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Daily focus

Europa e BCE: la sfida della corte tedesca

06 maggio 2020

I giudici della Corte Costituzionale tedesca chiedono chiarimenti alla Bce e alla Corte Europea di Giustizia sull'applicazione del Quantitative easing. Una sentenza che rischia di minare la legittimità delle future decisioni europee in materia di politica monetaria.

 

La sentenza della Corte costituzionale tedesca arriva come una doccia gelata per un’Europa già alle prese con gli effetti della pandemia su economie e mercati. I giudici di Karlsruhe hanno stabilito che il programma di acquisti dei titoli di Stato della Bce (Quantitative easing) non è un finanziamento diretto agli stati e rispetta il divieto di monetizzazione dei debiti pubblici nazionali. Fin qui tutto bene. La Corte, però, ha accolto il ricorso di quanti, accademici ed economisti tedeschi, ritengano che il Qe, voluto da Mario Draghi nel 2015, possa aver violato il mandato della Bce non rispettando il principio di proporzionalità. Secondo autorevoli osservatori è una dichiarazione di guerra, quella pronunciata da Karlsruhe, che non è diretta solo alla Bce ma anche alla Corte Europea di Giustizia, che si era già pronunciata su sollecitazione dei giudici tedeschi nel 2018, fugando ogni dubbio di illegittimità.

La Bce, sostengono i giudici tedeschi, ha tre mesi di tempo per chiarire le ragioni economiche che hanno giustificato il programma. In caso contrario, la Bundesbank potrebbe dover vendere i titoli in suo possesso e uscire dal programma di acquisto. Con conseguenze imprevedibili sulla tenuta dell’eurozona.

La Corte ha chiesto anche al governo e al parlamento tedeschi di vigilare sulla Bce, e di fare pressioni affinché questa spieghi meglio le ragioni dietro le sue scelte. Un affondo inedito e un terremoto di cui molti avrebbero volentieri fatto a meno, per di più in tempi di emergenza come quelli attuali. Dura la replica della Commissione: "Riaffermiamo la primarietà del diritto Ue e il fatto che le sentenze della Corte di Giustizia dell'Ue sono vincolanti per tutte le corti nazionali", mentre in una nota stringata il Consiglio direttivo della Bce "prende atto" del pronunciamento, ma ribadisce di “restare pienamente impegnato a fare tutto il necessario nell'ambito e nei limiti del suo mandato”.

 

 

Cosa dice la sentenza?

Va chiarito subito che la sentenza dei giudici di Karlsrhue non si riferisce al pacchetto di misure d’emergenza (Pepp) varate dalla Bce per fronteggiare la crisi economica causata dalla pandemia, ma al Public Sector Purchase Programme (Pspp) il programma di acquisto di titoli pubblici – l’ormai famoso “Bazooka” – avviato da Mario Draghi nel 2015 e continuato successivamente. Secondo la Corte, acquisti su così grande scala hanno effetti economici ‘sproporzionati’ rispetto ai mandati di politica monetaria e controllo dell’inflazione entro i quali la Bce è chiamata ad operare. Sebbene la Corte non si pronunci dunque sui recenti interventi decisi a Francoforte per contrastare l’emergenza sanitaria, le sue precisazioni potrebbero condizionare le prossime scelte in materia.

 

Quali rischi per l’Italia?

In base alle regole della Bce, i suoi acquisti dei titoli pubblici da ogni paese dell’Eurozona non possono superare la quota di capitale che ogni paese detiene nella Bce stessa. Per l’Italia si tratta del 13,8%, ma gli acquisti effettuati negli ultimi tempi dalla Bce dal nostro paese sono quasi il doppio. In pratica – come osservano Franco Bruni e Antonio Villafranca – se la Bce non annunciasse una estensione temporale del PEPP (oltre la fine dell’anno) e/o un ampliamento dell’ammontare di titoli acquistabili, già nei prossimi mesi potrebbe decidere di acquistare meno titoli italiani e più titoli tedeschi (o di altri paesi). Il che si tradurrebbe in un aumento del nostro spread.

 

Europa in profondo rosso?

A complicare le cose sono arrivate in mattinata le previsioni economiche di primavera pubblicate dalla Commissione europea. I dati confermano ampiamente quelli dell’Fmi e prospettano una recessione per l’eurozona, del 7,7%, con Italia, Grecia e Spagna maglie nere con un calo di oltre il 9%. In Italia, avverte la Commissione, il deficit salirà all'11% (per poi scendere al 5,5% il prossimo anno), mentre il debito passerà dal 134,8% del 2019 al 159% nel 2020 per ripiegare leggermente nel 2021 al 153,5%. In media, il deficit della zona euro sarà dell'8,5% nel 2020 e il debito del 102,7% dall'86% dello scorso anno. “Sia la recessione che la ripresa saranno disomogenee” avverte il commissario Ue all'Economia, Paolo Gentiloni, per cui i dati evidenziano considerevoli differenze fra paesi. La pandemia, in altre parole, acuirà le già profonde disparità tra i paesi membri arrivando a minacciare il mercato interno e l’area euro. Ed ecco che la partita intorno a Mes, Recovery Fund ed Eurobond, riacquista tutto il suo peso.

 

Scontro senza precedenti?

Se il pronunciamento della Consulta tedesca non cambierà il corso della politica monetaria europea, non può però essere sottovalutata. La sentenza di Karlsruhe apre un doppio fronte: con la Corte Europea, la cui sentenza del 2018 non spiegherebbe perché l’azione della Bce non sia illegittima, e con la Bce stessa accusata di non aver giustificato in modo adeguato perché la sua politica di acquisti di titoli pubblici ed i sui effetti redistributivi non costituiscano un abuso di poteri monetari. E al di là della risposta che la Banca centrale darà o meno è opinione condivisa da molti che la sentenza affondi le sue radici nelle debolezze e nelle questioni politiche irrisolte dell’Unione. Siamo di fronte ad un campanello d’allarme: per evitare che sentenze come quella di ieri diventino in futuro devastanti per l’eurozona, è urgente trovare nuovi strumenti di politica fiscale per affrontare appieno la sfida senza precedenti posta dal Covid-19.

 

Il commento

di Franco Bruni, Vicepresidente ISPI

“È paradossale ma possibile che la sentenza della Corte tedesca abbia un effetto positivo sull’integrazione europea. Finora la Bce è sola nella guerra macroeconomica contro i danni del Covid-19. Gli stanziamenti di bilancio comunitari sono per ora insufficienti. La maggior difficoltà di contare sul bilancio della Bce potrebbe convincere la Germania e i suoi alleati nordeuropei ad affidarsi di più a quello comunitario e a politiche fiscali comuni perché tutta l’UE non sia travolta dalla crisi. Il riacutizzarsi dell’ossessione tedesca contro la monetizzazione del debito potrebbe calmierare quella contro la condivisione dei rischi macroeconomici europei con strumenti fiscali.”

 

***

 

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

 

 

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