Il 2016 in Asia è segnato da numerosi appuntamenti elettorali per il rinnovo delle leadership nazionali (Taiwan, Myanmar, Filippine) e in Laos e Vietnam questo ricambio è avvenuto pochi giorni fa attraverso, però, un congresso di partito, quello comunista. Ogni cinque anni i comunisti laotiani e vietnamiti si riuniscono per assegnare varie cariche tra cui quella del segretario generale che è la più importante per il partito e quindi per il paese.
Nelle intenzioni del 10° congresso del Partito rivoluzionario del popolo, il nuovo politburo laotiano dovrebbe distinguersi marcatamente dai quadri uscenti, screditati soprattutto in seguito agli arresti per corruzione del ministro delle Finanze e del governatore della banca centrale. Il fatto che la precedente leadership abbia concluso la propria stagione politica non cambia il fatto che il neo eletto segretario e attuale vice presidente, Bounnhang Vorachith, sia una figura di continuità. La guida del paese rimane saldamente nelle mani del partito in cui nonostante sia in corso una transizione tra gli ultimi reduci rivoluzionari e una nuova generazione, i leader continuano a provenire quasi esclusivamente dalla stagione rivoluzionaria, come lo stesso segretario.
Questo è un anno importante per il Laos anche a livello internazionale, perché assume la presidenza dell’Associazione dei paesi del sud-est asiatico (Asean). Non a caso è da alcuni anni che il Laos si presenta sempre più come un possibile fulcro geopolitico dell’intera regione, diventando per questo oggetto delle mire di Cina e Vietnam. Ciò che pare cambiare nella nuova tornata di nomine è proprio la preferenza nei confronti di questi due vicini, filo-vietnamita quella dei vecchi leader e filo-cinese quella dei nuovi. Il paese è stato tradizionalmente nell’orbita di Hanoi e oggi il “rapporto speciale” è fondato sempre più sulla convenienza. Per sostenere la crescita economica laotiana (attualmente con una media del 7,8%), Vientiane sarebbe intenzionata a promuovere ulteriormente il commercio e gli investimenti di Hanoi, il suo quarto più grande investitore, ma dopo più di trent’anni questi legami economici ancora faticano a generare i risultati attesi. Ed è qui che si inserisce la Cina. Pechino considera il Laos un punto d'appoggio strategico all’interno del blocco Asean che se controllato, garantirebbe un vantaggio su Washington nella sfida al controllo degli equilibri nella regione e per questo sta corteggiando Vientiane con i suoi capitali. Se prima della fine della Guerra fredda i rapporti tra Cina e Laos erano quasi inesistenti, all’indebolirsi del Vietnam, Pechino è subentrato diventando il primo investitore straniero, fonte del 30% di tutti gli investimenti esteri nel paese. Per questo il Laos è stato costretto ad assecondare le pressioni cinesi anche nell’ambito della costruzione di numerose, e per questo impopolari, dighe sul corso del fiume Mekong e su quello dei suoi affluenti. Essendo Pechino uno dei principali beneficiari dell’incremento nella produzione idroelettrica attraverso l’importazione dell’energia prodotta, Vientiane cerca di assicurarsi nuovi capitali cinesi realizzando dieci dighe entro il 2020, scatenando le ire di Hanoi a causa dell’impatto stimato sulla sicurezza della produzione ittica proveniente dal fiume.
Un Laos attratto nell’orbita di Pechino e una Cina sempre più assertiva soprattutto nel Mar cinese meridionale, sono alcune delle sfide diplomatiche della nuova leadership vietnamita uscita dal 12° dai hoi, il congresso vietnamita, che si è svolto negli stessi giorni di quello laotiano. Il segretario generale Nguyen Phu Trong è stato confermato per un altro mandato imponendosi sul primo ministro uscente Nguyen Tan Dung che non essendo riuscito a guadagnare il sostegno sufficiente tra i delegati, si è autoescluso dalla corsa per il politburo presentando le dimissioni dal Comitato centrale, accettate poi dai delegati durante una votazione segreta nella notte del 25 gennaio. Entrambi i congressi hanno espresso nomine in forte controtendenza quantomeno anagrafica con il resto del paese dato che in Laos il 70% della popolazione ha meno di 30 anni e in Vietnam l’età media è di 29 anni, ma è pur vero che le nomine avvengono all'interno dei partiti senza alcuna partecipazione nemmeno dei loro iscritti.
