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Cina e Golfo

“Go West”? I rischi dell'equilibrismo cinese tra Iran e Arabia Saudita

Annalisa Perteghella
|
Giulia Sciorati
22 febbraio 2019

La Cina si trova in questi giorni a guardare verso ovest. Un ovest vicino al Paese, decisivo per la riuscita dei progetti infrastrutturali della “Belt and Road Initiative” (BRI). Il 19 febbraio, Wang Yi, ministro degli esteri cinese, ha incontrato la sua controparte iraniana, Mohammad Javad Zarif. Pochi giorni dopo, il 21 febbraio, il Presidente Xi ha invece accolto Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita. Entrambi gli incontri si sono svolti a Pechino in un corteo che vede la Cina ricoprire un ruolo chiave: una Cina che torna ad essere un “Paese di Mezzo”, di nome e di fatto.

Le visite di stato di Iran e Arabia Saudita rappresentano, per la Cina, un modo per rinegoziare l’estensione dei progetti BRI ed accrescere il ruolo del Paese come interlocutore e sostenitore degli interessi dei due partner mediorientali. La Cina si è infatti già recentemente esposta a sostegno dell’Iran alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco. Insieme a Russia e Unione Europea, la Cina si è schierata in difesa dell’accordo sul nucleare iraniano (che ha contribuito a negoziare), alimentando, in questo modo, la rivalità che vede il Paese contrapporsi agli Stati Uniti.

La presa di posizione cinese a sostegno dell’Iran dipende, in larga misura, dall’interesse che la Cina ha nei confronti di un Iran stabile e inserito a pieno titolo nel sistema internazionale. L’Iran ha infatti un ruolo chiave all’interno dei progetti BRI a causa della sua posizione geografica tra Europa e Asia che permette l’incontro tra i corridoi Nord-Sud ed Est-Ovest. Inoltre, la rete ferroviaria di 2300 km che collega Urumqi a Teheran è, per la Cina, la porta terrestre verso l’Europa. La Cina prevede infatti che il transito di merci attraverso l’Iran genererà un valore aggiunto due volte e mezzo maggiore rispetto al semplice trasporto di merci nel paese. Dopo cinque anni, gli investimenti cinesi in Iran hanno raggiunto i $6,8 mld e hanno toccato i settori energetico, chimico, minerario e dei trasporti, secondo i dati del China Global Investments Tracker. La reintroduzione delle sanzioni secondarie statunitensi in seguito all’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare iraniano, promette poi di favorire ulteriormente la penetrazione commerciale cinese in Iran. Infatti, colpendo le aziende europee che fanno affari con Teheran, si lascia di fatto campo libero alle aziende cinesi, già ampiamente posizionatesi sul mercato iraniano.

E se la Cina guarda verso ovest, Iran e Arabia Saudita guardano sempre più verso est.

Teheran, negli anni, ha trovato in Pechino un partner economico e commerciale (e, in ultima analisi, anche diplomatico) fondamentale per rompere l’isolamento internazionale, soprattutto nelle fasi di maggiore difficoltà nelle relazioni con l’occidente. Negli anni dell’embargo petrolifero europeo (2012-2015), Pechino è stata l’ancora di salvezza che ha garantito continuità alle esportazioni petrolifere iraniane, la principale fonte di introiti per le casse del paese. Anche oggi, dopo la reintroduzione delle sanzioni secondarie statunitensi sul settore dell’energia iraniano, Pechino continua ad assicurare una quota, seppur ridotta, delle esportazioni di greggio iraniano.

Dal 2005, inoltre, Teheran partecipa come osservatore ai lavori della SCO (Shanghai Cooperation Organization), l’alleanza di sicurezza, economica e culturale che riunisce Cina, Russia e i principali paesi centroasiatici. La richiesta iraniana di divenirne membro permanente è stata più volte rifiutata negli anni scorsi per via della crisi relativa al suo programma nucleare. Dopo la firma del JCPOA nel 2015, Teheran è tornata a chiedere la piena membership, nell’ottica di una maggiore integrazione asiatica.

