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SANZIONI

Il rischio del dollaro in armi

Luca Fantacci
|
Lucio Gobbi
04 marzo 2022

Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Europea e altri Paesi occidentali stanno varando contro la Russia un piano di sanzioni economiche articolato e sempre più aspro. Oltre a colpire il settore energetico, i trasporti, il commercio e la ricchezza privata di numerosi individui legati al governo di Mosca, il piano mira a estromettere la Russia dal sistema dei pagamenti internazionali. Le sanzioni finanziarie, quando sono comminate dagli Stati Uniti, possono avere effetti ancor più devastanti di un attacco militare. Sono “un’arma nucleare”, come ha commentato recentemente un banchiere occidentale, forse sperando di scongiurarne l’uso. In effetti, al pari di un attacco atomico, seppure in maniera diversa, più lenta e più subdola, le sanzioni rischiano di provocare ripercussioni devastanti anche per chi le mette in atto, minando alla radice l’egemonia monetaria del dollaro.

L’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe ha innescato un repentino e radicale cambio di scena. Si è varcato un crinale, passando dall’escalation della potenza esibita al declivio pericoloso della forza messa in atto. E quanto più si erano elevati i toni del confronto nella propaganda e nel dispiegamento di armi, tanto più rovinoso rischia di essere il precipitare degli eventi, sul terreno delle ritorsioni economiche come dell’offensiva militare. Una volta compiuto il passaggio all’atto, la logica sottile della deterrenza cede il passo alla logica più grossolana e più stringente dell’efficacia: si ricorre a ogni mezzo disponibile e necessario per piegare il nemico ai propri obiettivi. Ciò che era ostentato fino al giorno prima come una mera minaccia dissuasiva può apparire improvvisamente come uno strumento indispensabile.

Uno scontro circoscritto in termini di obiettivi, di estensione e di mezzi rischia di degenerare in un conflitto senza esclusione di colpi, con effetti distruttivi per entrambi i contendenti. Così, nel breve volgere di pochi giorni, la Russia è passata dal riconoscimento dell’indipendenza delle autodichiarate repubbliche di Donetsk e Luhansk, alla loro difesa manu militari, all’occupazione dell’intera Ucraina, all’allerta nucleare. Gli alleati occidentali hanno risposto, a loro volta, con sanzioni economiche di crescente severità.

 

Quanto fanno male le sanzioni?

Su entrambi i fronti, il dispiegamento di armi sempre più distruttive può sfuggire di mano, con ripercussioni su chi le mette in campo. Nel caso della minaccia atomica il rischio è talmente evidente da offrire qualche speranza che si disinneschi da sola. La guerra finanziaria ha effetti meno noti, meno diretti e meno appariscenti, ma rischia di essere un’arma altrettanto distruttiva – e autodistruttiva. Alla lunga, infatti, l’uso del dollaro come arma (la sua “weaponization”) rischia di comprometterne lo status di moneta internazionale.  

Il ricorso alle sanzioni è presentato come un espediente per esercitare nei confronti della Russia un forte potere coercitivo, senza dover ricorrere ad armi più cruente e devastanti. Quello appena varato non è che l’ultimo, anche se sicuramente il più duro, pacchetto di sanzioni inflitte alla Russia al fine di costringerla ad abbandonare la sua politica espansionistica contro lo Stato ucraino. Ma qual è stato l’effetto delle sanzioni imposte alla Russia, a partire dall’annessione della Crimea nel 2014? E quali potrebbero essere le conseguenze delle sanzioni appena varate?

A novembre 2019, il presidente Putin affermava che le perdite causate dalle sanzioni all’economia russa erano inferiori a 50 miliardi di dollari. Nel frattempo, in un’audizione al Senato USA, il sottosegretario agli Affari politici, David Hale, ammetteva che era difficile misurare gli effetti deterrenti delle sanzioni. Secondo una recente ricerca, le sanzioni avrebbero causato alla Russia un calo del Pil fra lo 0,5 e l’1,5% all’anno, per una perdita complessiva fra 40 e 120 miliardi di dollari dal 2014 al 2018 – un valore non trascurabile, ma inferiore a quello provocato negli stessi anni dalla caduta dei prezzi del petrolio.

