Con meno fervore e una buona dose di incertezza, il governo della Colombia ha firmato un nuovo accordo di pace con il principale gruppo guerrigliero del Paese, le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (FARC). Si tratta del secondo trattato siglato in meno di due mesi. La cerimonia semplice, organizzata in tutta fretta presso il teatro Cristobal Colón di Bogotá riflette il senso di urgenza del presidente Juan Manuel Santos per cercare di concludere le ostilità, dopo che l’accordo originale, frutto di anni di negoziati, è stato bocciato da un referendum meno di una settimana dopo essere stato firmato alla presenza dei capi di stato di mezza America e del Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon.
Santos, che per quell’accordo ha vinto anche il Premio Nobel per la Pace, cerca di proiettare un’immagine conciliatoria dopo l’umiliante sconfitta alle urne subita il 2 ottobre scorso. Nelle 310 pagine del nuovo documento, infatti, sono stati apportati 50 cambiamenti per tentare di ammorbidire le posizioni critiche del potente schieramento politico guidato dall’ex presidente Álvaro Uribe.
Le alterazioni al testo originario vanno dal divieto a giudici stranieri di partecipare ai processi contro le FARC (evitando l’infiltrazione di giudici venezuelani o cubani, troppo morbidi con i guerriglieri), all’impegno dei guerriglieri di consegnare tutti i beni ottenuti attraverso attività illegali, dall’estorsione al traffico di droga, per indennizzare le vittime della guerriglia.
Le FARC, tuttavia, non hanno accettato le principali richieste dell’opposizione colombiana, ovvero la prigione per i leader ribelli che hanno commesso atrocità e limiti alla loro futura partecipazione politica. Una posizione condivisa massicciamente dall’opinione pubblica: un recente sondaggio Ipsos ha mostrato come l’88% dei colombiani vogliano che i capi militari siano arrestati e il 75% pretende che questi non partecipino alle elezioni.
La popolazione colombiana abomina i sequestri e il traffico di droga praticati dalle FARC. Pretende che il governo garantisca che gli oltre 8 mila guerriglieri non finiscano per ingrossare le fila delle gang criminali, le Bacrim, o che si uniscano all’Ejército de Liberación Nacional (ELN), altro gruppo guerrigliero di ispirazione marxista. Si tratta di posizioni perfettamente comprensibili, vista la scia di brutalità che le FARC hanno generato in Colombia in oltre cinquant’anni di attività. Tuttavia, se accolte, impedirebbero di fatto il raggiungimento della pacificazione del Paese.
Il rigetto del nuovo accordo è talmente alto che non a caso il presidente Santos ha preferito farlo votare solo al Congresso, senza presentarlo di nuovo all’elettorato. Il rischio di sconfitta è altissimo e, se ciò avvenisse, stroncherebbe definitivamente il processo di pace. Ma nonostante il governo disponga di una maggioranza parlamentare sufficiente, il peso dell’opinione pubblica potrebbe fare esitare alcuni deputati.
Come forma di protesta, membri dello schieramento di Uribe boicotteranno il dibattito al Congresso per la ratifica dell’accordo, previsto la prossima settimana. Le opposizioni accusano il governo di violare la Costituzione, minacciano di convocare manifestazioni per le piazze per denunciare ciò che chiamano di “golpe contro la democrazia”.
Il nuovo accordo nasce quindi con un deficit di legittimità, che ne renderà ancora più delicata e complessa l’implementazione. Per questo motivo il governo colombiano dovrà mantenere una forte presenza in regioni rurali, vaste regioni in cui il suo controllo è stato tradizionalmente debole e inefficace nel controllo. Una delle cause del successo FARC, in effetti, è stato il fatto che il gruppo guerrigliero ha riempito un vuoto in regioni ignorate o abbandonate da Bogotá nelle mani di potentati locali.
Esiste anche il rischio che l’accordo porti a nuovi massacri, come avvenuto dopo un altro tentativo di pacificazione, negoziato con le FARC negli anni ’80. In quel caso migliaia di ex-guerriglieri, attivisti, sindacalisti e militanti comunisti vennero assassinati da miliziani di destra, a volte con la complicità di agenti delle forze di sicurezza statali. Questo timore è divenuto più concreto dopo che una dozzina di militanti per i diritti umani e attivisti campesinos sono stati assassinati in aree dominate dalle FARC dopo la firma del primo trattato. Secondo l’organizzazione colombiana Somos Defensores, nel 2016, oltre 70 attivisti sono stati uccisi in Colombia, più che nel 2014 e 2015 sommati.
Anche con tutte queste ombre, il nuovo accordo va commemorato. Non foss’altro che per il semplice ricordo dei costi della guerra: 220 mila morti, 13 mila vittime delle mine antiuomo, 21.900 sequestrati, oltre 3.500 bambini-soldato, decine di villaggi distrutti e più di 30 mila di campesinos espropriati delle loro terre.
Appoggiare il nuovo trattato di pace non vuol dire considerarlo perfetto, né vicino alla perfezione. Ma solo essere consapevoli che è l’unico accordo possibile. L’alternativa proposta da Uribe non è un accordo migliore. È tornare alla guerra.
Carlo Cauti, giornalista italiano di base a San Paolo del Brasile. Collabora regolarmente con diverse testate italiane e brasiliane.