I grandi progetti di gestione dell’acqua a fini idroelettrici – su tutti la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD, letteralmente Grandiosa Diga del Rinascimento Etiope) – o irrigui, specialmente le piantagioni di canna da zucchero, sono le icone dello sviluppo e della modernizzazione del paese. Le incognite in merito alla loro realizzazione gettano tuttavia pesanti ombre sul modello del developmental state adottato dal governo, evidenziandone le principali contraddizioni e l’incapacità di rispondere alle questioni che da sempre animano la politica etiopica: quella nazionale, ovvero i rapporti tra centro e periferia e tra i vari gruppi etnici, e quella sociale, legata all’accesso alla terra ed alle altre risorse naturali.
Nella cultura popolare degli altopiani Amhara, il Nilo è un fiume sacro, ma anche maledetto, in quanto scorre verso le pianure sudanesi ed egiziane senza fecondare la terra etiopica. L’idea di sfruttare finalmente il ricco potenziale idrico per lo sviluppo del paese è dunque al centro dell’immaginario di “Rinascimento etiopico”. Nello spazio pubblico, l’onnipresente immagine di sviluppo e modernità della GERD – spesso accompagnata dal volto del suo “architetto politico”, il primo ministro Meles Zenawi morto prematuramente nel 2012 – ha così sostituito la tradizionale icona bucolica delle cascate del Nilo nei pressi del Lago Tana.
La costruzione della GERD nel nord-est del paese, lungo il corso del Nilo e a pochi chilometri dal confine con il Sudan, è iniziata nel 2011; una volta ultimata, sarà la più grande diga del continente. Il costo iniziale previsto di 3,4 miliardi di euro è destinato a lievitare: un problema non solo economico ma anche politico, dal momento che il costo della GERD è interamente sostenuto dal governo etiopico, senza aiuti internazionali, attraverso la finanza pubblica e iniziative di raccolta fondi tra la popolazione: i dipendenti statali sono costretti a donare un mese del loro salario annuale; capillari campagne di propaganda e mobilitazione sollecitano gruppi, associazioni e singoli – anche e soprattutto membri della diaspora – ad acquistare i titoli di stato emessi per finanziare la costruzione della diga. O meglio, per scrivere una nuova pagina della storia del paese: la nuova Adua – la battaglia in cui l’esercito di Menelik sconfisse le truppe degli invasori italiani (1896) – come viene spesso definita dai media, simbolo di indipendenza e modello per l’intero continente africano. Ma chi beneficerà di questo Rinascimento? Una volta operativa, la GERD dovrebbe garantire un aumento del 150% della produzione nazionale di energia. La Cina ha annunciato la costruzione di una rete da 1,8 miliardi di dollari per trasmettere energia alla linea ferroviaria e alle zone industriali speciali. Ma due terzi della popolazione, su un totale di circa 100 milioni di persone, non sono allacciati alla rete elettrica, e al momento sull’intero territorio nazionale continuano i razionamenti. Il piano prevede anche l’esportazione di energia nei paesi dell’Africa orientale: Kenya, Gibuti, Sud Sudan, Sudan, fino all’Egitto.
Sul piano internazionale, la GERD ha ridefinito gli equilibri di potere tra Etiopia, Sudan ed Egitto, con quest’ultimo preoccupato per le conseguenze che la diga avrà sul flusso del Nilo. Nonostante gli spettri di una “guerra per l’acqua”, dal 2013 i tre paesi hanno imbastito un sistema di consultazioni periodiche sia tecniche che politiche per negoziare la gestione del progetto. Al momento, il nodo del contendere riguarda il riempimento del bacino della diga: le operazioni dovrebbero iniziare il prossimo giugno, ma non vi è accordo su quanti anni dovrebbero durare. Il Cairo teme che tempi troppo rapidi, uniti alle incertezze dei cambiamenti climatici, possano portare ad una drastica riduzione della portata del fiume e dell’acqua a disposizione dell’Egitto.
La costruzione della diga dovrebbe essere completata nel 2022. Il ritardo accumulato rispetto ai piani iniziali è legato soprattutto al ruolo di METEC (Metals and Engineering Corporation), compagnia parastatale di costruzioni controllata dall’esercito a cui era state affidata la componente idraulica ed elettromeccanica (le turbine per generare energia) dell’impianto. Con il nuovo corso del primo ministro etiopico Abyi Ahmed, METEC è stata estromessa dal progetto a seguito di gravi accuse di corruzione e inadempienza contrattuale, nonostante due terzi delle commissioni fossero già state saldate. Diversi membri dell’ex gruppo dirigente sono in prigione o latitanti.
La GERD è un’opera di grande rilevanza anche per l’Italia, dal momento che la costruzione della diga e delle altre opere civili è affidata a Salini Impregilo. Presente nel paese fin dagli anni Sessanta, Salini è di fatto il braccio operativo del governo etiopico per quanto riguarda lo sviluppo del settore idroelettrico: oltre alla GERD, sta costruendo un complesso di tre dighe e quattro centrali idroelettriche lungo il corso del fiume Gibe, affluente dell’Omo, nel sud del paese. Ad una di queste dighe, Gilgel Gibe III, è collegato anche il Kuraz Sugar Development Project, che prevede una piantagione di 100.000 ettari di canna da zucchero – il progetto originario ne prevedeva addirittura 175.000 – e tre fabbriche per la raffinazione.