Sinora, le sanzioni finanziarie più dure inflitte alla Russia sono state quelle che hanno impedito a banche e imprese l’accesso alle fonti di finanziamento e al sistema dei pagamenti. In un precedente contributo, ci siamo soffermati sulle sanzioni riguardanti l’accesso al sistema dei pagamenti da parte di banche e imprese russe. A seguito di quelle sanzioni, il governo russo ha intrapreso un piano di progressiva riduzione nell’uso del dollaro per i pagamenti con l’estero, anche se risulta ancora predominante.

 

Congelare le riserve monetarie: “armageddon” finanziario?

Tuttavia, il pacchetto di sanzioni appena varato differisce da tutti i precedenti perché prevede anche il congelamento delle riserve della Banca centrale russa. Altre banche centrali (di Iran, Venezuela e Corea del Nord) sono già state colpite in passato da simili sanzioni, ma sarebbe la prima volta per un Paese del G20. È questa la vera “arma di fine di mondo” finanziaria che rischia, in effetti, di porre fine al sistema monetario internazionale come lo conosciamo dal secondo dopoguerra a oggi. Vediamo perché.

Al 31/01/2022, la Banca centrale russa deteneva riserve per oltre 630 miliardi di dollari, di cui circa 500 in valuta estera e 130 in oro (secondo i dati forniti dalla stessa Bank of Russia). La Russia è il quinto Paese al mondo per ammontare di riserve auree, con circa 2.300 tonnellate di oro per un controvalore di circa 130 miliardi di dollari, circa un terzo  degli USA, due terzi  della Germania e poco meno di Francia e Italia (dati World Gold Council).

Tutte queste risorse accumulate negli anni (Figura 1) costituivano un “tesoro di guerra”, lo scudo con cui Putin intendeva fare fronte alle sanzioini. Secondo i dati riportati da Adam Tooze, la Banca di Russia ha venduto tutti i suoi titoli di stato americani fra aprile e maggio del 2018, nel tentativo di mettere le proprie riserve al riparo dagli Stati Uniti nel caso di un inasprimento delle relazioni.

 

Figura 1  La crescita delle riserve monetarie russe

 

Ora, che cosa comporta il blocco delle riserve? Ancora oggi, a dispetto del tentativo di de-dollarizzare, oltre il 60% delle riserve russe sono detenute in Paesi occidentali che hanno adottato le sanzioni e anche le riserve auree sono difficili da liquidare, perché dovrebbero essere vendute su mercati denominati in dollari da intermediari che sono soggetti alle restrizioni. Le sanzioni hanno reso dunque queste risorse praticamente inutilizzabili, fatta eccezione per le riserve estere detenute in Cina (circa il 14%) delle quali circa il 13% in asset denominati in yuan (figura 2).

 

Figura 2 Distribuzione per tipologia di asset e geografica delle riserve russe

 

Come osserva il FT, dal momento che la Banca centrale russa è inserita nelle “liste di proscrizione americane” fra gli Specially Designated Nationals (SDN), non può più vendere le proprie attività per sostenere il corso del rublo, esponendo la valuta russa al rischio di una svalutazione incontrollata. In effetti, proprio questo è successo: il rublo ha perso il 30% in un giorno, con una perdita per importatori e detentori di ricchezza in rubli. L’effetto sull’economia russa è devastante.

 

D’altro canto, il blocco delle riserve costituisce un precedente che si ripercuoterà inevitabilmente sullo status del dollaro come moneta internazionale: che strumento di riserva può mai essere quello che rischia di venire a mancare proprio nel momento del bisogno? Questo precedente potrebbe ridurre la disponibilità di altri Paesi, in particolare della Cina, a detenere le proprie riserve sotto forma di titoli del Tesoro americano e, in generale, titoli denominati in dollari, indebolendo la funzione del dollaro come strumento di riserva internazionale.

 

Crypto-assets come nuovo bene rifugio?

