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Commentary

Il fallito golpe in Turchia: da dove viene e dove può condurre

Carlo Frappi
18 luglio 2016

In attesa di chiarire i contorni di un tentativo di colpo di stato apparentemente mal congegnato e quasi dilettantisticamente attuato, è possibile disegnare il quadro generale in cui esso si colloca e provare a immaginare le conseguenze socio-politiche sulla vita del Paese.

Gli eventi della notte scorsa rappresentano il punto più alto di uno scontro di potere tra la leadership dell'AKP – che sempre più si identifica, fino a confondersi, con la figura del Presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan – e quella parte dello spettro politico-istituzionale progressivamente marginalizzata dalla gestione della cosa pubblica. Da questo punto di vista, che dietro lo sventato golpe ci siano state frange kemaliste o guleniste, i campioni del laicismo o i portatori di un'istanza “islamico-moderata”, importa poco. Più significativo sarebbe, piuttosto, se le due frange si fossero unite – cosa impensabile solo un quinquennio or sono – nella contrapposizione all'avversario comune. Ma anche quest'ultima eventualità, significativa da un punto di vista socio-politico, cambierebbe di poco la sostanza dei fatti.

In tutti i casi, difatti, il colpo di stato è stato figlio del progressivo accentramento della gestione dei gangli della macchina statale e dell'economia nazionale nel circolo di potere – sempre più stretto, a ben vedere – legato direttamente al Presidente. Figlio, cioè, della progressiva epurazione che ha interessato, dapprima, il vecchio establishment kemalista – che per decenni ha mantenuto saldo il controllo dell'esercito, del potere giudiziario e della burocrazia statale – e, successivamente, la fitta rete che fa capo al movimento Hizmet (“Servizio”) guidato dal predicatore e filantropo Fetullah Gülen. Una epurazione, quest'ultima, tutta interna alla galassia che ha consentito l'ascesa e la sopravvivenza politica dell'AKP, cui la rete legata a Gülen ha assicurato un contributo decisivo prima di entrare in rotta di collisione con Erdoğan.

 

 

Quale che sia la matrice del colpo di stato, peraltro, esso dimostra drammaticamente quanto siano ristretti in Turchia gli spazi di alternanza politica e istituzionale, quanto la ricetta di governo erdoğaniana appaia inscalfibile attraverso le legittime pratiche della convivenza democratica, complice un'opposizione politicamente poco credibile e divisa. L'andamento convulso della notte del golpe dimostra, al contempo, quanto resti forte la presa di Erdoğan sul popolo – su quello stesso popolo cui il Presidente ha fatto appello attraverso il suo video-messaggio. Una circostanza, questa, tanto più significativa in ragione della diffusione della notizia – reale o infondata, fa poca differenza – che l'indiscusso leader del Paese lo avesse abbandonato su un jet privato per chiedere asilo politico all'estero.

All'indomani del suo fallimento e alla vigilia di una resa dei conti che ci si augura possa essere rapida e mirata, il colpo di stato restituisce oggi l'immagine di una Turchia sempre più polarizzata. Una Turchia nella quale rischiano di approfondirsi i solchi socio-politici ed etnici che ne segnano la popolazione. Il rischio che si intravede all'orizzonte è cioè che il rafforzamento del potere personale di Erdoğan possa tradursi nell'accentuazione dei tratti autoritari e autoreferenziali della gestione del Paese, in un abuso della pratica democratica che sembra sconfinare nella dittatura della maggioranza.

La storia recente della Turchia ha dimostrato come la conflittualità sociale e la polarizzazione socio-politica giochino a favore della longevità istituzionale e politica del Presidente della Repubblica, che rischia dunque di essere sempre meno compatibile con il perseguimento di un interesse genuinamente nazionale. Disinnescare la sovrapposizione e il cortocircuito tra Partito di governo e Nazione è dunque imprescindibile per sanare le ferite della società e avviare una nuova fase riformista. Per evitare, cioè, che un nuovo giro di vite sulla partecipazione alla vita civile di avversari e oppositori politici alieni ulteriormente dalle istituzioni nazionali una parte significativa della popolazione – con conseguenze la cui portata potrebbe sfuggire al pur pervasivo controllo governativo. Scongiurato il rischio di essere rovesciata manu militari, è tempo che la dirigenza dell'AKP affronti le ragioni più profonde che l'hanno prodotto, senza limitarsi a punirne attuatori e fiancheggiatori e, al contempo, senza cedere alla tentazione di sfruttare la contingenza per blindare una volta di più il proprio potere personale.

 

Carlo Frappi, Research Fellow all'Università Ca' Foscari, Venezia, e ISPI Associate Research Fellow

 

* Questo articolo è stato pubblicato sul sito www.treccani.it (16 luglio 2016): http://www.treccani.it/magazine/geopolitica/Fallito_Golpe_in_Turchia.html#

 

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Carlo Frappi
Associate Research Fellow

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