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UCRAINA

Il difficile viaggio di Kiev verso l'Europa

Davide Tentori
|
Alberto Rizzi
20 maggio 2022

Ci si avvicina ormai ai tre mesi di guerra in Ucraina e non si intravedono spiragli concreti per una fine delle ostilità. In oltre 85 giorni di guerra, Kiev ha subito pesanti perdite non solo in vite umane ma anche in termini di asset produttivi e di infrastrutture. Una ferita, tra le tante, che richiede ingenti risorse per costruire l’Ucraina di domani.

La recente lettera di richiesta dello status di Paese candidato ad entrare nell’Unione Europea, aspirazione dell’Ucraina chiara fin dai giorni di Euromaidan, è però soltanto il primo passo di un processo che non si annuncia affatto breve. Oltre ai danni causati dalla guerra, infatti, l’Ucraina ha una storia economica travagliata, nella quale la crescita è stata spesso inferiore al potenziale anche a causa di problemi endemici come corruzione, debolezza delle istituzioni e fragilità dello stato di diritto.

 

Lost in Transition: un’economia ancora a metà strada

La guerra ha colpito l’Ucraina durante una fase molto delicata del proprio sviluppo economico: la transizione dal modello centralizzato sovietico a un’economia di mercato avanzata. Un processo che però, a differenza dei Paesi del Patto di Varsavia entrati nell’UE nei primi anni Duemila, stentava a concretizzarsi già da tempo. La liberalizzazione economica, iniziata subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, ha infatti avuto slancio solo negli anni ’90, per poi arenarsi anche a causa del ridotto consenso verso il programma di riforme necessarie e per la mancanza di convergenza fra forze politiche opposte (c’è stata infatti un’alternanza di esecutivi più o meno filo-occidentali).

Secondo la revisione periodica OCSE sulla composizione delle imprese di proprietà pubblica in Ucraina, nel 2020 si contavano 3.293 aziende di stato (cifra con ogni probabilità sottostimata), di cui però solo un terzo erano in grado di generare utili. Il numero di imprese di stato in Ucraina risulta nettamente superiore a quello della media OCSE, mostrando con chiarezza una transizione rimasta a metà, con molte aziende ancora saldamente in mano pubblica. Dal punto di vista occupazionale, le aziende pubbliche impiegano l’11,9% dei lavoratori del Paese – anche in questo caso, secondo lo stesso rapporto OCSE la quota effettiva potrebbe essere ben più elevata – un valore ben superiore a quello delle altre economie dell’Europa orientale entrate nell’Unione Europea, come le 126 della Polonia.

La sovrabbondanza di imprese di proprietà statale in Ucraina si lega a doppio filo con un altro problema endemico del Paese: la corruzione. Nelle stime del Consiglio Nazionale di Riforma ucraino, si ritiene che il bilancio nazionale perda circa 37 miliardi di dollari all’anno a causa di fenomeni corruttivi, tra cui l’inefficienza delle aziende pubbliche, l’elusione di varie imposte e salari in nero. Si tratta di un valore enorme equivalente a quasi un quarto del Pil nazionale, che sottrae preziose risorse alle istituzioni pubbliche, riducendone significativamente la capacità di investire o fornire servizi. Un quadro di corruzione sistemica confermato dal Corruption Perception Index, che nell’ultima edizione collocava l’Ucraina al 122esimo posto al mondo – tra il Lesotho e il Gabon – mentre la Bulgaria, il peggior Stato membro UE di questa classifica, si colloca in 78esima posizione. La corruzione e la conseguente economia sommersa costituiscono un grosso freno allo sviluppo economico ucraino, scoraggiando investitori esteri e impedendo un’allocazione efficiente delle risorse; a ciò si aggiunge la forte presenza di monopoli e un basso livello di concorrenza in molti settori, dominati da attori rent-seekers privi di incentivi ad aumentare produttività e trasparenza.

Vi è infine un terzo elemento della struttura economica di Kiev che conferma come il percorso di transizione sia sostanzialmente fermo a metà. Pur con qualche recente sviluppo, infatti, l’economia del Paese dipende fortemente dall’esportazione di commodities agricole e metalli. Secondo i dati UN Comtrade, su un totale di 65,9 miliardi di dollari di esportazioni ucraine nel 2021, ben 13,1 erano costituiti da ferro e acciaio (20%), e circa 14 miliardi di dollari (21%) da cereali e olii di semi. Un quadro che, pur sottolineando la grande importanza dell’Ucraina nel commercio mondiale di queste materie prime, testimonia una notevole vulnerabilità a shock esterni – di domanda o di prezzo – di pochi singoli prodotti. Anche i commerci tra Unione Europea e Ucraina riflettono questa dinamica: circa la metà delle importazioni ucraine in UE nel 2021 era costituita da materie prime, alimentari e bevande ed energia.

