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AFRICA

Ghana fra (tante) virtù e (alcuni) rischi

Giovanni Carbone
28 gennaio 2022

Il Ghana è da tempo un Paese che, nel panorama africano, “funziona” in maniera virtuosa. Combina, cioè, performance soddisfacenti – tra i Paesi africani è in genere in alta classifica lungo tutta una serie di indicatori di tipo economico, politico, sociale, tecnologico e altro ancora – con una grande affidabilità nel corso del tempo.

La continuità dei risultati raggiunti è ben visibile, anzitutto, nei quasi quarant’anni di crescita sostanzialmente ininterrotta avviati nel 1984. Il grafico raffronta le variazioni nel Pil del Paese rispetto a quelli di alcuni altre economie subsahariane ben performanti, seppur solo in una fase più recente, e ai tassi di espansione regionale. Nel lungo periodo, il Ghana esibisce un andamento positivo che ha anticipato l’emergere dell’area subsahariana nel suo complesso durante il ventennio iniziato nella seconda metà degli anni Novanta. Accra aveva già più volte mostrato di saper porsi alla guida dei processi di trasformazione in Africa con un’indipendenza precoce nel 1957, le riforme economiche negli anni ‘80, quelle democratiche nei primi anni ‘90, fino ai progressi nella digitalizzazione degli anni più recenti. Ma non si tratta solo del quando.

 

Fig. 1 - Crescita Pil (var. %)

Fonte: FMI, World Economic Outlook Database

 

Stabilità economica nel motore

L’espansione economica ghanese è rimasta a lungo stabile – e al di sopra della media regionale – seppur non sempre brillante quanto quella di altri Paesi (l’anomalo picco del 14% per il 2011 è dovuto all’avvio dell’estrazione del petrolio). Dall’inizio del periodo qui in considerazione, non si è mai registrata una recessione, neppure nel 2020 (+0,4%) quando il 70% dei Paesi subsahariani andarono sotto. Il rimbalzo con il 4,7% del 2021 e il 6,2% atteso per il 2022 è peraltro consistente.

Non si tratta peraltro di un’economia di piccole dimensioni, per la regione, ma ben più ampia di quanto la dimensione geografica (il Ghana è solo il 32° Paese subsahariano per estensione) o demografica (solo 13°, con 31 milioni di abitanti) potrebbe far immaginare. Con un Pil attorno ai 75 miliardi di dollari, Accra rappresenta infatti la 5a economia per dimensione dopo Nigeria, Sudafrica, Etiopia e Kenya.

Incentrata sull’export di tre grandi commodities – oro, cacao e petrolio – l’attività economica ha fatto passi avanti contenuti nel settore manifatturiero, più marcati nello sviluppo dei servizi, collocandosi, in particolare, come aspirante hub tecnologico in Africa occidentale.

Come per altri Paesi di questa area, le zone costiere del Sud risultano più avanzate rispetto a quelle interne del Nord, ovvero più densamente popolate ed economicamente più dinamiche e moderne. Nel caso ghanese, tuttavia, alle aree che affacciano sul Golfo di Guinea si aggiunge l’ashanti, una regione spostata più verso il centro del territorio a cui fanno capo buona parte dell’establishment imprenditoriale e delle classi medie, nonché bacino di riferimento per il governo attualmente in carica. L’altra faccia della medaglia dello sviluppo ghanese è così una povertà che, pur fortemente ridottasi a livello nazionale, è andata via via concentrandosi nelle regioni del Nord.

 

Politica e progetti

I progressi economici hanno coinciso con quarant’anni di stabilità politica. È questo l’arco di tempo durante il quale le armi non sono state utilizzate né per colpi di stato (nei decenni precedenti se ne erano registrati cinque) né da gruppi organizzati per ribellarsi. Dal 1992, questa stabilità ha preso la forma del regolare ricorso a elezioni libere, tanto che oggi il Ghana è considerato il Paese più aperto e democratico sul continente (secondo solo a Capo Verde per il V-Dem Project). I rischi politici interni ad Accra restano dunque molto contenuti. La competizione elettorale è dominata dalla contrapposizione tra due grandi partiti – il New Patriotic Party attualmente al potere, e il National Democratic Congress – tra i quali ogni quattro anni si accende la sfida, e ha portato in più occasioni a pacifici passaggi di consegne in una direzione o nell’altra. Il sistema, in altre parole, funziona. Anche lo stress test delle ultime elezioni, nel dicembre 2020, quando l’opposizione ne chiese una valutazione alla Corte Suprema, che ne confermò l’esito, ha sancito la capacità del sistema politico e di quello giudiziario di gestire diversità e competizione.