Nei confronti dell’Arabia Saudita, la Cina mantiene una relazione composita, determinata dalla rivalità tra Riyadh e Teheran e dagli interessi regionali che Pechino nutre per le risorse nel Golfo. Nonostante gli investimenti cinesi in Arabia Saudita negli ultimi cinque anni abbiano raggiunto i $2,18 mld grazie, soprattutto, al vantaggioso accordo Aramco IPO in ambito energetico, Riyadh è l’unico partner ad essersi inserito in uno dei progetti di punta BRI – il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), non su invito cinese, ma grazie alla mediazione pakistana, modificando, in questo modo, le dinamiche bilaterali dell’accordo. L’Arabia Saudita ha infatti fornito $8 mld per la costruzione di una raffineria di petrolio a Gwadar, in Pakistan, nel contesto del porto realizzato in loco da Pechino. Ed è proprio la presenza saudita nel CPEC ad aumentare le criticità per la Cina. La parola d’ordine nei rapporti con i partner mediorientali per la Cina è stabilità. Tuttavia, il porto di Gwadar è in competizione diretta con il porto iraniano di Chabahar, sviluppato con capitali indiani ed essenziale ai fini della penetrazione commerciale di Nuova Delhi in Asia centrale, soprattutto verso l’Afghanistan. Il progetto indo-iraniano di Chabahar si trova a soli 72 km di distanza dal progetto sino-saudita di Gwadar. La Cina teme quindi di ritrovarsi schiacciata dalla rivalità tra Iran e Arabia Saudita e di dover far fronte ad un sistema regionale lesivo per i progetti cinesi. Inoltre, l’importanza strategica del controllo delle infrastrutture diviene ancora più evidente se si considera che, acquisendo un avamposto a Gwadar, l’Arabia Saudita guadagna un avamposto strategico nei pressi dello stretto di Hormuz, uno dei principali choke point globali – da cui transita il 20% del petrolio globale.

Del resto, il “pivot to Asia” di Riyadh, paese tradizionalmente inserito nei sistemi di alleanza e cooperazione occidentali, è la più recente di una serie di evoluzioni nella politica estera saudita che hanno avuto inizio all’indomani delle primavere arabe. La minaccia rappresentata dai movimenti popolari dal basso, e successivamente dai movimenti dell’Islam politico che sono andati al potere in alcuni paesi della regione, insieme al contestuale sganciamento statunitense riassunto nella dottrina obamiana del “leading from behind”, hanno gravemente innalzato la percezione di insicurezza del Regno, portandolo a una politica estera più assertiva e in alcuni casi avventurista, come nel caso dell’intervento in Yemen o della rottura con il Qatar. La nuova ondata di critiche verso il Regno suscitata dal caso Khashoggi, e il crescente fastidio dei paesi occidentali – che pur continuano a rifornire Riyadh di armamenti – per la guerra in Yemen, sono alla base dell’attuale difficoltà nelle relazioni con l’Occidente, che porta Riyadh a ricercare nuovi partner.

Ma il regno saudita non cerca solo rapporti politici e copertura diplomatica, ma anche e soprattutto investimenti per finanziare l’ambiziosa agenda di riforme Vision 2030. La diminuzione degli investimenti occidentali verso il Regno rischia infatti di mettere a rischio il progetto di diversificazione e trasformazione economica del paese, un rischio che MBS non può correre.

In conclusione, il fragile equilibrio trovato da Pechino nel relazionarsi con Iran e Arabia Saudita corre il rischio di frantumarsi in una competizione di interessi geo-economici. Perché se Pechino guarda verso occidente in veste di partner di maggioranza, l’Arabia Saudita si muove verso oriente alla ricerca di un ruolo più assertivo. E l’incontro tra i due potrebbe portare a frizioni di non semplice risoluzione. Inoltre, l’Iran è sempre più vicino all’orbita di Pechino, i cui investimenti nel Paese e la cui mediazione a livello internazionale si sono dimostrati chiave per schermare il Paese dell’ostilità dell’attuale amministrazione statunitense. Nei rapporti con il Medio Oriente, la Cina torna quindi ad essere “Paese di mezzo”: ma per quanto ancora riuscirà Pechino a rimanere neutrale e mantenere questa condizione a proprio vantaggio, prima che le complicate relazioni tra i suoi due partner finiscano per mettere in difficoltà anche lei?

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Cina Iran Arabia Saudita Xi Jinping mohammed bin salman
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AUTORI

Annalisa Perteghella
Research Fellow, Iran Desk
Giulia Sciorati
Research Assistant, ISPI China Programme

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