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La ministeriale a Venezia

Il G20 pronto a blindare la tassa minima globale

09 luglio 2021

L’incontro di oggi e domani a Venezia tra i 20 ministri dell’economia del Gruppo: il vertice verterà sull’accordo definitivo per la tassa minima globale che lotta contro paradisi fiscali e per la redistribuzione tra paesi, anche il clima tra i temi in agenda.

È iniziato oggi a Venezia l’incontro tra i ministri dell’Economia dei paesi del G20. In cima all’ordine del giorno, la tassa minima globale del 15% sui redditi delle multinazionali e la redistribuzione del gettito tra paesi dove i grandi gruppi operano e hanno utenti. Dopo l’accordo in sede Ocse raggiunto il 1° luglio tra 130 paesi, quello di Venezia dovrebbe essere solo una formalità, ma si discute ancora di percentuali, ovvero tra chi punta al rialzo e chi al ribasso. La riforma dovrebbe entrare in vigore dal 2023 e potrebbe garantire agli stati entrate per circa 250 miliardi di dollari annui. L’accordo, ancora imperfetto e i cui dettagli andranno discussi nei prossimi mesi, è comunque un segnale forte di ritorno al multilateralismo, anche se USA e UE sono ancora su posizioni divergenti rispetto alla web tax. Gli Stati Uniti, sede dei principali colossi della rete come Facebook o Google, vorrebbero che con l’introduzione della tassa minima globale venga eliminata la web tax in vigore in molti paesi europei (tra cui l’Italia), mentre l’Unione Europea spinge per preservarla e piuttosto ridurre l’aliquota unica, venendo incontro a paesi come l’Irlanda (uno dei tre membri dell’UE – gli altri sono Estonia e Ungheria – che si sono astenuti).
All’incontro si parlerà però anche di ripresa post-covid, nonché dei vaccini, e anche di clima, in una città la cui bellezza è sempre più minacciata dall’innalzamento delle acque causato dal riscaldamento globale.

Come funzionerà?

Nello specifico, l’accordo si basa su due pilastri. Il primo si applica alle imprese che hanno un fatturato superiore ai 750 milioni di dollari e prevede una tassazione degli utili pari ad almeno il 15%. Il secondo pilastro sono regole precise sulla tassazione delle grandi multinazionali, con oltre 20 miliardi di dollari di fatturato e margini superiori al 10% dei ricavi: una parte dei loro utili, pari a circa il 20-30% dei profitti in eccesso rispetto a quel 10%, sarà tassata nei paesi in cui le società generano ricavi. In altre parole, la parte che eccede il 10% del margine operativo, cioè la differenza tra i costi di produzione e i ricavi delle vendite, potrebbe essere tassata al 20% nel paese dove l’azienda opera attraverso il suo normale prelievo sui profitti societari (in Italia al 24%). Quindi, se un’azienda operante in Italia dovesse avere un margine operativo del 40%, l’Italia potrebbe tassare il 20% (cioè la percentuale proposta dalla riforma) del 30% di scarto sul margine operativo (ovvero la differenza tra 40% e 10%) al 24% (in armonia con le norme nazionali vigenti).
Si stima che i due pilastri della riforma frutto dell’intesa Ocse genereranno complessivamente circa 250 miliardi di dollari l’anno. Al netto delle imperfezioni, si tratta di un accordo storico senza precedenti.

 

Si può fare di più?

“Deve finire questa corsa al paradiso fiscale o a cercare il paese dove si pagano meno tasse. Una corsa che ha consentito ai grandi colossi multinazionali di accumulare dei profitti incredibili che questo accordo finalmente conclude”, ha dichiarato il Commissario UE agli affari economici Paolo Gentiloni. La riforma mira infatti a eliminare i cosiddetti paradisi fiscali e a ricavare entrate là dove si opera, affinché non sia solo l’attività imprenditoriale ad essere globale ma anche il ritorno per gli stati, che fino ad oggi ospitavano multinazionali che però pagavano le tasse altrove.
Uno degli aspetti su cui è mancata l’intesa politica riguarda le eccezioni: dalla riforma sono infatti esclusi il settore estrattivo, quello dei trasporti marittimi e parte di quello dei servizi finanziari. In pratica al momento le aziende coinvolte sarebbero circa un centinaio, perlopiù attive nei settori tecnologico, della moda e del farmaceutico. Inoltre, l’Unione Europea presenta al suo interno una sacca di resistenza, ovvero quella di Cipro (che non ha partecipato alle trattative), Estonia, Irlanda e Ungheria (che si sono astenute). L'Irlanda, in particolar modo, ha utilizzato negli ultimi decenni un’aliquota al 12,5% per attrarre le aziende tecnologiche e farmaceutiche statunitensi.

 

E sul clima?

"L'attenzione è sulla tassazione delle multinazionali e sulla tassa minima globale, ma ci sono altri temi fiscali rilevanti e uno è il cambiamento climatico, che è al cuore dell'agenda italiana focalizzata su persone, pianeta e prosperità". Con queste parole il ministro dell'Economia, Daniele Franco, ha aperto i lavori del Simposio fiscale. 
La scelta di tenere il summit a Venezia – all’interno dell’arsenale della Serenissima – è altamente simbolica. Se non vengono invertiti i trend di produzione responsabili del riscaldamento globale persino l’immortalità della bellezza di Venezia potrebbe terminare, a causa dell’innalzamento del livello dei mari. Sulle colonne del Financial Times, Gillian Tett elenca cinque possibili azioni che il G20 potrebbe intraprendere, a partire dalla “carbon tax”, inseguita dall’UE, ma non dagli USA, per resistenze politiche interne. "Per una tassazione 'green' è ora o mai più", sostiene Gentiloni, insistendo sulla necessità di collaborare a livello internazionale: "Bisogna trovare un equilibrio fra l'ambizione e la necessità di cooperazione globale. Sono entrambe necessarie e tocca a noi trovare un equilibrio". Gentiloni ha poi rivelato che la settimana prossima la Commissione europea presenterà un pacchetto che si fonda su tre elementi necessari per la riduzione delle emissioni di Co2: l'estensione a nuovi settori del sistema del trading di emissioni; la "revisione della nostra direttiva sulla tassazione energetica, vecchia di vent'anni e che paradossalmente incentiva i combustibili fossili"; infine "un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere". Essere ambiziosi è un imperativo, ce lo chiede anche Venezia, e la necessità che la sua bellezza sia eterna.

 

Il commento

Di Antonio Villafranca, Direttore della ricerca ISPI

Dopo G7 e OCSE, tocca ora al G20 approvare la tassa minima globale. Ma la strada rimane in salita. In Europa per l'opposizione di Irlanda, Ungheria, Estonia e Cipro, e negli Usa per le incertezze sull'iter di approvazione e per le forti resistenze dei repubblicani (e di alcuni democratici). E' poi importante che la presidenza italiana abbia posto la questione delle risorse finanziarie necessarie per la transizione ecologica. Sarebbero necessari 5-6 trilioni di dollari all'anno a livello mondiale, ma si corre il rischio che soprattutto i paesi più poveri non abbiano risorse a sufficienza. La promessa dei 100 miliardi all'anno da parte del G7 non può bastare, tanto più se dati solo in parte. Infine, c'è da sperare che si compiano passi avanti sul tema del debito. Oltre alla questione dei paesi più poveri (in parte affrontata dal G20), a preoccupare sono i paesi in via di sviluppo. L'intervento del FMI è essenziale, ma potrebbe non essere sufficiente.

 

* * *

A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications)

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