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Asia

Corea del Sud: il balzo della tigre

Francesca Frassineti
18 febbraio 2022

Nel 2021 il Pil della Corea del Sud è cresciuto del 4%, principalmente grazie alla salita vertiginosa della domanda per il Made in Korea. È ormai diventato un mantra quello per cui la crescita economica guidata dalle esportazioni sia stata storicamente una componente essenziale della strategia di sviluppo della Corea del Sud. La promozione delle esportazioni è stata al centro dei piani quinquennali che dal 1962 sono serviti come spina dorsale della politica economica, soprattutto durante la fase autoritaria terminata sul finire degli anni Ottanta (l’ultimo piano è stato formulato nel 1989). Nel 2019, il commercio ha rappresentato il 75,8% del Pil sudcoreano di cui quasi l’80% proveniente dall’industria pesante, dai macchinari, dalle apparecchiature e componenti elettriche ed elettroniche, dalle apparecchiature di trasporto. Uno scenario molto diverso rispetto al 1970 quando erano i prodotti agricoli e manifatturieri leggeri, prodotti tessili e in pelle e di quelli in legno e carta a rappresentare il 76,4% dell’export e import.

 

Il traino export resta, ma a quale prezzo?

Prevedibilmente, il commercio è stato cruciale anche per ridurre al minimo i danni economici della pandemia. Nel 2020 la combinazione di stimoli fiscali e monetari, forte crescita delle esportazioni nel secondo semestre e tracciamento dei contatti ha impedito che il calo del Pil superasse la soglia dell’1% – la migliore performance dopo solo quella dell’economia cinese. Nonostante le continue interruzioni delle catene di approvvigionamento globali, la ripresa economica ha beneficiato di un aumento della domanda di beni di consumo durevoli che la Corea del Sud ha potuto capitalizzare grazie alla sua leadership nei settori dei semiconduttori e dell'elettronica di consumo e nel complesso l’export sudcoreano è aumentato del 25,7% su base annua. Tutto ciò ha permesso il ritorno dell’attività economica ai livelli pre-pandemici entro maggio 2021 e, complessivamente, all’economia sudcoreana di crescere l’anno scorso al ritmo più veloce degli ultimi undici anni.

Il forte rimbalzo post pandemico è fotografato dai già citati dati pubblicati dalla Bank of Korea (BoK) e per quest’anno le stime indicano una crescita del 3%, un punto meno dell’anno passato; prospettive in lieve calo su cui pesano il rallentamento degli investimenti di capitale e gli effetti delle recrudescenze nel numero dei contagi (come quella di questi giorni) sui consumi interni, che non smettono di oscillare in corrispondenza dell’inasprimento e del rilassamento delle misure di distanziamento sociale, e sull'occupazione – soprattutto femminile – nel settore dei servizi che continua ad affrontare livelli di incertezza altissimi. 

L’altra faccia dell’apertura economica rappresentata dalla centralità dell’export è la vulnerabilità agli shock esterni il cui impatto, com’è noto, dipende in gran parte dal grado di concentrazione del portafoglio delle esportazioni di un Paese; dal mix di esportazioni di ciascun Paese; dai principali partner commerciali. Nel 2020 la Federazione delle imprese sudcoreane (KFI) ha messo nuovamente in guardia dai rischi legati all’alto livello di concentrazione delle esportazioni e delle importazioni sudcoreane. Nel suo rapporto, basato sull’indice di Herfindahl-Hirschman, la Corea del Sud ha totalizzato 877,3 – il più alto rispetto a tutti i Paesi del G7 – seguita dal Giappone (785,6) e dalla Germania (536,8), “merito” principalmente dei semiconduttori e dell’automotive. Lo stesso primato è condiviso dal settore dell’import (563,4). Quando si guarda ai Paesi di destinazione, il 40% delle esportazioni della Corea va in solo due direzioni: Cina (25,9%) e Stati Uniti (14,5%), gli stessi partner su cui devono fare affidamento le importazioni sudcoreane (Cina: 23,3% e USA: 12,4%) oltre che sul Giappone (9,8%).

 

Una nuova strategia per il Sudest asiatico

La diversificazione economico-commerciale è stata uno dei principi guida del modo con cui l’amministrazione uscente ha, ad esempio, guardato al Sud-Est asiatico, un’area che negli ultimi cinque anni ha assunto un ruolo di primo piano nella politica estera del presidente Moon Jae-in per mitigare l'impatto del tradizionale dilemma di Seoul, ossia quello di dipendere per la propria sicurezza dall’alleanza con Washington e per la stabilità economica dal mercato cinese. Uno dei principali obiettivi della cosiddetta “New Southern Policy”, inaugurata da Moon nel novembre 2017, è stato quello di accelerare i tentativi di diversificare l’economia sudcoreana e di ridurre l'eccessiva dipendenza economica dalla Cina.

