In un quadro di incertezza crescente sulle prospettive economiche globali, una domanda sorge spontanea: sarà ancora il secolo dell’Asia, come ipotizzato da importanti commentatori, in primis Parag Khanna nel suo libro “The Future is Asian”? E ancora: cosa aspettarsi dalle vitali economie dell’area ASEAN nella ripresa post-pandemia?
Fino a poco tempo fa considerati come uno dei maggiori motori di sviluppo del continente asiatico e dell’intero pianeta, con tassi di crescita medi annui pari al 5% (grazie anche agli ingenti introiti degli investimenti diretti esteri in entrata e del turismo), i dieci Paesi ASEAN (Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia, Brunei, Birmania, Vietnam, Laos, Cambogia) hanno subito ferite profonde nel loro tessuto economico e sociale a causa della crisi del coronavirus.
Nel corso degli ultimi mesi, lockdown prolungati e misure restrittive all’attività economica hanno messo a dura prova la tenuta di un’area centrale per il commercio mondiale. In una regione il cui export dipende per il 40% dalle catene globali del valore, con forti collegamenti con i nodi core del commercio internazionale, la pandemia rappresenta un rischio sistemico. Tuttavia, la riorganizzazione delle catene del valore globali, pur innescando fenomeni di re-shoring verso i Paesi industrializzati, potrebbe rappresentare un’opportunità per l’area, favorendo un processo di ri-localizzazione di impianti produttivi ora presenti, ad esempio, in Cina. Manager di importanti imprese multinazionali sono infatti intenzionati a diversificare le proprie catene di approvvigionamento centrate prima della pandemia esclusivamente sulla Cina. Secondo un sondaggio di QIMA, il 67% di dirigenti di imprese europee e l’80% dei dirigenti americani intervistati sarebbero intenzionati a sostituire i loro partner cinesi con fornitori del Sud-Est asiatico.
Il complesso quadro macro-economico
Nel secondo trimestre del 2020, rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, l’economia della Malaysia si è contratta del 17,1%, le Filippine del 16,5%, Singapore del 13,2%, la Thailandia del 12,2%, l’Indonesia del 5,3%; solo il Vietnam è riuscito a contenere i danni, registrando un incremento marginale della crescita pari allo 0,4%. Serve tuttavia ricordare come quest’ultimo Paese registrasse prima della crisi tassi di incremento del Pil del 7% annuo, e come la sua stretta integrazione economica con la Cina abbia permesso di beneficiare della ripresa dell’economia cinese nel secondo trimestre dell’anno. Momento favorevole confermato anche dall’entrata in vigore il 1° agosto dell’accordo di libero scambio tra Unione europea e Vietnam: il trattato favorirà aumenti dei flussi commerciali bilaterali fino al 30%, rendendo il Paese una delle principali piattaforme logistiche e commerciali per i commerci tra Asia ed Europa.
L’Asian Development Bank (ADB), nel recente outlook di settembre, ha confermato le prospettive negative per il totale delle economie asiatiche in via di sviluppo, stimando una contrazione annuale del Pil 2020 pari al 6,8%: il peggior risultato dal 1961. Il rimbalzo del 2021 sarà solo parziale, con una crescita prevista del 6,1%. La banca calcola in3,6 trilioni di dollari – pari al 15% del Pil regionale - le necessità di misure fiscali per contrastare la crisi economica, in particolare attraverso politiche di sostegno al reddito. Per le economie ASEAN il crollo sembra tuttavia molto più contenuto: l’ADB stima infatti una contrazione del 2,7% nel 2020.
