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CoVid-19

Il Reshoring come opportunità di rilancio del Sistema Italia

Francesco Stefanelli
19 giugno 2020

L'epidemia di COVID-19 ha sfidato il Pianeta in un modo nuovo e inaspettato: mentre nel novembre 2019 le aziende italiane finalizzavano il budget per il 2020, qualcosa di incredibilmente disruptive per le catene globali del valore stava arrivando da Oriente, qualcosa che nessuno in Italia si aspettava così potente. Anche se, forse, c’era già da qualche anno un set di elementi per un nuovo livello di riflessione. Infatti da almeno un decennio qualche spunto nel mondo del business, in particolar modo nell’ambito della Supply Chain Strategy, era arrivato. I concetti di Resilience, Adaptability e Flexibility sono da qualche tempo tra i maggiori temi d’interesse per il Dipartimento del CTL (Center of Transportations and Logistics) dell’MIT di Boston e di altri prestigiosi istituti di ricerca, al fine di mettere a punto un nuovo paradigma per approvvigionarsi-produrre-distribuire, garantendo la business continuity e generare addirittura valore in un mondo sempre più connesso e imprevedibile.

 

La necessità di un ripensamento delle supply chains globali, per un approccio più “resiliente” e “local-to-local”

Il COVID-19 ha interrotto lunghi tratti di fornitura “a basso costo” da Oriente verso Occidente: "il grande impianto di produzione del mondo" è rimasto in ginocchio e ha messo in luce tutta la fragilità delle imprese occidentali (Supply Shock). Le aziende di medio-grande dimensione si sono attivate al fine di acquistare “Stock Strategico” (più materiale del necessario, al fine di non fermare le linee) e correre verso fornitori “più vicini”, al fine di riqualificarli e rendere le filiere “più vicine e flessibili”. Tuttavia, una volta messa in sicurezza la produzione a Occidente, il virus ha allargato il suo raggio di azione muovendo ad Ovest e determinando quindi il fermo anche di larga parte dei mercati finali (Demand Shock).

Non è stato facile: si è verificato un Bullwhip Effect (aumento della variabilità della domanda man mano che ci si allontana dal mercato finale e si risale la catena di fornitura) di proporzioni enormi, forse mai viste prima, che ha travolto un largo numero di settori: il solo turismo in Europa risentirà del fatto che circa l’85% dei voli è stato cancellato o, ad esempio, in UK le vendite di pasta hanno subito un tracollo del -168%. Altri settori tuttavia hanno funzionato a pieno regime ed hanno addirittura incrementato le proprie attività: l’industria farmaceutica, quella alimentare e quella digitale stanno funzionando molto più della media, a causa di comprovate necessità e filiere più “corte e flessibili”, almeno tra quelle a trazione manifatturiera.

 

Le opportunità per l’Italia

Essendo uno dei paesi più colpiti, l’Italia si inserisce nella lista degli stati potenzialmente in grado di cogliere determinate "opportunità" che abbiamo intravisto nei mesi di lockdown. Ad esempio:

  1. L'e-commerce si sta finalmente diffondendo anche in fasce di popolazione che avevano avuto meno interesse ad accedervi per l’acquisto di beni; il correlato aumento di attività di Last Mile Logistics è uno tra i dati correlati rilevanti.
  2. La digitalizzazione dei processi è ora una priorità nazionale per il rilancio: Pubblica Amministrazione e privati hanno finalmente percepito l’esigenza di una ristrutturazione più attenta della gestione dei dati, come soltanto iniziato dal piano Industry 4.0 di qualche anno fa.
  3. Innovazione e Finanza a supporto delle imprese sono leve strategiche per il rilancio e lo sviluppo del Sistema Italia.

In questo panorama, sono tre i drivers che si individuano come sostanziali:

  1. Monitoraggio dei dati per essere resilienti. Sono ora disponibili numerosi strumenti e tecnologie per monitorare costantemente i rischi che emergono da tutto il mondo; e il concetto di “resilienza” è la chiave: ora è COVID-19, ma qualche mese fa era “la guerra commerciale dei dazi USA versus Cina” a determinare lo shock. Se andiamo indietro negli anni abbiamo una lunga lista di: fenomeni ciclonici, terremoti e tsunami, disastri ambientali (per esempio Fukushima) e finanziari (Lehman Shock), vulcani (Eyjafjallajökull). In poche parole, non sappiamo cosa accadrà, ma sappiamo che qualcosa è molto probabile che accada. E dobbiamo attrezzarci.
  2. Una nuova Flessibilità Finanziaria per integrare meglio filiere produttive in modo sinergico. Il Cash-to-Cash cycle, (il ciclo di trasformazione della moneta dato dal numero di giorni che trascorrono tra il pagamento delle materie prime acquistate e il pagamento da parte dei clienti per le vendite generate da quelle materie prime o beni) è ancora enorme in Italia[1]. Di cosa si tratta? Quando le grandi aziende crescono e ottengono vantaggio competitivo sul mercato finale non per un miglioramento interno, ma “scaricando il non-valore” su piccoli fornitori satellite, facendo loro pressione e non garantendo ampio respiro, il fenomeno che potrebbe emergere è potenzialmente “una grande caduta”: le piccole aziende potrebbero morire, trascinando con sé anche i loro “clienti importanti”, e mettendo in difficoltà intere filiere.  Sono necessarie maggiore integrazione e partenariati per essere maggiormente integrati verticalmente nella catena logistica. In questo, il settore emergente del Fintech potrebbe essere una leva importante.
  3. Supply Chain re-Design. Il ripensamento della catena produttiva comporta un salto strategico importante per le imprese e fa specie che soltanto il 10% delle aziende italiane considera questi temi rilevanti per il business. Tra i topics, la riorganizzazione delle attività di approvvigionamento-produzione-distribuzione hanno nomi che si assomigliano, il cui significato differisce di poco (reshoring, backshoring, nearshoring..), ma il fine è il medesimo per tutti: avvicinare punti di approvvigionamento, di produzione e di consumo al fine di rendere l’organizzazione più adattabile al cambiamento.

