono un percorso a ostacoli, una minaccia costante. Le aziende tedesche devono fare i conti con il nazionalismo commerciale negli Stati Uniti o in India, il furto di brevetti in Cina, l’aggressività militare in Russia, l’autoritarismo economico in Brasile e in altri numerosi Paesi. Lo scenario mondiale è diventato più instabile e più incerto e i primi a farne le spese sono i tedeschi. Per Volkswagen, la Cina è il primo mercato al mondo, con 2 milioni e mezzo di auto vendute nel 2021. Dal Paese asiatico, la casa automobilistica trae oltre metà dei profitti annui. Qualche settimana fa il governo federale si è chiesto pubblicamente se le imprese tedesche non debbano pensare di ridurre la propria dipendenza dalla Cina, che da sei anni è il maggior partner commerciale della Germania. Nel contempo Berlino vuole rimpatriare catene produttive sparse per il mondo, troppo alla mercé di regimi autoritari, crisi politiche, pandemie improvvise. L’Europa si rivela subitamente un porto sicuro; lo stesso futuro economico tedesco appare più europeo di prima.

Malgrado molte controindicazioni, in questi ultimi anni la stessa Germania si è legata mani e piedi alla Russia per l’approvvigionamento di gas e petrolio. Anche chi giustificava la scelta di Berlino di coltivare il proprio secolare rapporto con Mosca alzò le sopracciglia quando venne finalmente firmato il contratto in vista della costruzione del gasdotto Nord Stream II. Era il 2015; appena un anno prima la Russia aveva annesso la Crimea. Nel 2021 la Germania ha importato dalla Russia il 40% del suo fabbisogno di gas e il 25% del suo fabbisogno di petrolio. Oggi il Paese deve rapidamente trovare nuovi fornitori, in un contesto nel quale ha deciso ormai venti anni fa di chiudere le proprie centrali nucleari.

Basterà raddoppiare gli sforzi nelle fonti rinnovabili per sostituire d’emblée il nucleare mentre il Paese è costretto a diversificare velocemente le fonti di approvvigionamento di gas? Il modello economico basato sulle esportazioni e sull’industria è in pericolo. Lo sguardo di alcuni corre alla riapertura delle centrali nucleari; altri scommettono più realisticamente sull’idrogeno in collaborazione con altri Paesi europei. Improvvisamente, la politica energetica non è più gelosa prerogativa nazionale, ma diventa indispensabile volano europeo.

 

Non più all’ombra della NATO?

Anche il modello politico-militare tedesco è stato scombussolato dalla guerra in Ucraina. La Germania ha ritenuto per quasi tre decenni che la fine della Guerra Fredda avesse imposto al mondo una nuova pace kantiana. Il Paese ha vissuto all’ombra della NATO, riducendo all’osso gli investimenti in difesa, ben oltre quanto richiesto dal Trattato 4+2 del 1990 che consentì la riunificazione tedesca. Un recente rapporto del Bundestag (Unterrichtung durch die Wehrbeauftragte – Jahresbericht 2021) rivela che appena metà dell’equipaggiamento militare tedesco funziona correttamente. Più di una volta la Luftwaffe ha dovuto ammettere che molti suoi aerei erano oggetto di manutenzione, e quindi inutilizzabili. Sempre nell’aeronautica, vi erano nel 2020 appena 106 piloti di caccia sui 220 previsti.

Nel contempo, Berlino ha respinto regolarmente le proposte francesi di rafforzare l’assetto politico dell’Unione europea e dell’unione monetaria, privilegiando il mercato unico all’autonomia strategica. La stessa Unione europea è nata e si è sviluppata a immagine della Repubblica Federale: mercato unico e potenza regolamentare. Nulla di più.

L’invasione russa dell’Ucraina ha già indotto la Germania a prendere decisioni storiche sul fronte della difesa. Oltre a nuovi investimenti per 100 miliardi di euro, il governo federale si è detto pronto ad aumentare la spesa militare per portarla rapidamente al 2% del Prodotto interno lordo, come richiesto dalla NATO (oggi è dell’1,49%). Inoltre, Berlino vuole mettere a punto una nuova dottrina militare che deve essere pronta nei primi mesi dell’anno prossimo. Nel contempo, a sorpresa, il governo ha accettato che l’Unione europea usasse per la prima volta la European Peace Facility per finanziare l’invio di armi all’Ucraina per un totale di 2 miliardi di euro.

