Anche se al momento non sembrano esserci particolari preoccupazioni sul piano della sicurezza energetica, un’ulteriore escalation del conflitto in Nagorno-Karabakh potrebbe arrivare a coinvolgere due tra le principali infrastrutture che “corrono” non molto lontano dalla zona interessata dagli scontri: il Corridoio Meridionale del Gas, di cui il TAP è solo la parte finale, e l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan.
Una situazione (per ora) sotto controllo
Il (ciclico) riacutizzarsi delle tensioni tra Armenia e Azerbaijan per il controllo della sovranità sulla repubblica de facto del Nagorno-Karabakh, a maggioranza armena ma legalmente parte dell'Azerbaijan, sembra per il momento mettere in secondo piano le questioni connesse alla sicurezza energetica. La stessa compagnia energetica azera, la SOCAR, ha recentemente confermato che le infrastrutture nazionali che trasportano gas e petrolio stanno operando normalmente, anche grazie alle misure difensive adottate dalle forze armate dell’Azerbaijan. A ciò si aggiunga che, per il momento, gli scontri armati si stanno svolgendo in una zona non particolarmente vicina alle infrastrutture energetiche che attraversano il territorio azero. Non è però da escludere, a breve, una possibile escalation del conflitto: una guerra su larga scala, con il coinvolgimento di Russia e Turchia, che supportano rispettivamente Yerevan e Baku, potrebbe avere conseguenze sulla sicurezza delle infrastrutture energetiche dell’area, attraversata in particolare dal Corridoio Meridionale del Gas e dall’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. Un’ipotesi, quest’ultima, che non può essere esclusa, soprattutto alla luce delle esercitazioni armene di qualche anno fa (e successive agli scontri del 2016) che hanno simulato un vero e proprio attacco alle infrastrutture energetiche azere anche se, negli oltre trent’anni di conflitto, l’Armenia non si è mai spinta a tanto.
South Caucasus Pipeline e Corridoio Meridionale del Gas
Il South Caucasus Pipeline (SCP) rappresenta il primo anello di congiunzione del Corridoio Meridionale del Gas, l’infrastruttura, il cui costo totale si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari, supportata dall’Unione europea (e dagli USA) in quanto, trasportando il gas azero dal giacimento caspico di Shah Deniz II sino alle coste pugliesi, dovrebbe contribuire alla diversificazione degli approvvigionamenti energetici europei. Lungo 691 km, il South Caucasus Pipeline attraversa per 443 km l’Azerbaijan e per 248 km la Georgia, sino al confine con la Turchia dove si aggancia, proseguendo la sua corsa verso ovest, al Trans-Anatolic Pipeline (TANAP). Nell’ambito del progetto del Corridoio, in particolare, è stata prevista un’espansione del gasdotto originario (operativo dal 2006), terminata nel giugno 2018, quando sono state avviate le prime forniture verso la Turchia. Un eventuale attacco al gasdotto da parte delle forze armene, quindi, potrebbe bloccare le esportazioni del gas azero verso la Georgia e, in particolare, verso la Turchia (nel 2019 sono state fornite ad Ankara quantità di gas pari ad oltre 9,5 miliardi di metri cubi) e, di conseguenza, verso la Grecia. Tutto ciò proprio alla vigilia dell’inaugurazione del TAP, ovvero l’ultimo anello di congiunzione del Corridoio e destinato a portare in Italia (e in Europa) fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno.