 

Il rischio associato all'asimmetria nelle relazioni bilaterali con Pechino – in epoca pre-covid la Cina rappresentava circa un quarto delle esportazioni di merci e servizi sudcoreani, mentre la Corea era la fonte di appena il 10% delle importazioni di merci cinesi – ha reso la Corea particolarmente vulnerabile ai tentativi di Pechino di ricorrere alla coercizione economica per influenzare le scelte strategiche di Seoul nell’ambito della competizione sino-statunitense. La svolta in questo senso è avvenuta dopo l’attivazione di alcune batterie del sistema antimissilistico Terminal High-Altitude Area Defense (THAAD) installate in Corea del Sud nell’estate 2016 con l’approvazione dell’amministrazione precedente guidata dalla conservatrice Park Geun-hye. Il Partito comunista cinese ha intrapreso un boicottaggio non ufficiale inducendo i consumatori cinesi a prendere di mira gli interessi economici coreani con danni esponenziali stimati dallo Hyundai Research Institute in 7,5 miliardi di dollari nel solo 2017. A distanza di quasi sei anni la vicenda continua a generare strascichi economici e diplomatici, perché Seoul non ha ceduto alle pressioni cinesi e non ha rimosso il THAAD.

Come accennato, la rinnovata attenzione di Moon per il Sud-Est asiatico rompe un lungo schema di titubante impegno da parte delle passate amministrazioni sudcoreane, che delegavano ad attori privati il compito di fare breccia nell'ASEAN per potersi concentrare invece sui rapporti con la Corea del Nord e gli altri Paesi dell’Asia nordorientale. La continua spinta verso sud di Moon sembra coerente coi tentativi di espandere il margine di manovra di Seoul in mezzo alla rivalità tra Washington e Pechino, condividendo con molti membri dell’ASEAN le preoccupazioni di restarne intrappolati o quanto meno di dover gestire nuove interruzioni nelle catene di approvvigionamento derivanti dall'ennesima escalation delle tensioni tra le due  grandi potenze.

A parte i tentativi di Pechino di utilizzare la rappresaglia economica per influenzare il posizionamento strategico di Seoul, l'ascesa tecnologica della Cina sarebbe percepita dalla Corea del Sud, secondo Weiss e Thurbon, come "una grave minaccia per la sua futura capacità manifatturiera, autonomia tecnologica e competitività delle esportazioni". Le interruzioni indotte dal Covid-19 hanno messo a nudo le vulnerabilità derivanti dalle filiere integrate verticalmente rendendo necessario ridurle attraverso il reshoring, la delocalizzazione della produzione e la diversificazione dei fornitori. Ciò ha accelerato lo spostamento dell'attenzione dell’amministrazione Moon verso l'India e il Sud-Est asiatico nel mezzo degli sforzi per contrastare la forte concorrenza non solo della Cina, ma anche del Giappone, in molti settori chiave.

Per quanto riguarda i Paesi dell'ASEAN, molti dei loro governi si sono impegnati ad attirare le società coreane, giapponesi e statunitensi che hanno già iniziato a lasciare la Cina sulla base di nuove priorità strategiche, rese ancora più urgenti dagli stress indotti dalla pandemia. Per esempio, Hanoi avrebbe segnalato l'idea di una catena di approvvigionamento incentrata sul Vietnam a vantaggio delle industrie coreane e giapponesi. Alcuni grandi conglomerati sudcoreani (chaebol) hanno ridotto le loro attività in Cina, e in alcuni casi hanno chiuso i loro impianti di produzione, già da alcuni anni a causa soprattutto dell’aumento del costo del lavoro. Nel 2013 Samsung ha scelto proprio il Vietnam come base per la produzione e a oggi è il più grande investitore straniero nel Paese del Sud-Est asiatico. La preferenza per Hanoi è condivisa anche dalla Hyundai Motor che punta ad aumentare del 140% la quota di automobili prodotte in Vietnam con la costruzione di un secondo impianto.

 

Il ‘new normal’ post-pandemia

Un altro dato significativo emerso dal rapporto della BoK riguarda le crescenti pressioni inflazionistiche.  Sebbene l’inflazione in Corea del Sud sia inferiore rispetto a quella negli Stati Uniti e in Europa, il livello relativo ai prezzi al consumo è salito al di sopra del 3% alla fine dell'anno e ha chiuso al 2,5% per l'intero anno. Gli economisti sudcoreani prevedono che l’inflazione resterà al di sopra del 3% per un lungo periodo. Come la maggior parte delle banche centrali, anche quella sudcoreana sta quindi cercando di bilanciare rispetto al progressivo smantellamento degli enormi stimoli emergenziali introdotti per attutire l'impatto delle restrizioni contro il Covid-19. Nell’agosto scorso, infatti, la Corea del Sud è diventata la prima grande economia asiatica ad aumentare i tassi di interesse dall'inizio della pandemia; il primo aumento dei tassi in quasi tre anni, in risposta all'aumento dei prezzi delle case e all'aumento del debito delle famiglie, seguito da un secondo aumento dei tassi a novembre.

A maggio si insedierà il successore di Moon Jae-in. La campagna elettorale è ancora apertissima, ma è chiaro che tra le priorità di chi vincerà le elezioni del 9 marzo prossimo ci sarà quella di introdurre una nuova normalità nella politica economica che, allontanandosi dal regime di eccezionalità degli ultimi due anni, riesca a mantenere una forte crescita economica nonostante spinte inflazionistiche sempre più forti e un possibile rallentamento dell’export.

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economia Geoeconomia Corea del Sud Asia
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AUTORI

Francesca Frassineti
ISPI e ECFR

Image Credits (CC BY-SA 2.0): Republic of Korea, cropped

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