Al di là delle dichiarazioni politiche e delle posizioni di principio che vengono ribadite, la probabilità che la Germania possa acconsentire allo smantellamento dell’euro e dell’Eurozona sulla base di ragionamenti economici sembra molto bassa. L’economia tedesca infatti ha ottenuto dei benefici significativi in seguito all’introduzione della moneta unica e al rafforzamento dell’integrazione euro-pea, e dunque i costi del suo abbandono per il sistema industriale tedesco sarebbero elevatissimi.
La moneta unica europea è stata introdotta in primo luogo con l’intento di ridurre il costo e il rischio delle transazioni tra i membri dell’Unione Europea. Non stupisce quindi che il primo beneficiario dell’utilizzo dell’euro sia la Germania, in quanto maggiore economia dell’area per dimensioni di Pil e ancor più per ammontare di transazioni internazionali. Questi vantaggi sono testimoniati dal deciso rafforzamento della posizione internazionale della Germania negli ultimi anni, osservabile da diversi punti di vista.
La Germania, primo esportatore mondiale per diversi anni nel decennio passato, ha mostrato dal 2000 un miglioramento continuo del saldo di bilancia commerciale fino all’inizio della crisi econo-mica internazionale. Oltre a un complessivo saldo positivo, la Germania mostra un surplus cre-scente anche nei confronti dell’area dell’euro fino al 2007. Il saldo con l’Eurozona si riduce dal 2008, ma rimane ampiamente positivo (dati Bundesbank). Questo risultato è conseguito a fronte di un miglioramento complessivo delle ragioni di scambio del paese, che si modificano più favore-volmente di quelle dei paesi dell’Europa mediterranea.
Anche la posizione come investitore diretto all’estero della Germania si rafforza, e il ritorno sugli investimenti esteri nel periodo 2000-2010 è in media superiore al 5% (dati Bundesbank).
Il rafforzamento dell’economia tedesca nell’ultimo decennio non è certamente solo dovuto all’euro. La moneta unica ha però consentito all’economia del paese di sfruttare al massimo i benefici di una serie di riforme intraprese nel corso degli anni ’90, che ha decisamente migliorato la competitività internazionale delle sue imprese. La stabilità valutaria e la riduzione dei costi di transazione, insieme a un mercato finanziario europeo, che seppure non perfettamente integrato, risultava più esteso e articolato di quello nazionale, hanno aiutato a investire sui processi di internazionalizzazione e ad allungare le reti di produzione tedesche fino ai confini europei e oltre.
L’industria manifatturiera tedesca ha sviluppato in molti settori filiere produttive internazionali e un sistema di sub-fornitura robusto che raggiunge tutto il mondo, ma è particolarmente radicato all’interno del continente europeo. Le imprese tedesche infatti sono state tra le prime a delocalizzare fasi produttive nel mercato europeo allargato già a partire dalla creazione del mercato unico e delle prime fasi di transizione dei paesi dell’Europa centro-orientale.
Nel 2011, la metà delle esportazioni tedesche e oltre il 61% delle sue importazioni erano costituite da beni intermedi, con un aumento del peso dei beni intermedi sul totale importato di oltre 10 punti percentuali in un decennio (dati Eurostat). Nel caso dei beni intermedi, poco meno della metà degli scambi (il 45% dell’import e il 40% dell’export) avvengono all’interno dell’Eurozona, a conferma dei forti legami produttivi esistenti tra l’industria tedesca e le imprese di quest’area. Una quota molto consistente di fornitura è anche localizzata nei paesi nuovi membri dell’Unione Europea, ancora fuori dall’euro ma destinati a entrarvi in futuro.
Il peso dell’area dell’euro negli scambi della Germania è rimasto piuttosto stabile dall’introduzione dell’euro in avanti. La tenuta dell’Eurozona è molto evidente soprattutto se si considera che in questi stessi anni è fortemente cresciuto il peso sui mercati mondiali dei paesi emergenti (Cina, prima di tutti) sia come mercati di sbocco che come fornitori. I paesi dell’Eurozona vedono scendere la loro quota come mercati di destinazione delle produzioni finali dall’inizio della crisi finanziaria inter-nazionale, e questo sembra essere dovuto più che altro alla caduta della domanda su questi mercati che non alla rottura di legami economici e commerciali.
Dunque, oltre ai dibattuti legami finanziari esistenti tra le banche tedesche e i paesi dell’euro, la Germania appare legata a doppio filo con le economie europee anche dal punto di vista reale e produttivo. Questi collegamenti sono alla base della robusta crescita dell’economia tedesca nel decennio passato e appaiono complessivamente solidi. La fine dell’euro e la conseguente rottura del processo d’integrazione tra le economie europee non sembra quindi essere certamente nell’interesse del sistema produttivo della Germania.