Il 16 agosto scorso sono iniziate le trattative per rinegoziare il NAFTA: a oggi si sono tenuti i primi cinque round (il prossimo è previsto a Montreal dal 23 al 28 gennaio) e l'obiettivo è di giungere a una rinegoziazione e modernizzazione dell'accordo, anche se le divergenze tra le parti non rendono questo risultato scontato. Perché questo obiettivo è il più plausibile? Perché una marcata riduzione dei flussi commerciali, specialmente tra Stati Uniti e Messico, potrebbe avere una serie di impatti rilevanti considerate le forti sinergie che si sono consolidate nel tempo dal lato degli scambi commerciali, delle catene produttive, della competitività delle imprese e del mercato del lavoro. I principali punti di discussione riguardano le regole di origine e il contenuto locale, i meccanismi di risoluzione delle dispute e l’e-commerce; inoltre si tratterà sul rafforzamento delle tutele su proprietà intellettuale, diritti dei lavoratori e ambiente.
Tra i settori maggiormente sotto analisi figura l’industria automobilistica e della componentistica (airbag, telai, guarnizioni, sospensioni, componenti elettrici e luci), per via del rilevante volume di flussi commerciali e della complessità delle catene produttive regionali. Ad esempio, l’integrazione tra Stati Uniti, Canada e Messico fa sì che le parti e componenti prodotte per il settore automotive possano attraversare i confini dei tre Paesi fino a 8 volte prima di essere installati in via definitiva. A dimostrazione del fatto che è tra i settori più esposti a cambiamenti radicali dell’accordo, l'amministrazione Trump ha proposto di aumentare la quantità di contenuto prodotto nell’area NAFTA fino all'85% (al momento è al 62,5%) e di assicurare che il 50% di tale quota provenga dagli Stati Uniti.
Altre imprese che potrebbero risentirne sono riconducibili ai comparti dei prodotti chimici, computer ed elettronica, macchinari e apparecchiature elettriche. Anche il settore agricolo, in particolare le commodity, risulta molto vulnerabile a una cessazione dell’accordo in quanto il Messico è il terzo mercato per l’export di prodotti agricoli statunitensi e le tariffe che il Paese potrebbe imporre nel settore sotto le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, in caso di cessazione del NAFTA, sono maggiormente penalizzanti di quelle che gli Stati Uniti potrebbero elevare sul Messico.
Per le imprese italiane i tre Paesi rappresentano un importante mercato di destinazione e il mantenimento in vita del Trattato di libero scambio risulta un fondamentale tassello per continuare a fare investimenti nell’area e partecipare alle catene del valore. Un’interruzione degli scambi potrebbe avere impatti negativi nei comparti dei veicoli leggeri, veicoli commerciali e componentistica, ma anche in diversi altri settori sia del Made in Italy tradizionale sia della meccanica strumentale dove i prodotti italiani sono molto richiesti e apprezzati per tecnologia, efficienza e precisione. Lo dimostrano i dati sull’export: il NAFTA rappresenta per l’Italia il secondo mercato di sbocco (dopo la Germania), con un peso del 10,6% sul totale. Nel 2016 le esportazioni verso l’area sono cresciute del 2,6% e hanno superato i 44 miliardi di euro. A livello settoriale i primi quattro segmenti sono meccanica strumentale (con un peso sul totale del 21,2%), mezzi di trasporto e relative parti e componenti (20,2%), prodotti alimentari e bevande (10,3%) e prodotti tessili e dell’abbigliamento (10,2%). I primi nove mesi del 2017 hanno visto un aumento dell’export Made in Italy verso l’area del 9,3% e secondo le previsioni SACE dello scorso giugno, che non considerano un blocco degli scambi tra le tre geografie, le esportazioni italiane verso il NAFTA registreranno una crescita media nel triennio 2018-20 del 5,6%.