Il Qatar si prepara a ospitare i Mondiali di calcio 2022 accelerando su riforme politico-sociali e diplomazia internazionale. Sul piano interno, Doha ha organizzato le prime elezioni nazionali per il Consiglio consultivo (Majlis al-Shura), definito un “esperimento di partecipazione popolare”[1]. Il governo sta inoltre revisionando la legislazione sul lavoro, introducendo prime, innovative tutele per i lavoratori stranieri, come il salario minimo mensile. Sul piano regionale, dopo la riappacificazione nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), il Qatar ha ritrovato centralità diplomatica, ponendosi come facilitatore in Afghanistan (dato il canale privilegiato con i Talebani) e mediando in Libano (data la crisi politica fra gli alleati del Ccg e il governo libanese). Dai primi anni Duemila, il soft power è lo strumento che caratterizza la politica estera qatarina; con il dossier afghano, il ruolo diplomatico di Doha sta facendo però un salto di qualità, muovendosi in uno scacchiere animato da attori regionali (Iran, Turchia) e internazionali (Usa, Cina, India e Russia). Anche per il Qatar, la rivalità sistemica fra Stati Uniti e Cina rappresenta un’incognita geopolitica per gli equilibri nel Golfo. Al momento, Doha appare però meno “orientata” verso Pechino rispetto a Riyadh (che sta costruendo missili balistici con l’aiuto dei cinesi[2]) e Abu Dhabi (che pare abbia dovuto bloccare su pressione americana la costruzione di una presunta base militare cinese segreta nel porto della capitale[3]). E può dunque puntare a rafforzare la relazione bilaterale con Washington.
Quadro interno
Il 2 dicembre 2021, per la prima volta nella storia, i qatarini hanno eletto parte (30 su 45 seggi) dei membri del Consiglio della Shura (consultazione in arabo). I restanti 15 rappresentanti vengono nominati dall’emiro. Quest’organo istituzionale ha poteri legislativi, seppur con competenze limitate: infatti, il Consiglio approva le politiche generali e il bilancio proposti dal governo, ma non ha reali poteri su economia e difesa. Le elezioni, introdotte nel 2003 con la Costituzione (poi sottoposta a referendum), fin qui mai organizzate[4], hanno registrato un’affluenza del 63,5%. Sono stati 233 i candidati presentatisi nei 30 distretti disegnati dalla discussa legge elettorale introdotta nell’agosto 2021: infatti, la legge ha permesso la candidatura dei soli qatarini appartenenti a famiglie presenti nel paese prima del 1930. Ciò ha ulteriormente ridotto l’elettorato attivo, in un paese di quasi 3 milioni di abitanti composto da soli 300mila cittadini. La scelta ha provocato malumori e qualche protesta: per esempio, gran parte della tribù beduina degli al-Murra ha lamentato l’esclusione. Gli al-Murra, già frammentati al loro interno, furono in passato sospettati di complottare contro la dinastia regnante degli al-Thani e nel 2017 avrebbero preso posizione in favore del boicottaggio saudita-emiratino contro Doha. Come nel resto del Ccg, in Qatar non si possono costituire partiti politici (forme di associazionismo politico proto-partitiche sono presenti solo in Kuwait e Bahrein), dunque i candidati al Consiglio della Shura hanno corso da indipendenti. In realtà, il criterio dell’appartenenza tribale ha orientato, come prevedibile, il voto e condizionerà l’azione politica degli eletti, ciascuno dei quali risponderà agli interessi degli elettori del proprio distretto in quanto espressione di una comune famiglia tribale. Infatti, le urne hanno premiato i candidati “di sistema”, soprattutto businessmen e con precedente esperienza di governo, emanazione del tradizionale patto tra dinastia regnante, tribù e famiglie mercantili su cui si