 

Uno sviluppo bloccato da pandemia e guerra

Nonostante i diversi limiti evidenziati sopra, Kiev aveva già avviato da diversi anni un percorso di riforme e di stabilizzazione economica e finanziaria, svolto con il sostegno del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e dell’Unione Europea, la quale ha fornito oltre 17 miliardi di euro in prestiti e grants all’Ucraina dal 2014. Dopo la rivoluzione di Euromaidan e il consolidamento democratico e filo-europeo, il Paese ha avviato un vero e proprio decoupling da Mosca che ha portato l’Ucraina ad avvicinarsi alle democrazie occidentali, sia dal punto di vista economico che politico. Dopo le pesanti recessioni nel 2014 e nel 2015 – con il Pil calato rispettivamente del 6,6% e 9,8% - la crescita economica si è attestata su livelli tra il 2% e il 4%, con importanti progressi nella riduzione del debito pubblico, passato dall’81% del Pil nel 2016 al 57% nel 2019  e al 48,8% nel 2021.

Anche la recessione causata dalla pandemia è stata nel complesso contenuta, con un calo del 4,2%. Tuttavia, nel 2021, a causa di una gestione non certo ottimale della quarta ondata di Covid, nonché dell’aumentare delle tensioni con Mosca, il rimbalzo del Pil si è attestato su un modesto +3,2%, segnalando diverse difficoltà nel ripartire.

L’invasione russa si è dunque abbattuta su un contesto economico ancora problematico e vulnerabile. Ad oggi, la guerra ha determinato la fuga di oltre 6,2 milioni di persone dal Paese, con almeno altri 7,7 milioni di sfollati internamente (su un totale di circa 40 milioni di abitanti) principalmente fuggiti dalle regioni orientali verso la relativa sicurezza della parte occidentale dell’Ucraina. Una catastrofe umanitaria cui si aggiunge quella economica, ulteriormente aggravata dalla massiccia distruzione portata avanti dalle forze russe, le quali – oltre agli obiettivi militari – hanno colpito con grande intensità anche infrastrutture, abitazioni e asset produttivi. In uno scenario di guerra su larga scala non risulta facile stabilire l’entità dei danni, ma – secondo le stime della Kiev School for Economics – il costo diretto delle infrastrutture distrutte dalla guerra ammonta a quasi 94 miliardi di dollari. Due terzi del totale sono composti da abitazioni (30,9 miliardi) e strade e autostrade (29,8 miliardi), cui si aggiungono 10 miliardi di danni a impianti produttivi e quasi 7 miliardi agli aeroporti civili. Si tratta però soltanto di una piccola frazione dei danni complessivi: aggiungendo infatti i danni indiretti causati dal conflitto – crollo degli investimenti, della capacità fiscale, calo del Pil, e impossibilità di esportare prodotti – le perdite totali per Kiev si attestano tra 564 e 600 miliardi di dollari (capitali e asset bruciati per un valore che ammonta a quasi tre volte il valore del Pil). Una vera catastrofe economica che determinerà, nelle stime del Fondo Monetario Internazionale una recessione del 35% nel 2022 (la Banca Mondiale si aspetta un ancor più pessimistico -45%), anche se molto dipenderà dall’evolversi del conflitto.

Pur nelle drammatiche condizioni attuali, le aziende ucraine stanno continuando a versare gli stipendi per i propri lavoratori e a pagare le imposte dovute, anche grazie alla legge recentemente varata che riduce la tassazione al 2% per le aziende con fatturato inferiore ai 338 milioni di dollari. Questa misura, unita a un sistema fiscale digitalizzato, ha permesso di limitare i mancati versamenti delle tasse sul lavoro a -1% secondo fonti ministeriali. Il nuovo regime fiscale, tuttavia, non risulta sufficiente a sostenere le notevoli spese che il governo deve affrontare tra necessità di natura militare, supporto alla popolazione e mantenimento delle funzionalità essenziali. Nelle parole del Presidente Zelenskyy tali spese sono nell’ordine di 7 miliardi di dollari al mese, almeno fino all’estate. Una cifra notevole che viene coperta principalmente dagli aiuti ricevuti da governi occidentali, Unione Europea e istituzioni finanziarie internazionali.