La scelta del governo tedesco di rafforzare la propria difesa è segnata da lucidità, ma anche reticenze. Berlino sa che la situazione internazionale è pericolosa e non può permettersi di rimanere con le mani in mano. Deve investire in sicurezza. Ma non vuole con questa scelta promuovere né un nuovo militarismo in Germania né una corsa al riarmo tra i Paesi vicini. Di recente, il cancelliere Scholz ha assicurato alla premier svedese Magdalena Andersson in visita a Berlino che la Svezia “potrà contare” sull’aiuto dell’Unione europea nel caso il Paese scandinavo – ancora in attesa di entrare nella NATO - fosse attaccato dalla Russia. Il cancelliere ha citato l’articolo 42.7 dei Trattati il quale prevede che se un membro dell’Unione europea è vittima di “un’aggressione armata sul suo territorio”, gli altri Stati membri hanno “l’obbligo di aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro potere”.

Il dato politico è interessante. Come in campo economico e ambientale, l’Europa è un porto sicuro anche in campo militare. La Germania concepisce il rafforzamento della sua difesa nel contesto europeo, e non solo in quello più tradizionale della NATO. Prima di tutto perché c’è evidente spazio per giganteschi risparmi. In un rapporto del Parlamento europeo pubblicato nel 2020 (Improving the quality of public spending in Europe – Budgetary waste rates in EU Member States) si nota che gli Stati membri hanno in dotazione 17mila unità di 37 modelli diversi. Gli Stati Uniti hanno 27mila carri armati, di nove modelli diversi.

In secondo luogo, il governo tedesco non può permettersi, per i motivi citati prima, di giocare una partita a sé. Una corsa al militarismo e al riarmo sarebbe troppo pericolosa. Se il ragionamento è corretto, a questo punto spetterà alla Francia scoprire le carte e mettersi pienamente in gioco sul fronte militare. Non può esserci una difesa europea senza un nocciolo duro francese, nello stesso modo in cui non poteva nascere la moneta unica senza il contributo di credibilità della Bundesbank.

 

Una nuova UE al servizio di una nuova Germania?

Per decenni, la Germania ha limitato le prospettive comunitarie a un ambito confederale. Certo, è stata puntuale all’appuntamento quando si è trattato di varare la moneta unica, accettare la monetizzazione del debito da parte della Banca centrale europea, salvare la Grecia, rilanciare l’economia dopo la pandemia. Al tempo stesso ha regolarmente tarpato le ambizioni dell’Unione europea, vuoi per rigidità intellettuali vuoi per forme di nazionalismo. Mentre la Francia tende a utilizzare l’Europa per proiettare i propri interessi nazionali su scala internazionale, la Germania è incline a perseguire i suoi obiettivi nazionali arguendo che sono in realtà nell’interesse dell’Unione.

Più che in passato l’Europa potrebbe rivelarsi la soluzione per una Germania costretta a fare i conti con la crisi del modello perseguito finora. Improvvisamente infragilito, inaspettatamente isolato, il Paese dovrà soppesare gli incentivi e decidere se rafforzare il futuro europeo, accettando maggiore responsabilità in solido, non sia dopotutto di suo interesse. In mancanza di scrivere poesie, come un secolo fa, l’opinione pubblica tedesca non nasconde la sua preoccupazione per circostanze che rimettono drammaticamente in dubbio la prosperità acquisita in ottant’anni di pace. Resta da capire se il governo Scholz sarà all’altezza.

Incredibilmente i partiti che compongono la coalizione al potere sono chiamati tutti e tre a rimettersi in gioco. All’Ecologia, il verde Robert Habeck dovrà adattare gli obiettivi ambientali alle nuove esigenze dell’economia. Alla Difesa, la socialdemocratica Christine Lambrecht dovrà amministrare un controverso aumento della spesa militare. Alle Finanze, il liberale Christian Lindner dovrà accettare nuovi investimenti pubblici, malgrado la sua ortodossia di bilancio.

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Sky Tg24

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AUTORI

Beda Romano
Il Sole 24 Ore

Image Credits (CC BY-NC-ND 2.0): Latvian State Chancellery

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