La questione nordafricana ha contribuito a ingarbugliare ancora di più la faccenda immigrazione – minaccia terroristica. Non si tratta di uno spunto nuovo ma il suo valore si incrementa in presenza di momenti politici significativi o quando i flussi incontrollati di persone aumentano il grado di incertezza che consegue la risposta a domande quali «Chi? Da dove? Quando?... e quanti?».
Cerchiamo di capire, rispetto a una funzione di utilità, cosa converrebbe fare… per fare il terrorista.
Di massima si può considerare troppo rischioso e inutile viaggiare come clandestino soprattutto su uno dei tanti barconi che arrivano di questi tempi in Italia. Il gioco non vale la candela perché il rischio di morire per strada o di essere rimpatriato è più alto di quello di farsi prendere dopo un attentato. Né il differenziale economico – biglietto low cost ufficiale o barcone da trafficato – è significativo. Pertanto, il legame supposto tra clandestino e terrorista è certamente debole in questa fase d’ingresso nel paese. Un discorso differente, rispetto ai clandestini, può riguardare sia il “dopo” sia la loro strumentalizzazione per altri fini. Ma queste questioni, in qualche modo si saldano alla figura del migrante, cioè chi è entrato legalmente nel paese. Indubbiamente, questa è la strada più sicura tra le due: un visto turistico, magari neppure un visto perché inutile, per poi fermarsi – ma solo se necessario – oltre i termini previsti entrando, a quel punto, nell’illegalità. La storia, tuttavia, mostra come il terrorismo organizzato eviti tanti e tali rischi collaterali all’impresa principale: è più sicuro muoversi legalmente per commettere atti – altri dal muoversi – che sono illegali.
Riprendo dunque la relazione tra immigrato e clandestino prima citata nella forma del suo stare nel paese e dell’essere utilizzato.
Tutti gli scenari che descriviamo oggi, evidenziano soprattutto un rischio terrorismo legato a forme di radicalizzazione che sono esito della mancata integrazione del migrante o dello sfruttamento del suo stato di illegalità. In sostanza, lo scontento promuove una deriva radicale che può sfociare in forme di risposta violenta, prima che di terrorismo organizzato, nel paese ospite. Sono quelle figure che chiamiamo lone wolf – i lupi solitari – o gli imitatori che si vogliono marchiare con il brand qaedista, scontenti e sbandati, ma anche lucidi radicalizzati in moschea, difficili da intercettare proprio perché la solitudine fornisce riparo. Il terrore, dunque, non è per loro un progetto all’origine ma la conseguenza di una situazione complessa. Per questa ragione numerosi stati europei hanno avviato i programmi di de-radicalizzione e prevenzione.
Al contrario, la paura che tra i 50.000 arrivi stimati dai barconi – cifra complessiva che giudico attendibile – si celino terroristi trova una limitatissima giustificazione che non legittima alcuna paura, rispetto agli scenari già citati. L’immigrato è una pregiata merce di scambio nello scenario internazionale, ricordiamo che ai tempi noi pagammo l’arresto dei flussi dall’Albania. E pochi anni fa pagammo il controllo libico e tunisino dei flussi magrebini e subsahariani. Le rivoluzioni nordafricane hanno rotto i contratti – fino a quando non si avrà un’altra leadership con cui stipularli – rilanciando il gioco a colonnelli e presidenti che tornano a farsi minacciosi usando i flussi illegali: sono i nuovi scudi umani della politica internazionale d’avventurieri. E possono, quando la guerra fa tuonare il cannone, essere minaccia comunicativamente efficace ancor prima che minaccia concreta.
A conclusione di questo breve commento qualcuno si chiederà… e dunque? La risposta alla domanda, esclude la possibilità di un muro di gomma su cui fare rimbalzare gli illegali perché è velleitario che così si controlli la penetrazione del terrorismo. Si tratta di una faccenda che dobbiamo assolutamente controllare ma... la molteplicità di aspetti che la contraddistinguono rende difficile una risposta adeguata se non la si spoglia delle sue “attitudini politiche” per riposizionarla nelle necessità di governo:
• La Francia respinge gli immigrati e Malta li lascia annegare: senza una concentrazione europea la questione non può essere affrontata in modo efficace. Su questa emergenza misuriamo l’Europa. Se essa manca, oggi, è del tutto inutile che poi pretenda di esserci, dopo,...con qualche multa sull’ambiente!
• Immigrati clandestini o rifugiati e terroristi: non è il punto di partenza dell’imbarco che ci permette di deciderlo ma sempre più è necessaria l’identificazione delle persone per potere discernere;
• L’identificazione di chi sbarca è dunque fondamentale: conoscia-mo quali sono i percorsi d’immigrazione clandestina e, di massima, le caratteristiche del “serbatoio” libico fino a poco tempo fa con-trollato da Gheddafi. Identificare chi arriva in Italia ci permette di fare delle ipotesi sui percorsi e, pertanto, di avanzare ipotesi d’interven-to “delocalizzato”, al punto di partenza e non di arrivo;
• Pro-azione: tra poco non sarà sufficiente gestire l’impatto nelle isole italiane, dovremo trovare il modo di anticiparlo o attraverso nuovi accordi con i governi emergenti nella Nuova Africa del Nord o attra-verso interventi diretti sul posto. La fine di Osama è un utile indirizzo per il Colonnello.
• Sicurezza: nessun migrante è interessato a restare dove viene por-tato... i tentativi di fuga saranno costanti e continui. La questione sicurezza non è dunque immediatamente centrale là dove sono dislocati – dopo le isole – gli immigrati ma emergerà 1) come risposta al controllo per non lasciarli scappare; 2) se si costituiranno serbatoi di disperati là dove verranno fermati su rispolverati confini nazionali: fluidificare i flussi ormai entrati e mantenere il controllo è necessario.