Secondo i dati del Kiel Institute for World Economy, dallo scoppio della guerra allo scorso 10 maggio all’Ucraina sono stati destinati 64,6 miliardi di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari. Di questi la quota principale ė rappresentata da 42,9 miliardi ricevuti dagli USA, cui si aggiungono quasi 10 miliardi da parte degli Stati membri UE,  4,2 miliardi di euro da parte della Commissione UE e altri 2 miliardi provenienti dalla Banca Europea per gli Investimenti. Vi sono poi non inclusi nel totale, 4,4 miliardi di euro in prestiti e sussidi devoluti dal FMI e dalla Banca Mondiale. Pur nella loro vasta entità, si tratta di cifre ancora insufficienti come rimarcato dal Segretario del Tesoro USA Janet Yellen. Infatti, dalla riunione dei Ministri delle Finanze del G7 in agenda a Bonn il 19 e 20 maggio si attendono aiuti aggiuntivi fino a 15 miliardi di dollari (la metà dei quali forniti dagli USA).

Una nota positiva arriva dalle rimesse dei lavoratori ucraini all’estero, che costituiscono da molti anni una notevole fonte di reddito per il Paese (circa il 10% del Pil): nel 2021 l’Ucraina aveva ricevuto oltre 17 miliardi di dollari in rimesse dall’estero e la Banca Mondiale si attende che nell’anno in corso la cifra aumenterà di almeno il 22%, grazie a maggiori trasferimenti dall’Europa.

 

Ricostruzione e riforme per quale integrazione europea?

Lo sforzo per ricostruire l’Ucraina si annuncia titanico e, nonostante il conflitto non lasci intravedere una fine imminente, in diversi Paesi si sta iniziando ad affrontare il tema della ricostruzione. Un programma massiccio la cui realizzazione e finanziamento peseranno principalmente sulle spalle dell’Unione Europea, per ragioni geografiche ma soprattutto politiche. La Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, nei giorni scorsi ha più volte indicato come Bruxelles intenda proporre un piano ambizioso di ricostruzione per l’Ucraina, con un’architettura che possa velocizzare l’ingresso dell’Ucraina nell’UE. Il modello potrebbe essere, per rassicurare gli Stati membri meno inclini a versare finanziamenti senza adeguate garanzie, quello di Next Generation EU, ovvero tranches erogate progressivamente a fronte di risultati misurabili sul fronte delle riforme. Proprio questo rappresenta però il punto più controverso della questione: già prima del conflitto, nonostante i progressi fatti dal 2014, l’Ucraina non aveva i requisiti minimi necessari per entrare in UE.

In particolare, Kiev risulta ancora distante sul fronte economico: come indicato in precedenza, la transizione a un’economia di mercato non è ancora stata completata e risulta molto difficile pensare che il sistema produttivo ucraino sia in grado di reggere alle pressioni di un mercato integrato e competitivo come quello europeo. L’economia ucraina ad oggi è molto più complementare che simile a quella degli Stati membri UE: da un lato fornisce in larga parte materie prime, dall’altro è inserita in maniera strategica in alcune supply chains fondamentali per il comparto manifatturiero europeo, come il settore automotive. A ciò si aggiunge poi il problema dell’acquis comunitario e degli standard, la cui convergenza è solo parziale: la rete ferroviaria, ad esempio, usa lo scartamento russo, rendendo al momento difficile una veloce interconnessione con il mercato comunitario.

Al momento Ucraina e Unione Europea sono legate da un Accordo di Associazione che include una componente commerciale approfondita ma, pur trattandosi di un modello che offre ampio spazio per maggiori collaborazioni anche sul piano politico, è chiaramente insufficiente a fronte delle ambizioni europeiste di Kiev. Se quindi diventa ingenuo pensare a un ingresso, o anche solo a un trattato di accessione nel breve periodo (basti pensare che alcuni Paesi già candidati ufficiali, come l’Albania, sono in attesa dal 2014), acquista ancora più importanza la proposta del Presidente francese Macron di una “comunità politica europea” che possa accogliere Kievl’Ucraina e altri Paesi del partenariato orientale, anche chi intende cooperare con l’UE senza farne parte – come il Regno Unito. Il progetto sarebbe quindi quello di un sistema a cerchi concentrici con il nucleo composto dagli Stati membri e una periferia che prevede una comunanza di valori e un’integrazione su vari fronti (energia, infrastrutture, investimenti) senza però raggiungere gli stessi diritti e obblighi dell’accesso. Una soluzione di compromesso che, accompagnata da un piano di ricostruzione che possa aiutare l’Ucraina a completare il percorso di riforme, potrebbe soddisfare il desiderio di integrazione e accompagnarla in un percorso che si annuncia comunque lungo e complesso.

L’Unione Europea possiede tutti gli strumenti e l’expertise necessaria a coordinare un piano di ricostruzione per l’Ucraina, anche grazie alla pluriennale presenza della Banca Europea degli Investimenti. Per portarlo avanti servono però risorse ingenti, anche da parte di investitori privati, e una chiara linea politica che sappia coniugare le legittime aspirazioni degli ucraini con la difficile realtà.

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