Lo stesso apparato burocratico-statale ghanese, sempre considerato nel contesto del panorama subsahariano, si mostra comparativamente efficace. La corruzione, che certo non manca, si mantiene a livelli contenuti: nella apposita graduatoria di Transparency International, il Ghana è al nono posto tra i quarantanove Paesi subsahariani. Il governo è un esecutivo con una direzione e un’agenda identificabili. Tra i disegni che sta cercando di portare a compimento ci sono il piano per l’istruzione secondaria gratuita – a rafforzare ulteriormente i livelli di capitale umano del Paese, già comparativamente elevati –, quello per dotare di almeno un impianto industriale ciascuno dei 216 distretti del Paese, e un strategia ripresa dalla pandemia denominata CARES (Covid Alleviation and Revitalisation of Enterprises Support) e volta a spendere 15 miliardi di dollari nell’arco del triennio 2021-23 principalmente a sostegno di agricoltura, industria, costruzioni e ICTs.

La parziale incertezza sull’azione del governo riguarda però gli ostacoli creati al presidente Nana Akufo-Addo da un parlamento in perfetto equilibrio, con 137 parlamentari di opposizione (che per altro si sono aggiudicati la presidenza dell’assemblea) e 137 del partito di governo.

Ma il vero rischio politico proviene in realtà dall’esterno, ovvero dall’instabilità che, legata per lo più alle attività di movimenti jihadisti, attraversa il Sahel centro-occidentale ormai da un decennio. Il Sahel è una fascia geografica di cui il Ghana non fa parte, ma il Paese è potenzialmente lambito dalla crisi attraverso il Burkina Faso, pesantemente colpito dalle violenze e vittima giusto pochi giorni fa di un (poco sorprendente) golpe militare. Finora il Ghana è riuscito a tenere distante la crisi, rimanendo sostanzialmente immune e preservando le migliori condizioni per far fronte a eventuali insidie, ma il rischio “contagio" dall’esterno non può essere escluso del tutto. Anche per questo potrà essere di aiuto il fatto che, in virtù della sua recente elezione da parte dell’Assemblea Generale, Accra siederà come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2022-2023. Il presidente ha già dichiarato che farà quanto possibile per dar voce alle esigenze di sicurezza africane, evidentemente con un occhio rivolto al Sahel e l’altro alla pirateria nel Golfo di Guinea.

 

Tre fonti di incertezza

Completare lo scenario dei maggiori rischi che affronta il Paese ci riporta al quadro economico. Tre le principali fonti di incertezza.

La prima è la pandemia che, come ovunque, costituisce ancora un fattore destinato a influenzare contesto e andamento economico. In un Paese africano, la situazione è resa meno chiara dalla scarsità di dati come anche di vaccini a disposizione.

La seconda è rappresentata dall’aumento dell’indebitamento. Se dopo il picco toccato con il deficit al 16% nel 2020 – il secondo più elevato in Africa subsahariana per quell’anno, dovuto alla combinazione del Covid19 (aumenti di spesa e riduzione delle entrate, incluse quelle petrolifere) con l’appuntamento delle elezioni presidenziali – questo squilibrio sembra sulla via del ridimensionamento (12% nel 2021, forse 7% nel 2022), l’indebitamento sul Pil è balzato dal 62% del 2019 al 76% del 2020, e viaggia verso l’80%. Non un buon segnale per un Paese che solo nel 2015 era dovuto ricorrere a un prestito del Fondo Monetario Internazionale per far fronte a una crisi valutaria e fiscale.

La terza fonte di incertezza riguarda invece il petrolio. Il Ghana non è un produttore storico, l’estrazione di greggio è iniziata solo nel 2011. Dopo appena un decennio, la transizione verde solleva questioni importanti. Sotto pressione, un certo numero di imprese petrolifere sembrano orientate a ridurre i loro investimenti, magari selezionando giacimenti di petrolio e gas naturale con un basso break-even point, o a riorientarli verso le rinnovabili. Parte di queste pressioni vengono in qualche modo trasferite ai Paesi produttori che, volenti o nolenti, sono a loro volta spinti a mantenersi attrattivi abbassando tassazione e royalties. Il ministro ghanese per l’Energia ha ben espresso la frustrazione e il malcontento nei confronti dell’“ipocrisia dell’Occidente”, lamentando come i Paesi ricchi stiano di fatto calciando via la scala che hanno utilizzato per sviluppare le loro economie – una scala che aveva petrolio e gas tra i suoi pioli – impedendo a chi ne ha bisogno adesso di utilizzarla.

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AUTORI

Giovanni Carbone
ISPI e Università degli Studi di Milano

Image Credits (CC BY-NC 2.0): jbdodane

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