Proprio quest’ultimo punto appare particolarmente impegnativo in quanto non comporta un salto di innovazione tecnologica, come i precedenti due, ma cambia sostanzialmente il modo di concepire la filiera produttiva, mettendo alla prova le competenze strategiche del management e cambiando il paradigma da “Lowest Cost” a “Total Cost of Ownership”.

 

Quali settori saranno maggiormente coinvolti dal Reshoring?

Analizzando le strutture di costo di 12 settori industriali americani, assieme a Jim Rice dell’MIT-CTL abbiamo avuto modo di constatare come in 25 anni l’industria manifatturiera americana abbia spostato il proprio asse produttivo verso il Far East negli anni ’80 e, sempre dai dati, siamo riusciti a costruire un modello per voci di costo tale da rendere in qualche modo “predittiva” la strategia, assumendo sempre come americano il mercato finale di riferimento per lo studio. Infatti, se sul lato quantitativo l’innalzamento dei salari in Cina e un miglioramento della produttività negli Stati Uniti hanno diminuito il gap sulla voce “Labor Cost”, il “Transportation Cost” risente ancora di un mercato petrolifero instabile, vincolato a fattori geopolitici e di capacità trasportabile. In sintesi, anche grazie a una nuova automazione industriale, per qualche settore, il “tipping point” (“punto di svolta” dopo il quale il punto di produzione rimane invariante tra USA e Cina, assumendo il mercato finale come medesimo -USA, come accennato) risulta sempre più vicino, se non addirittura raggiunto. Altri settori fanno invece fatica a trovare convenienza in un riavvicinamento dei punti di approvvigionamento e consumo, in quanto sempre il “tipping point”, inteso in questo senso come “Costo del Venduto”, appare profondamente diverso se la produzione si sposta negli Stati Uniti dalla Cina. Alcuni esempi per facilitare la comprensione:

  1. Il settore dell’elettrodomestico è riuscito a parcellizzare la produzione, garantendo il ritorno di un certo numero di posti di lavoro in USA, grazie all’automazione e all’implementazione di un sistema produttivo “lean” che hanno abbassato notevolmente la voce del Labor Cost nella struttura di costo. Producendo direttamente in USA (per il mercato USA e lasciando in Asia parte delle facilities per il mercato APAC), la voce Transportation Cost è stata praticamente azzerata e quindi si è arrivati al famoso “tipping point” in modo netto (immaginate quanto poteva rappresentare l’incidenza del trasporto dalla Cina di un bene come un elettrodomestico, ribaltando il costo del trasporto. In questo modo, un caso su tutti, GE ha riaperto Appliance Park nello stato del Kentucky.
  2. Sull’altro fronte, il tessile di bassa gamma presenta un’organizzazione del lavoro non molto automatizzabile e il “fattore moda” rende le produzioni non facilmente ottimizzabili sul lungo periodo. Ma non è tutto: se il Labor Cost rimane a vantaggio dell’attuale struttura di costo cinese, il Transportation Cost risulta irrilevante.. Per questo motivo, le aziende di moda di bassa gamma mantengono le loro produzioni in Far East, mentre sono molto più frequenti i rientri delle organizzazioni di alto livello/lusso, in quanto concorrono in modo determinante un set di fattori di natura “qualitativa” (per esempio, conoscenze specifiche, rischio di perdere patents e brevetti, problemi qualitativi, peso di organizzazioni su diversi fusi orari altro).

Proprio in merito a quest’ultimo punto, Harry Moser, fondatore di “The Reshoring Initiative” (associazione americana no-profit di riferimento per il Reshoring in USA) ha costruito un fitto database di US Reshoring Case Studies e sviluppato un free software che calcola il TCO=Total Cost of Ownership, al fine di valutare la convenienza del rientro delle attività produttive dal Far East. In questo modo, come suggerito nei paragrafi precedenti, l’ingegner Moser ha anticipato la questione presente oggi sul nostro tavolo: “Siamo sicuri che, a conti fatti, la logica del minor costo paga sempre? Siamo certi che se consideriamo fattori quantitativi (tangibles) e qualitativi (risks) non ci convenga spostare l’asse della nostra analisi sul Total Cost of Ownership?”

 

Conclusioni

Tre sono le domande che alcune imprese italiane si stanno ponendo in questi primi mesi del 2020.
L’emergenza COVID-19 ha portato “forzatamente” alla luce i seguenti quesiti:

  1. Siamo certi che, aumentando la produttività e integrandomi meglio coi fornitori, non riesca a raggiungere il “tipping point”?
  2. Siamo certi che il rischio di avere una catena così lunga valga il gioco, al netto dei rischi e delle instabilità evidenti?
  3. Siamo certi che per raggiugere un nuovo livello di flessibilità imposto dal mercato non debba riorganizzare la mia intera filiera?

Alla luce di queste domande, in alcuni casi, non si parla più di un approccio globale, non a 360°: ma un approccio local-to-local, avvicinando i punti di approvvigionamento, produzione e consumo. E il Reshoring ne è solo un esempio.

 

[1] in media 100 M€, con 75 giorni DSO e 91 giorni DPO

Contenuti correlati: 
Global Watch Coronavirus: Speciale Geoeconomia n.14

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AUTORI

Francesco Stefanelli
Supply Chain and Operation Manager

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