regge il Qatar. Nessuna donna è stata eletta su 26 candidate; in seguito al rimpasto di governo dell’ottobre 2021, erano state nominate due ministre, all’istruzione e allo sviluppo sociale, in aggiunta alla titolare della salute[5]. Pertanto, come in molti paesi dell’area, maggiore partecipazione politica non equivale necessariamente a una maggiore rappresentazione politica. Nonostante ciò, il voto dei qatarini è un passo in avanti sulla strada della riforma, pur se “dall’interno” e “dall’alto”. Da un punto di vista mediatico, l’esordio elettorale del 2021 è un buon viatico d’immagine per i Mondiali di calcio (Fifa World Cup) che si terranno nell’emirato nel novembre 2022. Tuttavia, l’attesa del grande evento sportivo, assegnato a Doha nel 2010, ha inevitabilmente contribuito a riaccendere i riflettori internazionali sul tema dei lavoratori stranieri a basso reddito in Qatar, soprattutto asiatici e africani: coloro che stanno costruendo materialmente gli impianti per la manifestazione. Da un lato, ospitare un evento globale come i Mondiali di calcio segna un punto a favore dell’emirato (specie se quasi in contemporanea con Expo Dubai 2020 organizzato dai vicini nonché competitor Emirati Arabi Uniti), in una fase storica in cui anche lo sport è diventato strumento di soft power e competizione geopolitica. Dall’altro, i grandi eventi generano grandi flussi di informazione: dunque, possono “alzare il velo” dell’opinione pubblica mondiale sui limiti e le mancanze del paese ospitante (ad esempio, scelte politico-economiche, libertà e diritti), ponendo in primo piano il tema della reputazione internazionale, di cui anche le monarchie del Golfo stanno diventando più consapevoli. Secondo un Report dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (Ilo) pubblicato nel 2021[6], cinquanta lavoratori stranieri (fra tutti i settori) sarebbero morti sul lavoro nel 2020, con 38.000 infortuni di cui 500 classificati come gravi. Seppur analizzando complessivamente il decennio dall’assegnazione (2010-20), altre autorevoli fonti d’inchiesta riportano cifre più alte[7]. Dei due milioni e mezzo di lavoratori stranieri presenti nell’emirato, circa 1 milione è impiegato nelle costruzioni e 100.000 sono lavoratori domestici[8]. Non vi sono dati ufficiali né ricostruzioni certe su quanti sarebbero morti o si sarebbero infortunati nei cantieri dei Mondiali. In tale quadro, il Qatar sta parzialmente modificando la legislazione sul lavoro. Per esempio, i lavoratori stranieri non dovranno più ottenere il permesso del datore di lavoro per cambiare occupazione nonché per lasciare il paese. Questi provvedimenti hanno parzialmente modificato il sistema della kafala (sponsorizzazione), in cui ogni lavoratore straniero è sottoposto alla responsabilità di un datore di lavoro o di una compagnia (lo “sponsor”), che poteva persino trattenerne il passaporto. Tale sistema ha facilitato sfruttamento e lavoro sottopagato, che il Qatar cerca ora di contrastare con l’entrata in vigore – primo paese nella regione – del salario minimo mensile (rispetto a cui Doha si era impegnata nel 2017). Anche l’arresto, nel maggio 2021, del potente ministro delle Finanze, Ali Sherif al-Emadi, in carica dal 2013, rappresenta un segnale di cambiamento. L’arresto di al-Emadi, accusato di abuso di potere e uso improprio di fondi pubblici, è avvenuto il giorno dopo che l’emiro aveva abolito l’immunità per gli ufficiali; a proposito del ministro delle Finanze, il titolare degli Affari Esteri ha commentato che “nessuno è sopra la legge”[9]. Regolamentazione del lavoro e accountability sono diventati temi sempre più sensibili per l’opinione pubblica interna e l’immagine internazionale.
