Tra il 19 e il 21 luglio il premier Renzi ha visitato Angola, Congo-Brazzaville e Mozambico, accompagnato da alcuni illustri rappresentanti dei più importanti gruppi industriali italiani che operano nel paese: dall’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, all’Ad di Saipem Umberto Vergini, a rappresentanti del gruppo Cremonini, Federalberghi, Iveco, ma anche Assominerali e Confindustria. Parte della delegazione anche il vice-ministro per lo sviluppo economico Claudio Calenda, reduce da una recente missione di grandi dimensioni a Maputo, in cui si sono svolti 400 incontri bilaterali fra le imprese con grande soddisfazione dei partecipanti.
Il premier ha riservato poco meno di un giorno ad ogni paese, una visita davvero lampo, anche tenendo conto del fatto che per trovare traccia di un’altra visita in Africa sub-sahariana da parte di un’alta carica dello stato bisogna risalire fino al 2007, quando Prodi parlò dell’impegno italiano per la Somalia al vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba.
Se lo scopo dichiarato resta l’impulso al settore energetico e all’export, sottesi sono anche il supporto all’internazionalizzazione, l’ampliamento degli scambi commerciali e una benedizione istituzionale all’attività delle imprese italiane (nella delegazione è presente anche Sace che ha annunciato nuove misure che favoriscano gli investimenti nei paesi considerati), nonché la manifestazione della volontà concreta di impegnarsi di più sul piano della promozione del Made in Italy. Nei fatti, però, la visita assomiglia più a una sorta di omaggio alle success stories dell’Eni, con tanto di dichiarazione di nuovi investimenti in Mozambico. Viene insomma da chiedersi dove si collochi il sostegno e l’accompagnamento alle piccole e medie imprese (Pmi), ovvero a quella parte del tessuto produttivo italiano che i paesi africani stessi tenderebbero a prendere a modello e che viene continuamente promosso come la parte più promettente delle nostra economia.
Non servono grandi esperti per capire come questa visita sia concentrata soprattutto sul settore estrattivo, riservando uno spazio esiguo ad altri settori in espansione, ad esempio quello dei beni di consumo, che favorirebbero appunto l’ingresso delle Pmi in Africa. Nonostante la strategia di questo governo verso il Continente, come già del governo Letta, dovrebbe essere quella del mutuo sviluppo, dello sviluppo sostenibile e della costruzione di legami di lungo periodo, anche basati sull’ascolto delle esigenze dei paesi africani, sempre più in grado di scegliere fra i numerosi competitors che si contendono le opportunità di mercati in rapida crescita, questa visita dà mostra di un approccio che più tradizionale non si può. La delegazione somiglia a una sorta di esibizione di forza con ben poche idee da mettere sul tavolo, in cui si rilevano i buoni affari dell’Eni in Mozambico come se fossero un trionfo del Sistema Italia, quando invece segnano punti a favore di un’impresa che, operando nel settore degli idrocarburi, preferisce agire indipendentemente dal sistema paese e slegata da qualunque vincolo politico che magari finirebbe per pesare sui contratti e le concessioni facendo aumentare i costi.
Compresi gli scopi economici della missione, resta la pochezza di quelli politici, che certo non si possono ridurre alla visita al mausoleo di Agostino Neto. L’arduo compito di approcciare il vero nodo della politica italiana in Africa, ovvero il rapporto instabile e inefficace con gli stati del Corno, il ruolo italiano nella risoluzione della crisi somala e nella normalizzazione dei rapporti fra Eritrea ed Etiopia, è toccato invece al vice ministro degli Esteri Lapo Pistelli che poco meno di un mese fa ha effettuato un’importante missione nell’area, incontrando il chiacchierato presidente eritreo Isaias Afewerki (un’operazione che per quanto abbia generato numerose polemiche potrebbe segnare un primo passo verso una riapertura dei rapporti con un paese estremamente complesso e che gioca un ruolo chiave anche nella questione somala). È singolare che l’Italia richiami a gran voce una maggiore responsabilità dell’Unione Europea per quanto riguarda la cosiddetta emergenza migrazione e nello stesso tempo il presidente del consiglio eviti accuratamente la programmazione di una visita nei paesi di origine di gran parte dei migranti che approdano sulle coste italiane.
Renzi non ha fatto mancare la sua presenza presso alcune strutture della cooperazione italiana. Un chiaro segnale che va nella direzione dell’affermazione di un legame diretto fra cooperazione e internazionalizzazione, con la cooperazione intesa come uno degli strumenti a disposizione della politica estera. Il riconoscimento dell’esistenza delle realizzazioni delle organizzazioni non governative italiane in Africa basta davvero a sancire un legame profit-no profit, pubblico-privato, fino ad ora soltanto enunciato nella nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo e che invece è tutto in fieri e che richiede una strategia chiara e di lungo periodo per essere davvero efficace sul campo?
A meno di colpi di scena inattesi, il tour africano del premier Renzi assomiglia molto ad una di quelle visite di cortesia con le quali si cerca di mantenere un legame con parenti lontani, un po’acciaccati, ma benestanti, che possono sempre essere utili in futuro. L’importante è esserci, non presentarsi a mani vuote ed evitare accuratamente quei temi che potrebbero turbare la quiete familiare.
Marta Montanini, ISPI Research Assistant