La via del petrolio
Parallelo al South Caucasus Pipeline si dirama l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (BTC), attraverso il quale passa circa l’80% del petrolio esportato dall’Azerbaijan e diretto verso le coste turche sul Mediterraneo, attraversando il territorio georgiano. L’oleodotto ha una capacità di circa 1,2 milioni di barili al giorno (peraltro utilizzata solo a metà), ovvero circa l’1% delle forniture mondiali di petrolio, e viene prevalentemente alimentato dal greggio estratto nei due giacimenti azeri di Chirag e Gunashli, al quale si aggiungono le piccole quantità importate da Turkmenistan e Kazakistan. Anche questo oleodotto rientra in una strategia geopolitica ben precisa e, soprattutto, condivisa dagli Stati Uniti: la fine del monopolio russo sul trasporto di risorse energetiche dal Mar Caspio, evitando per di più il territorio iraniano. A beneficiare dell’oleodotto è anche l’Italia, dato che una parte importante del petrolio diretto verso il nostro Paese attraversa il corridoio Azerbaijan-Georgia-Turchia. Anche in questo caso, un eventuale bombardamento dell’oleodotto, già oggetto in passato di attacchi da parte della Russia (sempre smentiti da Mosca) e del PKK in Turchia, andrebbe a bloccare la quasi totalità delle esportazioni di greggio dell’Azerbaijan, con possibili danni anche sul piano dell’inquinamento ambientale.
Le possibili conseguenze sulla sicurezza energetica europea
È necessario sottolineare, innanzitutto, come ad oggi l’impatto delle forniture azere sui consumi europei di gas sia piuttosto marginale. A ciò si aggiunga che i 10 miliardi di metri cubi che il Corridoio Meridionale del Gas dovrebbe portare in Europa corrispondono a circa il 3% del fabbisogno europeo, quantità che può essere rimpiazzata facendo ricorso ad altri fornitori. Per di più tale problema si porrebbe solo dopo l’entrata in funzione del TAP, prevista entro al fine dell’anno. Diverso il discorso con riferimento al petrolio, anche se poi è possibile pervenire a conclusioni simili quanto alle conseguenze sul piano della sicurezza energetica europea. L’Azerbaijan, infatti, è uno dei principali partner commerciali europei per quanto concerne le forniture di greggio. In particolare, per quanto riguarda l’Italia, dopo essere stata a lungo il principale fornitore di petrolio, l’ex repubblica sovietica, nel primo semestre 2020, è stata superata dall’Iraq (secondo i dati dell’Unione Petrolifera, infatti, nel periodo gennaio-giugno 2020 l’Italia ha importato 4.647 migliaia di tonnellate di petrolio dall’Iraq contro le 4.584 dall’Azerbaijan). Un’eventuale (temporanea) interruzione delle forniture di greggio, però, non avrebbe conseguenze significative sulla sicurezza energetica europea dal momento che, seppure rilevanti, potrebbero essere sostituite grazie all’abbondanza dell’offerta di petrolio a livello mondiale.
Un eventuale attacco alle infrastrutture energetiche azere potrebbe avere quindi conseguenze negative soprattutto per l’Azerbaijan stesso, in termini di esportazioni. Se da un lato, infatti, Baku non ha alternative al South Caucasus Pipeline per l’esportazione del gas, dall’altro lato la situazione non è molto più favorevole per quanto riguarda l’esportazione del petrolio: l’unica soluzione alternativa potrebbe essere quella di inviare una (piccola) quantità del greggio estratto verso la Russia attraverso l’oleodotto Baku-Novorossiysk. Una possibilità che dovrebbe però fare i conti con il sostegno all’Armenia proprio da parte di Mosca anche se, di fatto, quest’ultima si propone quale mediatrice del conflitto in corso nel Nagorno-Karabakh.
A ciò si aggiunga, poi, che a livello globale non dovrebbero verificarsi particolari conseguenze, soprattutto in termini di shock di prezzi. Il Covid-19, infatti, ha portato ad un vero e proprio surplus nella produzione di gas e petrolio, per di più in un momento in cui l’International Energy Agency prevede che nel 2020 non vi sarà alcun recupero della domanda di petrolio. E sempre la IEA ha previsto per il 2020 una diminuzione del 4% nei consumi di gas.
Un’eventuale escalation del conflitto, con il diretto coinvolgimento delle infrastrutture energetiche azere, non dovrebbe quindi provocare alcuna conseguenza sul piano della sicurezza energetica europea.