Nel contesto europeo la Francia si è sempre caratterizzata per politiche particolarmente generose e aperte verso le seconde generazioni di immigrati, tali da garantire l'acquisizione della cittadinanza francese con modalità relativamente semplici e automatiche. Al di là dell'interpretazione degli studiosi sul carattere di queste politiche, l'inclusività presunta e le conseguenze che ne derivano non nascondono i limiti di un'uguaglianza che si afferma solo da un punto di vista formale. E gli attentati di Parigi non possono che confermare e sottolineare le carenze di un sistema tuttora molto fragile.
Il modello francese di integrazione degli immigrati è stato descritto in letteratura in due modi opposti. Alcuni studiosi, infatti, ne hanno enfatizzato il carattere universalista e repubblicano, e quindi l’ambizione a creare una comunità politica di cittadini eguali indipendentemente dalle posizioni sociali o economiche di partenza di ciascuno; altri invece preferiscono parlare di modello assimilativo o assimilazionista, per mostrarne invece la tendenza a imporre la superiorità morale e culturale della République vis-à-vis le culture di origine degli immigrati, considerate di fatto arretrate e di scarso valore per la società francese.
Qualunque sia il punto di vista di partenza, un dato emerge chiaro: nel contesto europeo la Francia si è sempre caratterizzata per politiche di cittadinanza particolarmente generose e aperte verso le seconde generazioni. Innanzitutto, ogni bambino nato nel paese da genitori stranieri acquisisce automaticamente la cittadinanza al momento della maggiore età se, a quella data, è residente in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale per un periodo, continuo o discontinuo, di almeno 5 anni. L’acquisizione automatica può anche essere anticipata a 16 anni dallo stesso interessato con dichiarazione dinanzi all’autorità competente, o può essere reclamata per lui dai suoi genitori a partire dai 13 anni di età, nel qual caso il requisito della residenza abituale per 5 anni decorre dall’età di 8 anni. Inoltre, è francese il figlio nato in Francia da genitori stranieri di cui almeno uno dei due è a sua volta nato nel paese, in base al principio del cosiddetto doppio jus soli. Anche la doppia cittadinanza è ampiamente accettata, tanto che il possesso di una o più altre nazionalità non ha alcuna incidenza sulla possibilità di diventare francesi.
Alla base delle politiche di integrazione, quindi, vi è la convinzione che, attraverso un rapido processo di naturalizzazione, sia possibile garantire ai giovani di origine straniera eguale accesso ai diritti e piena inclusione sociale, ciò che dovrebbe favorire al contempo l’adesione al modello culturale francese e l’identificazione con i valori nazionali. Di fatto però, più volte queste aspettative si sono rivelate quanto meno mal riposte: i periodici episodi di esplosione di violenza nelle banlieues, da ultimo nell’ottobre-novembre 2005, hanno sempre rappresentato un chiaro campanello d’allarme, mettendo a nudo le difficoltà di inclusione reale dei giovani di seconda e talvolta anche terza generazione. Del resto, la presenza di atteggiamenti discriminatori nella società francese è stata anche confermata indirettamente anche da alcune iniziative politiche promosse dall’ex-Presidente Sarkozy, come nel caso del curriculum anonimo, diretto a contrastare possibili discriminazioni sulla base del cognome della famiglia nelle procedure di selezione lavorativa, o delle quote riservate ai giovani dei sobborghi nell’accesso alle grandes écoles dove si forma l’élite del paese.
Ciononostante, permane una forte riluttanza a riconoscere i limiti di un’eguaglianza puramente formale: il lungo e ancora irrisolto dibattito sulle cosiddette “statistiche etniche”, ovvero sul divieto di raccogliere dati sulla nazionalità di origine e sull’appartenenza etnica dei cittadini francesi, che pure sono indispensabili non solo per conoscere l’entità dei fenomeni di discriminazione e per delineare possibili politiche di contrasto, appare in tal senso indicativo.
In questa prospettiva, gli episodi di terrorismo di Parigi, che hanno visto coinvolti in prima persona cittadini francesi di seconda generazione, appaiono come l’incontro inevitabile tra la marginalità sociale ed economica delle banlieues e i valori anti-sistema propri dell’Islam radicale, che sembra essere riuscito a contrapporre, alla laicità e all’universalismo di facciata, l’inclusione ‘vera’ in una comunità di eguali che va oltre le appartenenze nazionali e delle storie di immigrazione. Quell’eguaglianza sostanziale che, buone intenzioni e dichiarazioni di principio a parte, il modello di integrazione à la francese, nel corso della sua storia decennale, non sembra essere mai riuscito davvero a realizzare.
Tiziana Caponio, Dipartimento di Culture, Politica e Società, Università di Torino e Collegio Carlo Alberto