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Commentary

Il Medio Oriente che verrà: dopo l’IS (?), la pace è ancora lontana

Armando Sanguini
27 Dicembre 2016

Il 2017 ci consegnerà un Medio Oriente liberato dall’ISIS e dagli altri gruppi del terrore? A prima vista si tratta di un obiettivo realisticamente conseguibile: l’ISIS perde terreno e tutti gli inquilini del condominio internazionale affermano il loro impegno a conseguire tale risultato; anche i paesi sospettati di aver contribuito, direttamente o indirettamente, alla sua nascita e/o alla sua crescita; anche quelli che lo hanno sostenuto o usato in omaggio al principio secondo il quale “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ma è così solo in parte perché la sua sconfitta militare non significa la sua estinzione, che solo si può conseguire col superamento dei fattori che ne sono all’origine.

La “liberazione di Mosul”, in Iraq, è data sostanzialmente per scontata anche se a caro prezzo, umano e materiale. Ha però una grande criticità: l’essere specchio dell’incrocio delle conflittuali agende locali (sciite, sunnite, curde) e dei relativi sponsor regionali e internazionali (Iran e Turchia, oltre alla coalizione a guida USA). Ed è difficile prevedere se e in quale misura il premier Abadi avrà la forza di renderle compatibili con una politica governativa ispirata ad un’inclusività sostenibile. E se e come Donald Trump, che ha indicato sì nel terrorismo il nemico da abbattere, ma nell’influente Iran l’avversario da mettere in condizione di non nuocere, vorrà/potrà sostenerlo.

In Siria, la cruenta resa di Aleppo dopo sei anni di devastante guerra civile offre un velenoso viatico per il futuro del paese. Bashar al-Assad lo deve temere non solo perché ha vinto solo grazie a Putin e all’asse iraniano-libanese (Hezbollah) ma anche perché di quell’asse avrà assoluto bisogno – e dovrà pagarne il conto – sia per consolidare il controllo della cosiddetta “Siria utile”, sia per liberare il resto del paese dall’ISIS e dallo stormo delle altre milizie jihadiste, che in odio al suo stragismo si sono riversate nel paese.

Putin e Trump vi si assoceranno? Trump lo vorrebbe, ma evitando di condividere l’offensiva anche con le milizie iraniane e libanesi e di avallare di fatto la permanenza al potere di quell’esecrato autocrate. Resta poi l’incognita del negoziato su cui stanno lavorano Mosca, Teheran e Turchia.

L’ISIS in Libia è stato sconfitto ma non annientato e non è escluso che trovi modalità di raccordo con altre milizie estremiste, ad esclusione forse di Ansar al-Sharia, che costituisce comunque un’altra minaccia di cui tener conto.

Molto dipenderà da come si sbloccherà lo stallo che si registra da mesi nello scontro tra Tobruk (Haftar) e Tripoli (Fayez Serraj) ma che vede ora il primo deciso a portare avanti la sua “liberazione” di Tripoli dai “terroristi” sostenuto da Egitto, Mosca e relativi alleati. Si profila una resa dei conti diversa da quella ipotizzata sulla scorta dell’accordo di Skhirat riconosciuto dalle Nazioni Unite. Con l’Italia in prima linea e un Obama in dissolvenza.

In Yemen l'ISIS starebbe crescendo assieme ad Al-Qaeda grazie al brodo di coltura cucinato dalla guerra-civile(Houthi/Hadi)-anche-per-procura (Iran-sciita/coalizione araba-sunnita) in corso.

La feroce repressione del Presidente al-Sisi in Egitto sta seminando fattori di instabilità da non sottovalutare e il sostegno ad Haftar in Libia li accresce.

In questo contesto di incertezze non possiamo dare per scontato che la sconfitta militare dell’ISIS e degli altri gruppi del terrore, pur molto importante, sia alle battute finali; anche perché molto dipenderà dal se e dal come l’alleanza Trump-Putin contro il terrorismo funzionerà. E soprattutto se tale sconfitta contribuirà, di per sé, a scalfirne le cause più profonde. Temo di no, anche perché non è alle viste una vincente strategia in proposito e del resto Trump non sembra volervisi impegnare, tanto meno associandosi col mondo islamico.

Appare dunque fondato il timore che la lungimiranza politica di cui ci sarebbe bisogno, ora, potrebbe cedere alle spinte conflittuali politico-settarie che disegnano le crepe della regione.

L’Arabia Saudita che in questa fase si sente perdente con le altre monarchie del Golfo, da un lato sembra incline a ricercare compensazioni su altri tavoli, con Mosca e con la stessa Teheran, come stanno facendo Turchia ed Egitto; dall’altro sembra indulgere nel confronto. Trovando in Teheran, indubbiamente vincente, un interlocutore che pure oscilla tra ambizioni egemoniche (favorite dall’accordo nucleare) e politiche di vicinato costruttivo e si deve misurare ora con la conclamata ostilità di Donald Trump.

La Turchia, altro protagonista regionale, conferma la sua disinvoltura discutendo con Iran e Mosca, senza Washington, i termini negoziali del futuro della Siria allo scopo primario di escludere dal tavolo i curdi e negare loro qualsivoglia ricompensa per il sostegno assicurato (anche agli USA) contro l’ISIS.

Un 2017 all’insegna dell’incertezza in Medio Oriente con un’Europa che stenta a svolgere un ruolo all’altezza dei suoi interessi geopolitici in gioco e sembra temere più l’immigrazione della minaccia terroristica. E l’Italia ne soffre.

 

 

Armando Sanguini è consigliere scientifico dell'ISPI e ex ambasciatore in Arabia Saudita e Tunisia

 

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AUTORE

Armando Sanguini
ISPI Senior Advisor

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