Non si era mai vista in Francia una campagna elettorale così piatta e dall’esito scontato, nonostante gli scenari drammatici degli ultimi tempi (la violenta protesta dei gilet gialli, la pandemia) e l’attuale tragica cornice della guerra in Ucraina. Emmanuel Macron è rimasto all’Eliseo quasi senza combattere. Gli è bastato affidarsi alle divisioni degli schieramenti, sia a destra sia a sinistra, e alla debolezza degli sfidanti. Anche se sorprese dell’ultima ora potevano venire dal fiume sotterraneo, poco visto o poco esplorato, della Francia delusa, arrabbiata, preoccupata per il caro benzina e la bolletta del gas. La Francia che comincia a chiedersi quanto e come il Paese e l’Europa pagheranno le conseguenze della guerra, dato che le sanzioni colpiscono l’Europa e nemmeno sfiorano gli Stati Uniti. Sono sentimenti che uniscono l’estrema destra e serpeggiano nell’estrema sinistra, complicando sondaggi e previsioni.
È un fatto che Macron, dopo avere schivato confronti pubblici e comizi, sia corso ai ripari. A una settimana dal voto, ha voluto dare una dimostrazione di forza, con una luccicante kermesse in stile americano che ha infiammato per due ore trentamila sostenitori.
Sulla carta, comunque i rischi sono contenuti. Nel quinquennato, il giovane presidente si è appropriato dei fondamenti della tradizione gollista e li ha attualizzati: senso dello stato, ruolo della Francia in Europa e nel mondo, diplomazia a tutto campo, difesa dei valori repubblicani. Ed è riuscito a tenersi in equilibrio fra sensibilità di destra e di sinistra, svuotando progressivamente a suo favore l’elettorato di entrambi i fronti. Valérie Pècresse ha regalato ai francesi la suggestione di una candidata donna e gollista, ma la sua stella ha brillato soltanto all’inizio della campagna. Era appunto una suggestione, tanto più che non pochi esponenti gollisti hanno tradito il proprio campo per passare alla corte di Macron. Le legislative di giugno saranno un altro appuntamento decisivo, in cui la poltrona spesso conta più della lealtà.
La sfida finale per l’Eliseo, molto probabilmente, riprodurrà ancora l’anomalia di precedenti elezioni : il candidato dei valori repubblicani contro il «miglior nemico», Jean Marie Le Pen ieri, Marine Le Pen oggi come nel 2017. Le Pen ha moderato i toni, sperando anch’essa di conquistare l’elettorato gollista in libera uscita, ma l’immagine di leader sovranista ed euroscettica, peraltro in difficoltà per i noti rapporti con Vladimir Putin, è difficile da correggere in corsa.
Macron è anche fortunato, caratteristica che conta oltre meriti e qualità, come diceva Napoleone. I risultati in politica interna non sono esaltanti. Alcune riforme, come quella delle pensioni, sono rimaste sulla carta. Ma il suo principale merito è di essere stato il protagonista (con Angela Merkel) della stagione della solidarietà europea (con il lancio del Recovery Fund) e oggi della ritrovata compattezza dell’Europa di fronte alle minacce di Mosca.
L’emergenza pandemica e bellica gioca a favore delle leadership, non solo in Francia. Basti vedere la risalita dei consensi di Boris Johnson e di Joe Biden e la crescita di Olaf Scholz, che sta cancellando la nostalgia di Angela Merkel. È un facile riscontro anche in Italia. L’emergenza ha favorito il sussulto di responsabilità delle forze politiche che ha portato alla rielezione di Sergio Mattarella e che ha dato continuità al governo di Mario Draghi.
In questo quadro, l’emergenza bellica dà ancora più senso e contenuto ai rapporti fra i nostri due Paesi. Rapporti rilanciati dal recente Trattato del Quirinale, dopo malintesi e sgarbi degli ultimi anni. Autonomia energetica, difesa europea, patto di stabilità e immigrazione sono tematiche che impongono visioni strategiche e scelte operative comuni, in parte ancora attese alla prova dei fatti. Attenzione: la firma del Trattato ha suggellato il forte rapporto personale fra Macron, Draghi e Mattarella che è un’assicurazione sulla ritrovata sintonia. Il Trattato resta tuttavia una « camera di consultazione » permanente, tanto più utile e foriera di risultati quanto più, in futuro, saranno in sintonia gli interpreti. Mattarella è stato rieletto per sette anni, Macron lo sarà probabilmente per i prossimi cinque. Ma il mandato di Draghi è in scadenza naturale con le elezioni del 2023. A volte per ragioni strumentali, a volte per conflitti d’interesse e ambizioni divergenti, le incomprensioni fra Roma e Parigi potrebbero riemergere, soprattutto se in Italia torneranno a prevalere sovranismo e populismo.
Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata l'8 aprile 2022