Relazioni esterne
Mediazione e investimenti sono i principali vettori della politica estera qatarina, che nel corso del 2021 si è concentrata soprattutto su due dossier diversamente critici: Afghanistan e Libano. Nelle settimane convulse della crisi afghana (agosto-settembre 2021), dopo il ritiro militare degli Stati Uniti, della Nato e la presa del potere da parte dei Talebani, il ruolo diplomatico dell’emirato degli al-Thani è apparso subito centrale. Infatti, il Qatar ha agito da facilitatore tra parti assai distanti, raccogliendo i risultati politici di una strategia decennale non priva di rischi: aver permesso ai Talebani di aprire, nel 2013, un ufficio politico a Doha (il primo nonché l’unico) per facilitare i contatti con gli statunitensi. Dal 2018 il Qatar ha inoltre ospitato il leader talebano, il Mullah Abdul Ghani Baradar. La scelta di Doha come luogo del dialogo intra-afghano nonché dei negoziati tra Afghanistan e Stati Uniti (culminati negli “Accordi di Doha” del 2020, che hanno fissato il ritiro militare Usa e Nato al 2021), è stata così l’opzione naturale. Inoltre, il Qatar è il paese attualmente meglio posizionato, tra le monarchie del Ccg rispetto al dossier Afghanistan. Innanzitutto, nei rapporti con gli afghani. A differenza di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (Eau), il Qatar non si è – fin qui – sovraesposto politicamente: per esempio, i qatarini non riconobbero l’Emirato islamico dell’Afghanistan proclamato dai Talebani tra il 1996 e il 2001, né finanziarono i mujaheddin (combattenti del jihad) afghani contro i sovietici negli anni Ottanta (come fecero i sauditi), né inviarono truppe dal 2003 a supporto delle missioni Nato (come fatto dagli emiratini). Grazie a una politica estera astutamente “equi-dialogante”, Doha intrattiene poi buoni rapporti con i principali attori regionali (Iran, Turchia) e internazionali (Usa, Cina, Russia, India) coinvolti nello scacchiere di Kabul. Infatti, numerose ambasciate in Afghanistan sono state rilocate in Qatar (comprese quella statunitense, britannica, olandese, italiana e giapponese): Washington ha inoltre affidato proprio a Doha il compito di rappresentare gli interessi diplomatici Usa in Afghanistan. Da una prospettiva logistico-militare, la base statunitense di al-Udeid e l’aeroporto di Doha hanno svolto un ruolo cruciale nel ritiro dei soldati americani e alleati, nonché nelle delicate operazioni di evacuazione di civili afghani dal paese. Nel dicembre 2021 Qatar e Turchia hanno poi siglato un Memorandum d’Intesa per la gestione congiunta, “come partnership eguale”[10], dell’aeroporto internazionale di Kabul; una gestione che diventerebbe trilaterale se anche gli Eau contribuissero per la parte civile, come ipotizzato dalla diplomazia di Ankara. Nonostante la ritrovata unità formale nel Ccg, l’Afghanistan è terreno di competizione strisciante fra monarchie alleate, a colpi di diplomazia umanitaria: gli emiratini hanno appena riaperto la propria ambasciata nella capitale afghana (novembre 2021) e i sauditi hanno riavviato le attività consolari nel paese (dicembre 2021).
