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Trade Watch / Brexit

Imprese: due proposte per salvare gli scambi

Marco Felisati
11 gennaio 2018

Brexit è stata sicuramente una scelta avventata, le cui implicazioni non sono, ancora oggi, interamente prevedibili. La loro complessità appare tale che ci si può chiedere se non sarà, addirittura, un appuntamento al buio. E’ questa la preoccupazione che sottende il cosiddetto cliff-edge scenario, ossia la possibilità che dal 29 marzo 2019 il Regno Unito, simultaneamente, cessi di essere un membro dell'Unione europea, abbandoni il mercato unico e non sia più parte della sua unione doganale.

Sotto il profilo della politica commerciale, questo sarebbe l’esito più preoccupante, con il “ritorno” a relazioni improntate alle norme multilaterali. Un vero e proprio salto all’indietro che comporterebbe il ripristino di dazi che si attesterebbero, verosimilmente, al livello di quelli che la Ue accorda – in base alla clausola della nazione più favorita - ai Paesi con i quali non ha concluso accordi preferenziali, di associazione o di libero scambio. In linea teorica, il Regno Unito farebbe lo stesso, “raddoppiando”, per cosi dire, la barriera tariffaria per l’accesso, da parte delle imprese, ai rispettivi mercati. Inoltre, accanto ai costi dei dazi, si aggiungerebbero quelli relativi alle procedure doganali, alle duplicazioni delle ispezioni e dei controlli per numerosi settori. Sempre nel caso di peggior esito atteso, inoltre, il Regno Unito dovrebbe dotarsi di una nuova legislazione doganale nazionale, abbandonando il Codice Unionale che la Ue ha adottato nel maggio dello scorso anno, innovando, peraltro, in maniera significativa, la propria disciplina doganale.

Il tempo per definire le modalità del cosiddetto “periodo transitorio” e identificare una landing zone che eviti di penalizzare così pesantemente le imprese di ambo le parti stringe. Il dialogo è intenso e non sempre morbido. Il 20 dicembre la Commissione europea ha trasmesso al Consiglio una Raccomandazione per l'avvio delle discussioni sulla prossima fase del recesso. Il tenore del comunicato stampa emesso da Bruxelles non lascia spazio a dubbi in quanto a fermezza “Il progetto di direttive di negoziato che viene a integrare il primo blocco adottato a maggio 2017 contiene precisazioni sulle eventuali modalità transitorie, in particolare in questi termini: non saranno ammissibili scelte di comodo (…) dal 30 marzo 2019 il Regno Unito sarà un Paese terzo e come tale non sarà più rappresentato nelle istituzioni, organi e organismi dell'Unione; il periodo di transizione dovrà essere definito chiaramente e limitato precisamente nel tempo. La Commissione raccomanda di non protrarlo oltre il 31 dicembre 2020”.

Naturalmente, non è nell’interesse di nessuna delle parti esaurire il periodo transitorio senza avere disegnato il futuro assetto delle relazioni commerciali tra Unione europea e Regno Unito. Per evitarlo, è attivo un gruppo di lavoro congiunto con l’obiettivo di valutare le soluzioni da adottare. Anche su questo argomento, tuttavia, non vi sono al momento certezze, ma soltanto possibilità delle quali si sta occupando molta letteratura. Dal punto di vista dell’impresa, la soluzione meno traumatica sarebbe la prosecuzione lineare dell’unione doganale o, in subordine, la creazione di un’area di libero scambio sulla falsariga di quella esistente con i paesi EFTA.

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brexit Regno Unito Europa trade Scambi commerciali
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AUTORE

Marco Felisati
Vice Direttore Internazionalizzazione e politiche commerciali Confindustria

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