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Commentary

Il drone della discordia. Come un regalo ha causato un incidente diplomatico fra Russia e Israele

Eugenio Dacrema
21 novembre 2016

Anche un regalo, se fatto male, può diventare una faccenda pericolosa se di mezzo ci sono due tra i paesi più militarizzati del mondo. In un Israele già scosso dagli ultimi scandali di corruzione che hanno interessato il primo ministro Benjamin Netanyahu, un altro gesto quantomeno avventato di un altro politico israeliano di primo piano, il ministro dell’agricoltura Uri Ariel, ha messo in paese in una situazione imbarazzante e perfino potenzialmente pericolosa.

Il 10 novembre era in corso l’importante visita di Stato del primo ministro russo (ed ex presidente) Dimitry Medvedev. Nelle ore precedenti la sua delegazione aveva firmato con i rappresentanti israeliani alcuni accordi milionari per la cooperazione tecnologica fra i due paesi in campo agricolo e soprattutto nel campo della produzione casearia, nella quale Israele è una delle nazioni più avanzate. A questo proposito, il ministro Ariel stava guidando il premier russo attraverso il centro di ricerca agrotecnico di Volcani, il più importante dell’intero Israele. Per impressionare ulteriormente l’importante ospite al termine della visita i ricercatori dell’istituto hanno permesso a Medvedev di telecomandare personalmente uno dei due sofisticati droni da ricerca scientifica in dotazione all’istituto. Secondo gli astanti l’esperienza ha particolarmente entusiasmato il leader russo, tanto che il ministro Ariel ha pensato bene di approfittarne per entrare ancora di più nelle sue grazie. “Digli che ora è suo” avrebbe detto al traduttore. Il dono, totalmente estemporaneo, ha sorpreso la delegazione russa che ha molto apprezzato. Di sasso sono invece rimasti i ricercatori del Volcani Institute, privati in pochi secondi, a causa di uno sfizio politico, di uno dei soli due preziosi velivoli a loro disposizione, dal costo di oltre 50 mila dollari.

Sul momento la speranza era che i russi dimenticassero l’inopportuna offerta e lasciassero perdere. Evidentemente, però. Medvedev deve aver apprezzato molto il giro di prova e il giorno dopo ha mandato puntualmente rappresentanti dell’ambasciata per ritirare il suo nuovo drone. Dopo rapide consultazioni, i ricercatori si sono arresi e hanno consegnato il velivolo, ma non i controlli. I radiocomandi sono infatti gli stessi utilizzati dall’unico altro drone a loro disposizione e consegnarli avrebbe significato per l’istituto la perdita di fatto di entrambi i velivoli.

Ma la questione, invece di risolversi con un rapido compromesso, non ha fatto che complicarsi. È emerso infatti che i due droni in dotazione al Volcani sono registrati con numeri di serie dell’aviazione israeliana. Di fatto è come se il ministro avesse regalato a Mosca un velivolo del governo; una cosa non proprio legale. Nella querelle si sono inoltre inseriti ben presto altri rappresentanti stranieri. Il drone conterrebbe infatti sofisticate tecnologie di produzione europea e americana messe a disposizione dell’aviazione israeliana ma non cedibili a paesi terzi. Le autorità di Tel Aviv hanno dovuto fornire numerosi documenti comprovanti il fatto che il drone è stato consegnato “nudo”, ovvero privo delle componenti tecnologiche più importanti di produzione non israeliana. Documenti che, vista l’improvvisazione che ha caratterizzato tutta la vicenda, hanno convinto poco i rappresentanti occidentali che hanno chiesto alle autorità israeliane di ottenere la restituzione del drone. L’ingigantirsi dell’incidente diplomatico che ha cominciato a coinvolgere le maggiori potenze mondiali non sembra però aver particolarmente toccato i diplomatici russi che, per nulla impressionati, hanno continuato a presentarsi al Volcani Institute per chiedere sempre più perentoriamente la consegna dei radiocomandi.

L’impasse sembra ora totale, e la smania di un ministro israeliano di entrare nelle grazie di una potenza sempre più dominante nell’area sembra davvero poter porre il governo di Tel Aviv in rotta con vecchi e nuovi alleati. Anche un regalo può davvero far male. Soprattutto in Medio Oriente, soprattutto nella nuova era multipolare.

 

Eugenio Dacrema, dottorando presso l'Università di Trento e ISPI Research Associate

 

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Medio Oriente Israele Russia
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Autori

Eugenio Dacrema
Associate Research Fellow

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