Kuraz è il più ambizioso di una serie di progetti previsti nei piani di sviluppo quinquennale del 2010 e del 2015 (Growth and Transformation Plans I e II) con l’obiettivo di rendere l’Etiopia uno dei principali paesi esportatori di zucchero ed etanolo, creare posti di lavoro per affrontare la disoccupazione giovanile alimentata anche dalla vertiginosa crescita demografica, e rispondere alla crescente domanda del mercato domestico. Oltre all’espansione degli impianti esistenti, la compagnia parastatale Ethiopian Sugar Development Corporation prevedeva la costruzione di nuovi impianti e schemi irrigui in diverse periferie del paese, nei bacini del Nilo (Beles), dell’Awash (Tendaho) e dell’Omo (Kuraz).
A distanza di diversi anni il bilancio di questi progetti è però piuttosto amaro: come nel caso della GERD, le fabbriche per la raffinazione della canna da zucchero affidate a METEC non si sono materializzate e i raccolti sono andati perduti, a causa di frodi e corruzione, ma anche di una pianificazione poco realistica e sensibilie agli impatti sociali ed ambientali. La superficie delle piantagioni e il numero delle fabbriche in tutti i progetti sono stati ridimensionati. Diversi rapporti di ONG e studi scientifici hanno inoltre evidenziato i notevoli costi umani ed ecologici di questi progetti, per ora superiori ai benefici, denunciando l’aumento di conflitti locali per l’accesso a risorse come terra ed acqua.
I grandi progetti di sviluppo come le dighe o le piantagioni vengono spesso descritti come progetti di costruzione non solo materiale, ma anche simbolica dello stato e della sua legittimità politica (state building). La relazione non è però lineare ed univoca: la GERD e i progetti di irrigazione per la canna da zucchero sono stati lanciati in una fase in cui il governo etiopico, sotto la guida di Meles Zenawi, si sentiva sufficientemente forte e legittimato per imbarcarsi in opere ambiziose e controverse nelle periferie del paese. I ritardi e le falle che si registrano sono anche il sintomo delle contraddizioni del modello di sviluppo, il cosiddetto developmental state che ha ispirato quei progetti: la loro natura centralizzata e top down stride con l’architettura istituzionale del federalismo etnico, che sulla carta riconosce ampia autonomia agli stati regionali. Il mancato rispetto dell’autodeterminazione delle “nazioni, popoli ed etnie” – come recita la Costituzione – che compongono il paese si riflette soprattutto in processi di accumulazione e controllo delle risorse, in primis la terra, da parte delle élite nazionali e regionali, come nel caso degli espropri ai danni dell’agricoltura familiare da parte delle compagnie statali per fare spazio alle piantagioni, senza adeguate compensazioni. Non è un caso che la stagione di rivolte popolari, che hanno portato alle dimissioni del primo ministro Hailemariam Desalegn e alla nomina di Abiy Ahmed, sia stata inaugurata proprio dalle proteste contro il nuovo masterplan della capitale Addis Abeba, che sottraeva terre ai contadini della regione Oromia per incorporarle nel nuovo distretto urbano.
Rispetto a queste proteste, l’arrivo al potere di Abiy Ahmed può essere interpretato come una rivoluzione passiva, frutto di una negoziazione tra élite. L’estromissione di METEC dai cantieri della GERD e dello zucchero fa parte di queste lotte intestine alla coalizione di governo, e segnala la perdita di influenza del TPLF (Tigray People’s Liberation Front). Ma sembra indicare anche un importante cambiamento ideologico nella politica economica: secondo il catechismo del developmental state, il coinvolgimento di METEC in questi progetti avrebbe dovuto trasformarlo in un campione industriale nazionale, sul modello dalle compagnie coreane come Samsung. Per rimediare al fallimento di METEC, Abiy Ahmed ha promesso politiche di liberalizzazione economica volte ad attrarre investitori internazionali. Da questo punto di vista, il precedente più significativo è quello dell’industria della floricoltura, sviluppatasi con luci e ombre soprattutto nella Rift Valley, nel sud del paese, grazie agli investimenti di compagnie private olandesi.
Allo sviluppo delle infrastrutture e alla creazione di posti di lavoro fanno da contraltare gli impatti negativi sull’ambiente – prelievi indiscriminati e inquinamento delle acque – e sulla salute dei lavoratori, nonché l’opacità in merito a quanto della ricchezza creata resti effettivamente all’interno dei confini nazionali.
Le difficoltà dei grandi progetti di gestione dell’acqua a fini idroelettrici ed irrigui sono il segnale di contraddizioni più profonde del modello del developmental state, di cui emergono i limiti nell’affrontare le due questioni tradizionali della politica etiopica, quella nazionale e quella sociale, oggi profondamente connesse ad una terza, quella ecologica: per coglierne davvero la portata, più che un Rinascimento, forse occorrerebbe una vera rivoluzione.