All’erosione dell’egemonia del dollaro potrebbe contribuire anche il crescente ricorso alle criptovalute. In effetti, le criptovalute potrebbero costituire un mezzo di pagamento internazionale e di detenzione della ricchezza alternativo per i cittadini, le banche e le istituzioni finanziarie russe colpite dal blocco di SWIFT, e in generale dalle sanzioni occidentali. Infatti, le criptovalute costituiscono una forma di asset virtuale che viene scambiato sulla blockchain senza alcun bisogno di intermediari, sfuggendo al controllo delle autorità.

Il ricorso alle criptovalute per aggirare le sanzioni sembra confermato da alcuni recenti sviluppi sul mercato delle criptovalute. Innanzitutto, il prezzo di bitcoin è salito di circa il 20% in una settimana con un’impennata proprio il giorno in cui sono state comminate le sanzioni (figura 3).

 

 

Figura 3 Valore del bitcoin dal 25 febbraio al 3 marzo

 

Fonte: Cryptocompare

 

Inoltre, e più significativamente, i volumi di trading tra rubli e bitcoin e tra rubli e tether (la più importante stablecoin, o criptovaluta stabile, per capitalizzazione di mercato) hanno mostrato un aumento decisamente più marcato in concomitanza con l’avvio della crisi ucraina (Figura 4).

 

 

Figura 4 – Volumi di trading rublo/bitcoin e rublo/tether
Milioni di rubli

 Fonte: Cryptocompare

 

Presi nel loro insieme, questi dati sembrano indicare una rapida corsa all’investimento in criptovalute da parte di cittadini e istituzioni russe. Certo, ci sono alcuni fattori che impongono dubbi sulla capacità delle criptovalute di svolgere efficacemente il ruolo di mezzo di pagamento alternativo, quantomeno nel breve periodo. Innanzitutto, il sistema di transazioni su blockchain sconta un notevole gap di efficienza rispetto ai sistemi centralizzati (Bitcoin processa 4,6 transazioni al secondo, contro le 1.700 di Visa ), cosa che li rende difficilmente utilizzabili su larga scala. Inoltre, allo stato attuale le criptovalute sono scarsamente accettate, sia per l’acquisto di beni che per l’effettuazione di operazioni finanziarie. E questo uso potrebbe essere ulteriormente indebolito dalle sanzioni. Il dipartimento del Tesoro americano ha chiesto alle maggiori crypto exchange di collaborare per evitare che i soggetti russi colpiti dalle sanzioni possano svolgere operazioni utilizzando criptovalute.

Tuttavia, non tutti gli exchange aderiranno. Del resto, come non hanno mancato di rilevare i fautori delle criptovalute, la loro ratio è proprio quello di consentire di sfuggire ai controlli. E anche l’efficienza delle criptovalute e in particolare delle stablecoin potrebbe aumentare.

 

Da Dostoevskji una lezione per il sistema monetario di domani?

In definitiva, per ora il dollaro conserva il primato, principalmente perché nessun’altra valuta offre la possibilità di investire in mercati altrettanto liquidi, profondi, integrati. Tuttavia, il rischio di sanzioni mina alla base il carattere del dollaro come potere d’acquisto internazionale. Se si può ancora citare Dostoevskji: “il denaro è libertà coniata”. Se la libertà di spendere i miei dollari mi può essere tolta, quei dollari non sono più denaro. Le sanzioni minano alla base la capacità del dollaro di servire da strumento di riserva e di regolamento internazionale. Monete oggi meno efficienti sotto altri profili, come lo yuan o le criptovalute, potrebbero presto assumere i tratti di allettanti alternative, soprattutto in alcune aree geografiche. La trasformazione del dollaro in un’arma (weaponization) contribuisce fatalmente a ridurre la sua credibilità come moneta globale e ad accelerare la crisi dell’egemonia monetaria USA a favore di un sistema monetario internazionale diversificato e multipolare.

 

 

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economia Russia Geoeconomia Europa
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AUTORI

Luca Fantacci
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Lucio Gobbi
UNITN

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