Nonostante siano stati colpiti in modo più contenuto dalla diffusione del virus rispetto ad altre parti del mondo, i Paesi del Sud-Est hanno subito perdite economiche non trascurabili. L’interruzione delle catene del valore a causa dei lockdown e delle misure di quarantena stanno avendo effetti negativi per Paesi fortemente dipendenti dal commercio regionale e internazionale, tra i quali Singapore, Vietnam, Cambogia, Malaysia e Thailandia. I divieti ai viaggi internazionali e la chiusura temporanea degli spazi pubblici hanno colpito il settore dei servizi e del turismo. Paesi fortemente dipendenti dalle rimesse, come le Filippine, hanno subito un calo dei flussi in entrata delle stesse, con effetti negativi sui consumi e sugli investimenti. Nel frattempo, le misure di contenimento hanno avuto profondi riflessi sul mercato del lavoro: il tasso di disoccupazione è previsto in aumento del 2,5% in Indonesia, dell’1,5% in Malaysia e dell’1,2% nelle Filippine. Infine, la politica accomodante adottata dalla Federal Reserve americana ha indotto un deprezzamento costante del dollaro, con riflessi negativi sulla competitività delle esportazioni della regione. L'International Finance Corporation (IFC) - Istituzione del gruppo Banca Mondiale - sottolinea i rischi che la pandemia si traduca in crisi finanziaria a causa dell'aumento dei crediti deteriorati (non-performing loans). Le bancarotte nella regione del Sud-est asiatico sono stimate in aumento del 30% a causa della crisi economica innescata dall'emergenza sanitaria. A sostegno del tessuto economico e della liquidità delle aziende dell'area, l'IFC prevede di erogare più di $7 miliardi, con un focus sulle piccole e medie imprese.
La reazione economica: i pilastri della ripresa
Per contrastare gli effetti economici avversi della pandemia, i Paesi ASEAN hanno adottato piani di stimolo a sostegno dell’attività economica, con valori medi pari al 3,5% del Pil, ma con punte fino al 20% del Prodotto interno lordo: nel complesso, ad oggi, sono stati spesi 355 miliardi di dollari in misure espansive. I livelli di debito pubblico sono conseguentemente in fase di crescita, sia per la riduzione del reddito nazionale che per l’aumento della spesa pubblica per sanità e investimenti. Tuttavia, non tutti i Paesi del Sud-Est asiatico hanno la capacità di prendere a prestito fondi sui mercati internazionali: l’aumento dei disavanzi potrebbe quindi non essere sostenibile se protratto nel lungo termine. Alcuni Stati si sono rivolti alle istituzioni multilaterali per coprire le crescenti difficoltà di bilancio. Ad esempio, Cambogia, Indonesia, Laos, Myanmar e Filippine hanno beneficiato di prestiti della Banca mondiale attraverso la Fast-Track Facility ed altre forme di supporto finanziario. Indonesia, Laos e Filippine hanno ottenuto finanziamenti ulteriori da parte della Asian Development Bank.
Le varie economie stanno progressivamente riducendo le misure di contenimento. La maggior parte dei Paesi ASEAN hanno allentato le misure di lockdown e i confini stanno gradualmente riaprendosi. Singapore e la Malaysia hanno recentemente trovato un accordo per la riapertura delle frontiere per i lavoratori e le imprese essenziali, con l’obiettivo di rilanciare le loro economie profondamente interconnesse. Numerose corsie verdi (green lanes) sono state istituite tra Paesi con forti relazioni economiche – come Singapore e Cina o Indonesia e Sud Corea – per garantire viaggi senza restrizioni agli operatori economici.
L’approfondimento del processo d’integrazione economica e commerciale tra i Paesi ASEAN potrebbe essere una delle direttrici fondamentali per l’uscita dalla recessione della regione. Il candidato principale è la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), un accordo commerciale in via di negoziazione tra i 10 Paesi ASEAN con Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda (l’India ha notificato il suo ritiro nel corso del Vertice ASEAN+3 del 4 novembre 2019). Se ratificato, l’accordo riguarderebbe il 30% della popolazione mondiale e circa il 29% del Pil. Inoltre, nel corso del 36° Summit Asean del 26 giugno, è stata decisa l’istituzione di un Covid-19 ASEAN Response Fund: i leader dei Paesi ASEAN hanno concordato sulla necessità di adottare piani di rilancio economico coordinati, affinché la ripresa sia diffusa in tutta la regione.
