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Asia
Hong Kong: l’opposizione si dimette
11 novembre 2020

Nuova stretta di Pechino sul parlamento di Hong Kong e l’intera opposizione si dimette per protesta. Il presidente del partito democratico: “è la morte del modello un paese sue sistemi”.

 

I deputati dell’opposizione pro-democratica di Hong Kong si sono dimessi in massa dopo che quattro di loro erano stati espulsi dal parlamento con effetto immediato. Si tratta di Alvin Yeung, Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Kenneth Kwok. L'allontanamento è avvenuto poco dopo che il Congresso nazionale del popolo, il parlamento di Pechino, aveva approvato una risoluzione che consente al governo di squalificare i politici ritenuti una minaccia alla sicurezza nazionale. La Chief Executive della regione amministrativa speciale Carrie Lam, capo esecutivo di Hong Kong, ha rivendicato la decisione e annunciato che il consiglio ha i numeri per andare avanti nello svolgimento delle sue funzioni.

Per i critici di Pechino si tratta dell’ennesima stretta, dopo mesi di tensioni e proteste, volta a mettere sotto scacco il principio ‘un paese, due sistemi’ che regola i rapporti con Hong Kong e Macao e che ha finora garantito agli abitanti della ex colonia britannica maggiori libertà civili e politiche rispetto al resto della Cina.

 

Cosa prevede la risoluzione?

La risoluzione, passata all’unanimità al Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, l’organo decisionale del parlamento di Pechino, prevede che i membri del parlamento di Hong Kong possano essere allontanati se si esprimono a favore dell’autonomia di Hong Kong, rifiutano di riconoscere la sovranità della Cina, chiedono a forze straniere di interferire negli affari della città o minacciano in qualsiasi altro modo la sicurezza nazionale. Il documento consente di fatto al governo di Hong Kong di rimuovere direttamente i legislatori senza neanche doversi rivolgere alla giustizia ordinaria.

La decisione di espellere dei deputati dal parlamento, l’unico organo legislativo di Hong Kong la cui composizione è frutto parziale di un voto popolare, si inserisce nel percorso tracciato dalla controversa legge sulla sicurezza nazionale, approvata a fine giugno, dopo anni segnati da ondate di proteste pro-democrazia e anti-Pechino. La legge, che prevede il carcere a vita per la sedizione e la repressione per ogni forma di dissenso politico, ha già portato a un’ondata di arresti tra gli attivisti e allo scioglimento del Demosistō, il più noto movimento per la democrazia a Hong Kong. 

 

 

Chi sono i deputati espulsi?

Tre dei quattro legislatori espulsi fanno parte del Partito Civico, mentre uno solo è esponente della Professionals Guild: a tutti era stato precedentemente impedito di partecipare alle elezioni per il Consiglio legislativo in agenda a settembre e successivamente posticipate a causa del Coronavirus. Per protestare contro il loro allontanamento, i restanti 15 deputati di opposizione (su 70 che siedono in parlamento) hanno deciso di dimettersi: un gesto “insensato” secondo Carrie Lam, che ha ribadito come il parlamento di Hong Kong abbia comunque il numero legale di deputati per continuare ad operare e ha annunciato elezioni suppletive entro nove mesi per sostituire i seggi liberati. “Non potevamo permettere ai membri del Consiglio legislativo che non soddisfano i requisiti di continuare a ricoprire il loro incarico” ha detto Lam, precisando che i deputati devono rispettare ed essere in linea con la mini-costituzione della città, la Legge fondamentale e altre leggi locali, inclusa quella sulla sicurezza nazionale.

 

Processo alla stampa?

In queste stesse ore, in tribunale è iniziato il processo alla giornalista Bao Choy, collaboratrice della radio pubblica di Hong Kong (Rthk) per le inchieste relative alle aggressioni da parte di gang – sospettati di appartenere alle “triadi” (le mafie locali) - ai danni dei manifestanti pro-democrazia. L’inchiesta di Choy e le immagini contenute nel documentario “Hong Kong Connection” hanno messo in serio imbarazzo le forze dell’ordine mostrando la presenza di agenti sul luogo degli scontri ben prima che questi iniziassero, e ora la giornalista è accusata di aver violato la legge mentre indagava sull’accaduto. La direzione di Rthk si è detta preoccupata per l’arresto di Choy ma ha precisato di non avere alcuna intenzione di rinunciare al proprio impegno investigativo. Per il fronte democratico, il fermo della giornalista rappresenta l’ennesimo attacco alla libertà di stampa nell’ex colonia britannica.

 

 

Fine di un paese, due sistemi?

Secondo il Global Times, durante la consueta conferenza stampa del mercoledì, il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin ha ribadito che le questioni relative ai legislatori della regione amministrativa speciale di Hong Kong sono affari interni della Cina e che altri paesi non hanno il diritto di puntare il dito o interferire con essi. Un avvertimento preventivo al neo-eletto presidente americano Joe Biden? Di certo, dopo quattro anni a dir poco burrascosi con Donald Trump alla Casa Bianca, non sembra che Pechino si stia affrettando a cercare di ripristinare relazioni cordiali con il nuovo corso democratico. Xi Jinping non si è ancora congratulato con il candidato vincitore delle elezioni e con Washington regna il gelo.

Nel mentre, il presidente del Partito Democratico di Hong Kong Wu Chi-wai lancia un monito severo: “Non possiamo più dire al mondo che abbiamo ancora ‘un paese, due sistemi’. Quanto accaduto oggi dichiara la sua morte ufficiale”. Difficile dargli torto. Per la prima volta dal 1997, l’anno dell’handover, il passaggio di Hong Kong da protettorato britannico a regione amministrativa speciale cinese, il parlamento locale non presenta al suo interno alcun esponente di opposizione, mentre, in base alle nuove regole, i tribunali possono essere aggirati e l’esecutivo si trova improvvisamente nelle condizioni di licenziare i membri della legislatura.

 

Il Commento

Di Giulia Sciorati, Associate Research Fellow, Programma Cina, Osservatorio Asia

 

“Con la rimozione di quattro membri del parlamento hongkonghese e la successiva dimissione di altri quindici come atto di protesta, diminuisce drammaticamente la presenza democratica nelle istituzioni cittadine di Hong Kong.

 

Cresce allo stesso tempo il divario tra Pechino e Washington, uno dei più grandi difensori dello stato ibrido della città. Un'ultima sfida per il presidente uscente Donald Trump, che potrebbe però darci qualche indizio su quale sarà la prima grande questione di confronto tra Biden e Pechino il prossimo anno”.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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