L’uccisione da parte degli Stati Uniti del generale iraniano Qassem Suleimani e l’acuirsi della crisi in Libia dopo l'intervento militare della Turchia hanno visto il 2020 aprirsi con una fase di acute tensioni internazionali che potrebbe riverberarsi sulla stabilità dei mercati energetici internazionali. Quali saranno le conseguenze sul mercato del gas di un’escalation nel Medio Oriente e Nord Africa?
Il ruolo strategico della partita libica
In Libia, il sempre maggiore coinvolgimento di Russia e Turchia hanno sensibilmente modificato gli equilibri che sino ad oggi hanno caratterizzato il confronto tra il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli e l’Esercito nazionale libico (LNA) guidato dal generale Khalifa Haftar, a sua volta espressione politico-militare della Camera dei Rappresentanti (HoR) di Bengasi-Tobruk. L'intervento militare della Turchia a sostegno del GNA, riconosciuto dall’ONU, di Fayez al-Serraj, infatti, ha impresso un cambio di passo a una delle crisi internazionali più durature. Nel tentativo di arginare la sempre più costante ingerenza esterna nel paese, a Berlino il 19 gennaio si è tenuto un summit internazionale volto a garantire il rispetto dell’embargo sulle armi stabilito dall’ONU e a porre le basi per un cessate-il-fuoco generale. Alla vigilia dell’incontro nella capitale tedesca, le milizie e le tribù legate al generale Haftar hanno bloccato i terminal petroliferi lungo la costa della Libia centro-orientale, limitando sensibilmente la produzione del greggio libico di oltre la metà. I recenti sviluppi dimostrano quindi come gli effetti dell’allargamento della crisi libica siano misurabili non solo dal punto di vista politico e securitario, ma anche in termini economici.
In una prospettiva regionale, il nuovo attivismo turco è strettamente correlato agli interessi e alle competizioni che interessano oggi l’Europa e il Mediterraneo orientale, soprattutto in ambito energetico. Il sostegno turco al governo di Tripoli rappresenta il tentativo di Ankara, tra le altre questioni, di garantire un futuro agli accordi stipulati con il GNA a fine 2019, che sanciscono la definizione di nuovi confini marittimi con la Libia. Con la rivendicazione di una Zona economica esclusiva (Zee) in acque contese, la Turchia ha voluto mandare un forte segnale a tutti gli attori con cui condivide interessi energetici nella regione e, in particolare, al consorzio costituto da Israele, Grecia, Egitto e Cipro. Quest’ultimo ha di recente siglato l’accordo per l’avvio della costruzione del gasdotto sottomarino EastMed, per un costo stimato di circa 6 miliardi di euro, che punta a fornire circa il 10% del fabbisogno europeo di gas naturale entro il 2025 bypassando la Turchia. Il piano turco prevede invece la costruzione di un gasdotto alternativo per lo sfruttamento congiunto con la Repubblica turca di Cipro Nord (riconosciuta dalla sola Turchia) delle ingenti risorse di gas che si trovano nelle acque territoriali attorno all’isola.
Nella competizione energetica per il gas nel Mediterraneo orientale, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è quindi determinata a giocare la sua parte senza farsi marginalizzare. Tramite l’accordo con la Libia di al-Serraj, Ankara mira ad estendere il proprio leverage nel dibattito sullo sfruttamento delle risorse naturali nel Mediterraneo orientale abbastanza a lungo da poter ritardare, se non compromettere definitivamente, il progetto già largamente dibattuto[1] del gasdotto EastMed. A sostegno di questa prospettiva, il 17 gennaio Haftar ha incontrato il ministro degli Esteri greco Nikos Dendias per discutere del ruolo futuro che la Grecia (esclusa dal summit di Berlino) intende giocare in Libia. L’intento infatti è quello di assicurarsi lo smantellamento dell’accordo marittimo firmato tra il GNA e Erdogan, fortemente osteggiato da Atene. La questione centrale per il mercato del gas naturale ora dipenderà dall’abilità della Turchia di garantire i propri interessi in Libia nel lungo periodo, così come dalla capacità turca di consolidare il proprio ruolo come hub energetico della regione mediterranea diversificando i propri approvvigionamenti di gas naturale, come dimostra l’unione a doppio filo con la Russia, ulteriormente consolidata dall’inaugurazione a gennaio 2020 del gasdotto TurkStream.
La valenza geo-economica delle tensioni nel Golfo
Le conseguenze geopolitiche della crisi tra Stati Uniti e Iran non si limitano esclusivamente alla sicurezza nel Golfo Persico e nella regione mediorientale, ma hanno un riverbero profondo anche nei confronti della continuità dei flussi commerciali e degli approvvigionamenti energetici, dai cui dipende la stabilità dei mercati e dell’economia mondiali. Un eventuale conflitto tra i due paesi, infatti, potrebbe avere serie ripercussioni sul transito delle petroliere e delle metaniere attraverso lo stretto di Hormuz, da cui passano annualmente un terzo del petrolio via mare e un quarto del gas naturale liquefatto (GNL) distribuito a livello mondiale.[2]
Nel caso del mercato del gas – così come del greggio – l’eventuale chiusura dello stretto sarebbe lo scenario peggiore, dato che il primo esportatore al mondo di GNL, il Qatar,[3] si affaccia proprio su quelle acque, condivide il pozzo di South Pars/North Dome con l’Iran e si troverebbe costretto a sospendere la principale catena di rifornimento di gas e derivati che passa via mare. L’Iran, che ha più volte minacciato la sicurezza degli approvvigionamenti energetici nell’area ed è ritenuto colpevole degli attacchi ad alcune petroliere e due installazioni petrolifere saudite nel corso dell’estate scorsa,[4] potrebbe colpire con maggiore forza minando le acque di Hormuz o colpendo su vasta scala i convogli marittimi.