Il secondo pilastro del rilancio è rappresentato da nuove infrastrutture sostenibili. Le economie emergenti dell’ASEAN hanno la possibilità di liberare la loro crescita economica raddoppiando gli investimenti in infrastrutture sostenibili, al tempo stesso riducendo il consistente gap infrastrutturale per quanto concerne le infrastrutture essenziali. Centrali, in questo senso, rimangono il Master Plan on Asean Connectivity (MPAC) 2025 che ha l’obiettivo di dare impulso al commercio regionale, migliorare l’efficienza delle catene del valore e della mobilità delle persone. Nel settore energetico, l’Asean Plan of Action for Energy Cooperation (APAEC) ha riconosciuto la necessità di una transizione energetica pulita, con un target del 23% di energie rinnovabili nel mix energetico complessivo. In tale quadro, le infrastrutture digitali svolgeranno un ruolo centrale per il rilancio della regione e per assicurare un incremento della crescita potenziale di lungo periodo. La ADB stima, ad esempio, che l’economia indonesiana potrebbe avere un Pil aggiuntivo di 2,8 trilioni di dollari entro il 2040, qualora si procedesse verso una profonda digitalizzazione dell’economia del Paese.
L'interesse di Cina e Giappone per l'area
La centralità dell’area ASEAN è ben compresa sia dalla Cina che dal Giappone, entrambi partecipanti ai vertici in formato ASEAN+3.
Pechino sta spingendo per una più forte integrazione economica e commerciale, insistendo per un maggior coordinamento tra la Belt and Road cinese e il Master Plan on Asean Connectivity (MPAC) 2025 dell’ASEAN. Una relazione privilegiata confermata anche dalla crescita senza sosta – nonostante la pandemia – del commercio tra Cina e Paesi ASEAN, che ad agosto ha raggiunto i 430 miliardi di dollari, in crescita del 7% rispetto all’anno precedente. Questo risultato ha determinato il sorpasso dell’ASEAN sull’UE come primo partner commerciale di Pechino. Nei primi sei mesi del 2020, inoltre, gli investimenti bilaterali (sia in entrata che in uscita) sono aumentati del 58% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’uscita della Cina dall’emergenza in anticipo rispetto al resto del mondo, quindi, potrebbe rendere i Paesi ASEAN più dipendenti dalle esportazioni e investimenti provenienti dall’ingombrante vicino.
Il Giappone, d’altro canto, non si limita al ruolo di spettatore, seppure da una posizione di relativo svantaggio strategico. Tokyo ha avviato una sorta di “diplomazia sanitaria” nell’area ASEAN che si è concretizzata in un primo finanziamento ai Paesi membri della regione per rafforzare il loro sistema sanitario e promuovere la ricerca sui vaccini. Al tempo stesso, Giappone e Paesi ASEAN hanno ribadito congiuntamente le loro preoccupazioni riguardanti le rivendicazioni territoriali nel Mar cinese orientale e meridionale. Dichiarazioni rientranti nella strategia giapponese della Free and Open Indo-Pacific (FOIP), mirante a contrastare l’egemonia cinese nella regione anche attraverso il rafforzamento della partnership economica e infrastrutturale con i Paesi ASEAN e dell’Indo-Pacifico.
La crisi pandemica, in sintesi, non ha scalfito le previsioni riguardanti il secolo attuale: il futuro è ancora asiatico. Come sarà l’era post-covid è tuttavia ancora incerto. Sull'ASEAN incombono le crescenti tensioni tra due dei maggiori partner economici del blocco, gli Stati Uniti e la Cina. Proprio questo attrito potrebbe influenzare il modo e la rapidità con cui le economie del Sud-Est asiatico si riprenderanno e la misura con cui giocheranno un ruolo da protagoniste nel mondo che verrà. Ma protagoniste resteranno.