I qatarini stanno giocando il ruolo dei mediatori anche in Libano: l’obiettivo è ricucire la frattura politica apertasi tra Arabia Saudita, Eau, Bahrein, Kuwait e il governo di Beirut. Negli anni la variabile Hezbollah (il partito-milizia sciita libanese alleato dell’Iran) ha reso sempre più tese le relazioni tra Riyadh e Beirut; inoltre, i sauditi hanno progressivamente perso la tradizionale influenza strategica sulla comunità sunnita libanese e le sue famiglie politiche di riferimento. Dall’ottobre 2021 la situazione è ulteriormente peggiorata. L’Arabia Saudita ha ritirato il proprio ambasciatore dal Libano (poi seguita da Emirati Arabi, Bahrein e persino dal solitamente dialogante Kuwait), dopo la diffusione di un’intervista in cui il giornalista televisivo Georges Kordahi, nel frattempo divenuto ministro dell’Informazione nel governo Mikati, criticava apertamente l’intervento militare di Riyadh in Yemen, definendolo “un’aggressione” per di più “inutile”. Il regno saudita, che classifica Hezbollah tra i gruppi terroristici, ha inoltre bandito l’importazione di prodotti dal Libano[11]. Kordahi, in quota al Movimento cristiano Marada, a sua volta vicino a Hezbollah, si è poi dimesso, ma la crisi non è ancora rientrata. Il Qatar può così giocare due partite in una. La prima è quella della mediazione tra alleati del Ccg e governo libanese, con uno sguardo alla stabilità finanziaria di Beirut. Il 29 novembre l’emiro del Qatar ha incontrato a Doha il presidente libanese Michel Aoun e si è detto “pronto ad assistere il Libano”[12]; in particolare, Aoun ha esortato i qatarini a investire nella ricostruzione del porto della capitale, nella rete elettrica, in infrastrutture e nel sistema bancario. Già nel luglio 2021 il Qatar aveva inviato aiuti alimentari all’esercito del Libano, piegato dagli effetti economico-sociali della crisi del sistema libanese. La seconda partita, di natura geopolitica, mira a posizionare Doha al centro dello scenario libanese. In prospettiva, ciò consente ai qatarini di guadagnare spazio geostrategico nella sub-regione del Mediterraneo Orientale, oggi ridisegnata dalla scoperta del gas naturale off-shore, dunque potenzialmente in competizione con il Qatar, secondo esportatore al mondo di gas. Inoltre, Exxon Mobil e Qatar Energy hanno appena firmato un accordo di esplorazione e sfruttamento di gas al largo dell’isola di Cipro, nonostante le contrarietà turche.
Il ruolo diplomatico di Doha nelle crisi afghana e libanese è stato al centro dell’incontro fra l’emiro ed Emmanuel Macron, nel corso del tour del presidente francese nelle monarchie del Golfo (2-3 dicembre 2021)[13]. Per l’emirato degli al-Thani il 2021 ha segnato la riappacificazione interna al Ccg (con gli Accordi di al-Ula del gennaio 2021), in particolare con i sauditi e gli emiratini. In tale quadro, i qatarini sono stati riaccolti dai vicini con una serie di incontri ai più alti livelli[14]: tra di essi, spicca il viaggio del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman -al-Saud in Qatar (dicembre 2021), il primo dalla crisi intra-Ccg del 2017 e dopo l’istituzione del Saudi-Qatari Coordination Council. Inoltre, Qatar e Oman hanno rafforzato le relazioni bilaterali, già cresciute negli anni del boicottaggio contro Doha: infatti gli omaniti, insieme ai kuwaitiani, non ruppero le relazioni diplomatiche con l’emirato. Durante il viaggio del sultano omanita Haitham bin Tariq al-Said nella capitale qatarina (22 novembre 2021) i due paesi hanno siglato sei accordi di cooperazione: militare, tassazione, turismo, porti, lavoro e investimenti. L’intesa include anche possibilità di cooperazione tra i fondi sovrani. Due appuntamenti di fine 2021 hanno poi segnato il ritorno di Doha nei consessi unitari delle monarchie del Golfo. Il primo è stato il summit annuale del Ccg (15 dicembre) a Riyadh: il comunicato finale, che ha menzionato l’importanza di coordinare e integrare le politiche estere dei membri (un passaggio non banale dato che il Qatar ha sempre rivendicato l’autonomia in politica estera), si è focalizzato sugli sforzi comuni in tema di economia, cambiamento climatico e trasformazione digitale[15]. Il secondo appuntamento è stato la cerimonia d’apertura dello Unified Command del Ccg svoltasi a Riyadh (22 novembre) e preceduta da una sessione del Joint Defence Council che ha riunito tutti i ministri della Difesa, incluso il Qatar, nonché il segretario generale del Ccg. Il Comando unificato, approvato nel 2013 (allora furono previsti 100mila uomini, per metà dalle forze armate saudite), è l’evoluzione della Peninsula Shield Force (la forza da 10.000 soldati istituita nel 1984) e punta al coordinamento interforze contro le minacce regionali. Sullo sfondo, l’incertezza mondiale dell’economia pandemica, le tensioni crescenti fra Stati Uniti e Cina, soprattutto il dossier nucleare dell’Iran e le possibili reazioni di Israele. È questo lo scenario strategico in cui il Qatar e le monarchie vicine ritrovano l’unità tattica in Medio Oriente, mettendo fra parentesi gli scontri del recente passato.