Nei dieci anni del suo mandato Dung è stato il principale promotore delle riforme economiche che hanno visto il Vietnam integrarsi maggiormente nell’economia globale. Secondo i dati della Banca mondiale, il reddito pro capite che nel 1986 era di soli 100 dollari, nel 2014 ha raggiunto i duemila dollari con un Pil che nel 2015 è cresciuto del 6,68%. Successi accompagnati però anche in questo caso da accuse di corruzione su cui la fazione conservatrice guidata da Trong ha fatto leva per delegittimare la candidatura avversaria. Si teme quindi che con la conferma del mandato di Trong il ritmo dell’apertura possa rallentare, ma probabilmente le preoccupazioni vanno ridimensionate, perché all’interno del Politburo ci sono alcuni esponenti della fazione guidata dal primo ministro uscente, come il capo della banca centrale e lo stesso nuovo primo ministro. La tendenza sarà quella di proseguire sul cammino delle riforme, mantenendo al contempo una forte stretta sul paese. Dopotutto, è sotto la supervisione di Trong che il Vietnam ha firmato il Trans-Pacific Partnership (Tpp) e concluso a fine 2015 i negoziati con l’Unione europea per un trattato di libero scambio. Il Tpp è stato approvato dall’ultimo Congresso e per questo troverà a breve il voto positivo anche dell’Assemblea nazionale. A quel punto il Vietnam si troverà costretto ad aprire ulteriormente la sua economia alla concorrenza straniera e a fare concessioni in ambiti quali i diritti dei lavoratori e la proprietà intellettuale.
Lo stesso bilanciamento che si registra nel campo delle riforme economiche, si manifesterà anche nei confronti di Cina e Stati Uniti anche se con molte più difficoltà. Nonostante la Cina sia diventata il principale partner commerciale del Vietnam nel corso degli ultimi dodici anni e Hanoi sia stato il mercato di riferimento per Pechino in Asean nel 2014, è la tensione a prevalere. Come si è evinto dalle ultime dimostrazioni di forza del Dragone nel Mar cinese meridionale, l'installazione della piattaforma petrolifera nella zona economica esclusiva vietnamita nel 2014 ha scatenato in Vietnam vere e proprie rivolte anti-Pechino con l’uccisione di almeno tre cittadini cinesi. Questo episodio ha segnato uno spartiacque: da un lato l’ala più conservatrice del partito comunista vietnamita ha rivalutato il tradizionale approccio che voleva il mantenimento di relazioni forti e stabili con la Cina e dall’altro Trong ha rafforzato la sua posizione interna facendo passare una linea politica in controtendenza. La visita alla Casa Bianca di Trong del luglio 2015 – primo segretario a visitare gli Usa – ha infatti confermato questa nuova tendenza emersa in seno al partito comunista, secondo la quale lo sviluppo di buoni rapporti con gli Stati Uniti rappresenterebbe una buona opportunità politica per equilibrare l’influenza cinese nella regione.
Allo stesso tempo, il rebalancing vietnamita nei confronti degli Usa confermerebbe anche l’attivismo e l’interesse che Washington nutre verso la regione. Il segretario di Stato John Kerry ha infatti appena concluso un tour asiatico partito proprio dal Laos non solo per ribadire l’impegno statunitense a fianco di Vientiane nella rimozione delle migliaia di bombe inesplose che la campagna di bombardamenti Usa ha lasciato sul terreno tra la fine degli Sessanta e primi anni Settanta, ma soprattutto per sottolineare la centralità strategica che il Laos riveste anche per gli Stati Uniti e non solo per la Cina. La diplomazia di Washington di contrappeso alla Cina nel sud-est asiatico non si ferma qui, ma conoscerà vari momenti importanti nei prossimi mesi. Il 15 e il 16 febbraio Obama sarà il primo presidente statunitense a ospitare tutti i leader dell’Asean nel ranch californiano di Sunnylands che nel 2013 aveva visto la visita proprio di Xi Jinping. Dopodiché Obama si recherà in Vietnam (maggio) e Laos (settembre) per poi partecipare al summit Asean di Vientiane a novembre. Queste saranno occasioni in cui i membri più direttamente coinvolti nelle dispute con la Cina, in primis Vietnam e Filippine, solleciteranno Obama a fornire loro maggiore assistenza e sarà interessante osservare come la presidenza laotiana riuscirà a gestire queste richieste in funzione anti-cinese con il suo interesse nazionale che gli impone di non incrinare i rapporti con Pechino.