Lo scorso giugno gli Stati Uniti hanno annunciato, attraverso una lettera del segretario al Tesoro Steven Mnuchin ai colleghi europei, di voler sospendere temporaneamente i negoziati sulla “Global Digital Tax” in corso all’OCSE . Sul tavolo una proposta di tassazione globale per quanto concerne l’economia digitale, riguardante in particolare la tassazione dei ricavi delle piattaforme del web. Proposta che ancora è allo studio di esperti e al vaglio dei governi. L’OCSE, appunto, ospita i negoziati su questo tema tra i Paesi industrializzati. Il processo, per quanto tortuoso e difficile, è un tentativo di trovare un accordo su un tema estremamente divisivo ma urgente che contrappone da un lato gli Stati Uniti, paese di origine di molti dei cosiddetti Over the Top (OTT) ,del calibro di Amazon, Google, Facebook, e dall’altro gli stati europei (Francia in primis) che vorrebbero invece cominciare a tassare i proventi fatti attraverso i dati dei loro cittadini.
Il tavolo è (per il momento) saltato sul tema delle tasse sul commercio online, specie in riferimento a compagnie/piattaforme che vendono beni e servizi in un paese ma non hanno una presenza fisica nello stesso. Come delineato nel rapporto dello scorso anno sulla tassazione dell’OCSE per le piattaforme di vendita di beni o servizi, una soluzione condivisa e multilaterale è più auspicabile in quanto:
1.Un’efficace sistema di tassazione per le piattaforme che vendono beni o servizi è preoccupazione comune per le amministrazioni di molti paesi, proprio alla luce dello sviluppo rapido e costante delle piattaforme online.
2.Molte di queste piattaforme della gig economy operano attraverso confini e non hanno una presenza fisica nel mercato di riferimento. Pertanto, in questi casi, potrebbe essere difficile per le giurisdizioni locali ottenere informazioni da queste piattaforme e far rispettare leggi e disposizioni domestiche senza una cooperazione internazionale rafforzata.
3.Un approccio standard, sviluppato grazie ad un modello multilaterale e condiviso, può generare benefici nelle giurisdizioni che scelgono di standardizzare il regolamento della gig economy. Viceversa, uno dei possibili costi riguarda la necessità di ottemperare a diversi requisiti e norme che gravano sia sul fornitore del servizio che sull’utente finale. Inoltre, standard condivisi permettono di facilitare lo scambio di informazioni più veloci ed automatizzate tra giurisdizioni diverse.
Aldilà delle considerazioni sull’opportunità di una ripresa del dialogo multilaterale, occorre guardare anche a un possibile inasprirsi della guerra commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. Il ministro degli Esteri francese ha definito una “provocazione” l’abbandono da parte di Washington del tavolo del negoziato. La Francia, come altri paesi europei, è pronta ad agire unilateralmente riattivando la tassazione sui colossi del web americani per il 2020. Parigi, infatti, aveva già introdotto una Digital Service Tax (DST) del 3% sul reddito lordo delle compagnie che hanno un ricavo globale uguale o maggiore di 750 milioni di euro l’anno, di cui 25 milioni realizzati in Francia. Anche l’Italia si è dotata di un sistema di tassazione simile che prevede un’aliquota del 3% per le imprese con un ricavo globale non inferiore a 750 milioni di euro l’anno e derivanti da servizi digitali in Italia non inferiori a 5,5 milioni.
I negoziati ora rischiano di subire un pesante ritardo che non permetterebbe di rispettare la scadenza di fine 2020 come termine ultimo per presentare una proposta condivisa a livello multilaterale. Il rischio è che ogni Stato ricominci ad implementare una tassazione propria: in questo il caso si determineranno maggiori difficoltà – a causa della minore forza negoziale - nel trattare con i giganti della gig economy. Tuttavia, se l’OCSE non dovesse riuscire a trovare una soluzione di compromesso, l’Unione europea è pronta a tornare in prima fila per proporre una tassazione unica per il continente, aumentando così sicuramente il proprio leverage verso i colossi dell’hi-tech. I proventi della "digital tax" potrebbero essere una fonte importante per lo strumento del bilancio dell'Unione europea Next Generation EU. In ogni caso, aldilà di come andranno i negoziati, la questione senza dubbio segnala come anche sul versante della tassazione si manifesti la rivendicazione della sovranità digitale, in nome della quale gli stati vogliono sempre più proiettare il proprio potere nello spazio cibernetico. Un trend che sicuramente sta frammentando l’idea utopica di un web “Great Common”.