[1] “Qatar’s new electoral law stirs up tribal sensitivies”, Reuters, 12 agosto 2021.
[2] Z. Cohen, “CNN Exclusive: US intel and satellite images show Saudi Arabia is now building its own ballistic missiles with help of China”, CNN, 23 dicembre 2021.
[3] J. Borger, “Work on ‘Chinese military base’ in UAE abandoned after US intervenes-report”, The Guardian, 19 novembre 2021.
[4] Dal 1999, i qatarini votano per eleggere il Consiglio Municipale, istituito a livello nazionale.
[5] Per un’analisi del voto e del contesto elettorale, si rimanda alla lucida analisi di D.B. Roberts, Qatar’s Shura Council Elections: Incrementally Strenghtening Local Politics, The Arab Gulf State Institute in Washington, 7 ottobre 2021.
[6] Ilo, One is too many. The collection and analysis of data on occupational injuries in Qatar, novembre 2021.
[7] P. Pattinson, N. McIntyre et al., “Revealed: 6.500 migrant workers have died in Qatar since World Cup awarded”, The Guardian, 23 febbraio 2021.
[8] B. Immenkamp, “The 2022 FIFA World Cup in Qatar. Turning the spotlight on workers’ rights”, European Parliament Briefing, dicembre 2021.
[9] Al-Emadi era anche nel board del fondo sovrano nazionale e presidente della Qatar National Bank. S. Ataullah, “FM: Qatar’s efforts focus on establishing good relations between Somalia and Kenya”, T+he Peninsula, 8 maggio 2021.
[10] A. Youssef, “Turkey, Qatar working out details of deal to run airport in Afghan capital: Sources”, AnadoluAgency, 24 dicembre 2021.
[11] Misura che nelle intenzioni dovrebbe colpire anche l’import illegale di un’anfetamina, il Captagon, assai consumata nel Golfo, prodotta in Siria e commerciata attraverso il Libano.
[12] “Lebanese president visits Qatar amid Gulf crisis”, Al-Monitor, 30 novembre 2021.
[13] Sul Libano, il gesto diplomatico più forte del tour arabo di Macron non è avvenuto in Qatar ma in Arabia Saudita, quando il presidente francese e il principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud hanno telefonato insieme al primo ministro libanese Najib Mikati, affermando che francesi e sauditi lavorano per risolvere la crisi tra parte del Ccg e il governo di Beirut.
[14] Il vicepresidente degli Eau ed emiro di Dubai Mohammed bin Rashid Al Maktoum ha incontrato l’Emiro del Qatar, definendolo “fratello e amico” nel corso della Conferenza di Baghdad per la cooperazione e la partnership regionale (agosto 2021); l’emiratino Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, consigliere nazionale per la sicurezza nonché fratello del principe ereditario di Abu Dhabi, si è recato in visita a Doha (agosto 2021); il ministro degli Esteri qatarino Mohammed bin Abdulrahman al-Thani ha visitato gli Eau (ottobre 2021).
[15]Il Qatar ha lanciato nell’ottobre 2021 il Piano nazionale contro il cambiamento climatico: esso prevede il taglio del 25% di emissioni di gas serra entro il 2030. Doha ha altresì creato un Ministero per l’Ambiente e il cambiamento climatico.