Per spiegare l’escalation di violenza che ha avuto luogo a Gerusalemme in questi ultimi giorni, non basta rintracciare la singola scintilla che ha innescato gli scontri, ma serve adottare una prospettiva più ampia che ci aiuti a definire il contesto storico, politico e sociale attuale della città. In primo luogo, bisogna ricordare che questi eventi stanno avendo luogo durante il mese di Ramadan, che da sempre risulta essere un momento fondamentale nella vita dei cittadini arabo-israeliani e residenti di Gerusalemme Est, ma allo stesso tempo anche estremamente delicato per gli equilibri tra le due componenti etniche della società.
Con queste premesse, risultano controverse le misure adottate dalla polizia di Gerusalemme (con il suo neo-comandante Yaakov Shabtai) nel gestire il periodo della festività, prima tra tutte, la decisione di chiudere la piazza antistante alla porta di Damasco, proprio all’inizio del Ramadan. Questa azione, vissuta come una provocazione da parte dei residenti arabi, ha avuto subito come immediato risvolto, scontri tra protestanti e polizia che hanno portato alla luce frustrazione e rabbia dovute anche alla precaria situazione economica vissuta anche come conseguenza della pandemia di Covid-19 e al recente annuncio dell’ennesimo rinvio delle elezioni palestinesi (che erano previste per il 22 maggio) da parte del presidente Abu Mazen.
Tutto questo è inoltre coinciso con la sentenza della Corte Suprema sul possibile sfratto di 13 famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah richiamando nel quartiere giovani palestinesi a manifestare contro la decisione. In questo frangente, aggiungiamo la pressione crescente di gruppi di estrema destra guidati da Otzma Yehudit (il cui leader Itamar Ben-Gvir è appena diventato parlamentare alle scorse elezioni di marzo) che sono sfociate a loro volta in violenti scontri con i residenti arabi.
La disputa di Sheikh Jarrah va avanti da 15 anni, ma solo negli ultimi giorni ha preso piede una campagna attivista: al centro della disputa ci sono diversi appezzamenti di terreno situati vicino all'antica tomba di Simeone il Giusto. I coloni ebrei affermano che le terre furono acquistate dalle comunità ebraiche ashkenazite e sefardita nel XIX secolo, poi abbandonate nel 1948 quando scoppiò la guerra di indipendenza e le famiglie ebree furono costrette a fuggire. Le famiglie palestinesi che vivevano lì apparentemente arrivarono nel quartiere all'inizio degli anni Cinquanta, quando Gerusalemme est era sotto il controllo giordano. Secondo quanto riferito, un'organizzazione chiamata Simeon Estate [Nahalat Shimon] è responsabile di questo processo e sostiene la battaglia legale per le terre.
Attualmente il caso è stato preso in carico dal procuratore generale Avichai Mandelblit che ha rimandato la sentenza. Troppo poco e troppo tardi per contenere le tensioni che, da Sheikh Jarrah si sono estese fino a raggiungere il nodo nevralgico più volatile di Gerusalemme: la moschea di Al-Aqsa. Poi è giunto l'ultimatum di Hamas che ha chiesto il ritiro delle forze israeliane dal complesso della moschea di Al-Aqsa e dal quartiere di Sheikh Jarrah a cui è seguito il lancio dei missili su Gerusalemme e Israele.
Questa escalation probabilmente si sarebbe potuta contenere, ma i funzionari dell'intelligence e della sicurezza che hanno avvertito quali sarebbero stati i risultati, si sono trovati di fronte a un governo provvisorio, senza legittimità.
Inoltre, l'attacco missilistico giunge nel momento più difficile della vita politica di Benjamin Netanyahu che, paradossalmente, ha ricevuto un aiuto inaspettato dal gruppo di Hamas; l’escalation con Gaza è iniziata proprio il giorno in cui i membri della Knesset Naftali Bennett e Yair Lapid, capi dei partiti Destra e C’è Futuro, si stavano preparando a comunicare al presidente Reuven Rivlin di essere riusciti a formare un nuovo governo. I sei partiti del cosiddetto “blocco per il cambiamento” hanno condotto negli ultimi giorni intensi negoziati, finalizzando la maggior parte dei loro accordi di coalizione.
Lapid e Bennett avrebbero dovuto incontrare Mansour Abbas, leader del partito Lista Araba Unita (Ra'am), per finalizzare l'accordo, rendendo il nuovo governo quasi una certezza. Poco prima dell'incontro, tuttavia, Abbas ha annunciato che i colloqui sarebbero stati rinviati a causa degli eventi di Gaza e Gerusalemme. Gli sviluppi hanno costretto Mansour Abbas a chiedere un timeout dai negoziati di coalizione che aveva condotto nel tentativo di diventare il primo partito politico arabo facente parte di un governo israeliano; la Lista Araba Unita infatti è molto vicina ideologicamente alla causa palestinese e arabo-israeliana.
La legge concede a Lapid poco più di tre settimane per formare un nuovo governo, ma non vi sono suggerimenti in merito alla possibile durata dello scontro militare con Hamas. Tuttavia, ci sono buone ragioni per cui Israele potrebbe non essere trascinato in una vasta operazione militare come avvenuta nel 2014: in primo luogo, non vi sono stati risultati effettivi, come sanno bene coloro che l'hanno guidata – Netanyahu, Benny Gantz e il generale Kochavi – e, in secondo luogo, in questo momento Israele è guidato da un di transizione, il cui leader non ha la legittimità necessaria per portare avanti tale decisione.
Inoltre, bisogna ricordare che, nonostante la sua retorica, l’atteggiamento di Netanyahu in questi anni ha riflettuto cautela, pragmatismo e un'intensa avversione per le operazioni militari troppo prolungate e che attirerebbero l’attenzione internazionale nuovamente sulla questione palestinese. Questo vanificherebbe l’operato di Netanyhau nei dieci anni del suo governo nel fare scivolare silenziosamente in secondo piano il dibattito sul futuro dei territori palestinesi.
Ciò che però preoccupa maggiormente non è Gaza, bensì il fronte interno che ha visto diffondersi le proteste violente nelle città arabe e in città miste in tutto Israele. Lo spirito degli eventi dell'ottobre 2000 aleggia sugli scontri tra civili e polizia, e minaccia di minare ancora una volta il delicato e fragile tessuto della convivenza, e certamente la vaga speranza che si possa formare un governo che possa iniziare a guarire le profonde ferite tra le diversi componenti della società israeliana e che possa riaprire il dialogo con la controparte palestinese.