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Commentary

Il viaggio della riconciliazione di Papa Francesco in Africa

25 novembre 2015

Il viaggio di Papa Francesco in Africa toccherà tre paesi, Kenya (25-27 novembre), Uganda (28-29) e Centrafrica (29-30). Sono nazioni che vivono tensioni paradigmatiche dell’intero continente: povertà estrema, tensioni interetniche e interreligiose, guerre. Questo soggiorno, pur nella sua brevità temporale e nonostante tocchi solo tre dei 54 stati africani, permetterà quindi al Pontefice di avere un contatto con la realtà (o le realtà) di un continente in perenne ricerca di se stesso. Per comprendere meglio quanto stiamo dicendo è forse utile analizzare, tappa per tappa, le problematiche che Francesco incontrerà sul suo cammino.

Il primo paese in cui atterrerà è il Kenya. A Nairobi, Papa Francesco troverà un paese che da quattro anni è impegnato nella complessa guerra somala. Le truppe keniote fanno parte di un contingente internazionale chiamato a sostenere le nascenti istituzioni di Mogadiscio, ma impegnate anche a evitare che la guerra sconfini nell’Oltre Giuba e metta a rischio non solo l’industria turistica keniana, ma anche i giacimenti di petrolio al largo della città di Lamu. Obiettivo in gran parte fallito perché il conflitto ha avuto pesanti ricadute anche sul territorio keniano, con gli attentati al centro commerciale di Westgate (2013) e con la strage degli studenti cristiani del collegio di Garissa (2015), e che ha assunto toni di scontro tra la comunità cristiana e quella musulmana. Musulmani kenioti anzitutto (che vivono sulla costa e al nord), ma anche somali che sono numerosi in Kenya. Basti pensare che nel solo campo di Dadaab hanno trovato rifugio almeno 400.000 persone provenienti in gran parte dalla Somalia. In questo contesto assume un significato particolare l’incontro ecumenico e interreligioso al quale il Pontefice assisterà giovedì 26. In Kenya però il Papa verrà a contatto anche con la povertà più estrema. In una recente analisi dell’Institute of Security Studies svolto sui 10 paesi più popolosi dell’Africa sub-sahariana, è emerso che il Kenya è al sesto posto tra le nazioni più povere e che, salvo non vengano messe in atto misure radicali, il paese non riuscirà a combattere la condizione di povertà estrema che riguarderà 18 milioni di persone entro il 2030. Francesco toccherà con mano questa povertà nella bidonville di Kangemi che non è la più grande di Nairobi e neppure la più problematica, ma che esemplifica bene il dramma di milioni di persone costretti da un’urbanizzazione forzata a vivere in township senza servizi e dominate dalla criminalità. Un momento significativo della tappa keniota sarà il discorso al quartier generale dell’Onu in Africa nel quale toccherà il tema dei mutamenti climatici. Il Papa ha dedicato nel giugno scorso un’enciclica ai temi dell’ambiente, mostrando come la lotta all’inquinamento non può essere disgiunta dalla lotta alla povertà e dalla messa in discussione dell’attuale sistema di sviluppo.

A Kampala, il Pontefice celebrerà i «martiri d’Uganda», i giovani che nel Diciannovesimo secolo abbracciarono la fede cattolica e che, a causa di essa, furono arsi vivi. Per la Chiesa sono il simbolo di una fede profonda che, tutt’oggi, è diffusa nel continente. In Uganda, il Papa si troverà a fare i conti con numerosi problemi legati alla morale sessuale. Le violenze contro gli omosessuali sono ampiamente diffuse e socialmente accettate. Ricordiamo che pochi anni fa un quotidiano ugandese uscì con il titolo a tutta pagina «Impiccateli», pubblicando anche la lista di 400 nominativi di gay e lesbiche con i loro indirizzi. Allo stesso tempo, rimangono impuniti gli stupri di migliaia di donne. 

Il Centrafrica vive, dalla fine del 2013, una situazione di violenze e di instabilità, dove la religione è stata strumentalizzata con il solo effetto di scatenare una feroce guerra civile. In realtà, anche in questo paese, dietro lo scontro interreligioso, si nasconde una lotta per le risorse naturali. Diamanti, oro e uranio sono il tesoro sul quale si confrontano e si scontrano gli interessi di Cina e potenze occidentali (Francia e Stati Uniti in testa). Il Papa incontrerà la comunità musulmana e cercherà di stemperare le tensioni. Le sue intenzioni sono contenute in un messaggio che Francesco ha indirizzato al Centrafrica e che mons. Dieudonné Nzapalainga, presidente della Conferenza episcopale della Repubblica Centrafricana ha già portato al Km5, il quartiere-ghetto di Bangui nel quale vivono i musulmani. «Spero con tutto il cuore – afferma il Papa – che la mia visita possa contribuire, in un modo o nell’altro, ad alleviare le vostre ferite e a favorire le condizioni per un avvenire più sereno per il Centrafrica e tutti i suoi abitanti». Rivolgendosi ai fedeli «di tutte le religioni ed etnie» dello stato, il Papa prosegue: «Desidero sostenere il dialogo interreligioso per incoraggiare la pacifica convivenza nel vostro paese: so che questo è possibile, perché siamo tutti fratelli». «Il messaggio del Papa è chiaro – ha dichiarato all’Agenzia Fides, mons. Nzapalainga –. È un messaggio di pace che riguarda tutte le religioni, le etnie e le tribù. Siamo grati al Santo Padre perché ha messo al centro della sua visita il popolo centrafricano, formato da cattolici, protestanti, musulmani e animisti, con un occhio di riguardo ai disperati, agli abbandonati. Siamo tutti pronti ad accogliere Papa Francesco perché ci porta la speranza e la consolazione».

Enrico Casale, giornalista di Africa, bimestrale dei Padri bianchi.

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Papa Francesco Africa Giubileo
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