Se ciò avvenisse, potrebbe verificarsi un aumento dei prezzi spot relativi al gas liquefatto, dato che il mercato non sarebbe capace di sopperire a lungo ad un tale ammanco.[5] Questo riguarderebbe soprattutto le piazze di scambio asiatiche, in virtù della forte dipendenza di Giappone, Corea del Sud, India e Cina dal GNL qatariota, ma non solo. Grazie al prezzo competitivo, infatti, il gas liquefatto esportato dal Qatar è destinato anche a diversi paesi europei, tra cui l’Italia, per la quale rappresenta l’11% del volume totale di gas naturale importato nel 2019.[6] Nel contempo, va anche considerato il legame a doppio filo tra i prezzi del petrolio e quelli del gas. In caso di escalation, infatti, il probabile aumento del costo al barile farebbe salire il prezzo dei contratti di fornitura GNL indicizzati sul valore del greggio Brent,[7] maggiormente sensibile alle tensioni internazionali.
Nel complesso, tuttavia, una serie di fattori sembrano scongiurare uno shock dei prezzi relativi al gas. In primis il grande surplus di GNL sul mercato, specie quello europeo, che permetterebbe di sopperire all’interruzione dei rifornimenti dal Qatar.[8] In secondo luogo, la bassa probabilità di un conflitto su larga scala, sebbene questa non vada esclusa completamente. Inoltre, sembra quanto mai improbabile un attacco iraniano contro obiettivi qatarioti, visti i numerosi interessi bilaterali e i buoni rapporti che intercorrono tra i due paesi.[9]
Una continuazione delle tensioni nel Golfo persico, infine, potrebbe spingere i principali importatori, specie europei, a diversificare ulteriormente le proprie fonti di approvvigionamento, con Stati Uniti e Australia già intenti ad incrementare la propria produzione di GNL destinato all’esportazione. Nonostante i rischi legati al ruolo cruciale del Qatar come esportatore, quindi, gli investitori si attendono prezzi contenuti anche per il 2020.
Quali scenari?
In conclusione, l’attuale abbondanza di gas sul mercato internazionale garantita dall’aumento degli investimenti e della produzione[10], unita ad un’offerta sempre più concorrenziale, contribuiranno con ogni probabilità alla diminuzione del potere contrattuale del singolo esportatore, scongiurando quindi possibili crisi energetiche legate all’interruzione degli approvvigionamenti da parte di paesi esportatori come il Qatar. Di contro, la crisi libica potrebbe avere conseguenze geopolitiche più rilevanti sulla questione del gas nel Mediterraneo orientale, soprattutto in virtù del protrarsi di un intervento turco nel paese, il quale contribuirebbe a peggiorare i rapporti con paesi come Egitto, Israele, Grecia e Cipro, minacciando altresì lo sviluppo del progetto EastMed.
Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata su RiEnergia
[1] Le difficoltà costruttive, i costi elevati, l’assenza di paesi intermediari e la difficoltà di poter efficacemente influenzare un mercato come quello del gas naturale europeo, dominato dalla Russia, hanno contribuito a mettere in dubbio la reale efficacia del gasdotto.
[2] Grant Smith, Julian Lee, Javier Blas, Why Strait of Hormuz Is World’s Oil Flashpoint, Bloomberg, 14 giugno 2019.
[3] Sissi Bellomo, Il Qatar scopre nuove riserve di gas e accelera ancora con il Gnl, Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2019.
[4] David Kirkpatrick, Richard Pérez-Peña, Stanley Reed, Tankers Are Attacked in Mideast, and U.S. Says Video Shows Iran Was Involved, (13 June 2019).
[5] Stephen Stapczynski, Dan Murtaugh, A U.S.-Iran Conflict Could Impact Gas Markets Much More Than Oil, Bloomberg, 21 giugno 2019..
[6] Elaborazione ISPI sulla base di dati SNAM e British Petroleum (BP). Dal gennaio 2019 ad oggi, l’Italia ha importato poco più di 8 miliardi di metri cubi di GNL dal Qatar, su un volume totale di 72 miliardi di metri cubi di gas naturale (incluso il GNL) ricevuto dal nostro paese. In media, durante il 2019 la componente GNL ha rappresentato il 19% delle nostre importazioni di gas.
[7] Jamison Cocklin, Global LNG Market Not Immune to Escalating U.S., Iran Tensions, 3 gennaio 2020. Il valore del brent ha raggiunto i 70$ al barile all’inizio di gennaio, il massimo registrato negli ultimi mesi.
[8] LNG oversupply, lower prices to persist globally in 2020, Zawya, 5 gennaio 2020.
[9] Stuart Elliott, Analysis: US-Iran tensions bring key Qatari LNG role into focus, S&P Global Platts, 6 gennaio 2020.
[10] L’aumento globale della produzione di gas nel 2018 ammonta a 190 miliardi di metri cubi, pari al 5,3% su base annua. Statistical Review of World Energy, BP.