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India

India, cosa c'è dietro la nuova ondata di violenze nel Kashmir

Emanuela Mangiarotti
09 giugno 2022

Nelle ultime settimane, i territori del Kashmir amministrati dall’India sono stati teatro di nuove, ripetute violenze. Centinaia di indù stanno fuggendo o si stanno preparando a lasciare queste zone in seguito al susseguirsi di attacchi armati e uccisioni per mano di militanti kashmiri.

In quella che è una delle regioni più militarizzate al mondo, dall’inizio dell’anno si contano 16 persone morte in seguito agli attacchi, seguiti a loro volta da una violenta reazione delle forze di sicurezza. Mentre anche i musulmani impiegati nell’amministrazione pubblica sono stati presi di mira dai militanti poiché considerati collaboratori dello stato indiano, le vittime appartengono principalmente alle minoranze indù presenti nell’unica regione a maggioranza musulmana dell’India.

Soltanto la scorsa settimana, l’uccisione di tre indù tra cui Rajni Bala, insegnante, Vijay Kumar, impiegato di banca e di Dilkhush, un lavoratore migrante, hanno scatenato proteste massicce, in particolare tra la comunità  dei pandit kashmiri.

 

Il BJP e i Pandit Kashmiri

I pandit kashmiri sono una comunità indù di casta bramanica originaria della valle del Kashmir. Nel corso degli anni Novanta, la maggior parte dei pandit fuggì nel Jammu e a New Delhi in seguito a violenze e intimidazioni e all’uccisione di diversi membri della comunità da parte di militanti nel contesto di un’insurrezione armata contro le politiche indiane nella valle. Alcune associazioni dei pandit sfollati, ma anche il movimento nazionalista dell’Hindutva rappresentato politicamente dal Bharatya Janata Party di Narendra Modi, attribuirono le cause della fuga alle violenze perpetrate in nome del fondamentalismo islamico fomentato dal Pakistan. I militanti kashmiri, tuttavia, hanno sempre negato di aver voluto intimidire o colpire i pandit in quanto comunità religiosa ma di aver perpetrato azioni mirate contro politici e individui che sostenevano le politiche del governo indiano.

La fuga dei pandit dalla valle ha rappresentato per la destra nazionalista indù un tema centrale per mobilitare la popolazione in favore delle proprie politiche etno-nazionaliste.  La più recente di queste strumentalizzazioni è stata il sostegno massiccio da parte del BJP alla promozione del film, The Kashmir Files, uscito l’11 marzo di quest’anno. Il film, che promette di raccontare la storia della fuga dei pandit dalla valle, è stato da molti considerato provocatorio, intriso di islamofobia e di ricostruzioni storiche volutamente fuorvianti. Questo non ha impedito a Narendra Modi e altri esponenti di spicco del BJP di appoggiare pubblicamente il film e di incoraggiarne la visione come atto di restituzione della “verità storica” riguardo la fuga dei pandit dalla valle.

 

La protesta dei pandit

A partire dal mese scorso, tuttavia, i pandit hanno preso le distanze dalla narrazione secondo cui la destra nazionalista indù sarebbe impegnata a proteggere gli interessi della loro comunità. In particolare, i pochi pandit rimasti o ritornati nella valle attraverso programmi governativi di ricollocazione hanno contestato l’inconsistente risposta del governo alle loro richieste di trasferimento e maggiore tutela, in seguito agli attacchi da parte dei militanti. I pandit hanno organizzato proteste di massa contro il governo, all’interno dei quartieri a loro riservati. Diversi impiegati pubblici indù si sono astenuti dal lavoro e hanno minacciato dimissioni di massa se il governo non si fosse deciso a trasferirli in luoghi più sicuri. In seguito alle proteste, il governo ha annunciato la ricollocazione di 177 insegnanti in “zone più sicure” della valle, incappando però in ulteriori critiche in seguito alla diffusione della lista dei beneficiari sui social media.

Terrorizzati dalla situazione, diverse famiglie pandit stanno cercando di lascare il Kashmir, senza tuttavia ottenere particolare sostegno dal governo. Al contrario, la scorsa settimana, in una lettera indirizzata al Chief Justice della regione, la Kashmiri Pandit Sangharsh Samiti, un’organizzazione che sostiene la comunità, ha accusato il governo di mettere a rischio la vita dei pandit impedendo loro di trasferirsi.

 

Gli effetti nefasti della politica del BJP in Kashmir

Secondo alcuni, l’atteggiamento del governo è volto a proiettare un’apparenza di normalità a sostegno delle politiche che, secondo lo stesso governo, avrebbero risolto il conflitto in Kashmir e posto fine alla militanza armata nella valle.

Quest’ultima al contrario ha ripreso vigore proprio successivamente alla promulgazione da parte del secondo governo Modi del Jammu and Kashmir Reorganisation Act nel 2019. La riforma ha sancito la divisione dell’ex stato del Jammu e Kashmir in due unità amministrative governate direttamente da New Delhi. Essa ha inoltre revocato lo statuto speciale che includeva misure per prevenire l’acquisto di proprietà e terreni da parte di indiani provenienti da altri stati. Questa clausola era volta a salvaguardare l’equilibrio demografico nell’unico stato a maggioranza musulmana dell’unione. Da quel momento, i territori della valle del Kashmir sono stati oggetto di misure draconiane volte a sopprimere l’espressione del dissenso contro le riforme imposte da New Delhi.

Secondo diversi osservatori, la promulgazione del Jammu and Kashmir Reorganisation Act ha ulteriormente peggiorato la situazione di insicurezza nella valle. In effetti, alla luce dei recenti avvenimenti, appare chiaro che la fine della militanza armata sembra allontanarsi, così come la sicurezza e lo sviluppo per il “nuovo Kashmir” promesso da Narendra Modi.

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Asia India
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AUTORI

Emanuela Mangiarotti
Università di Pavia

Image credits: Anthony Maw (CC BY-SA 2.0)

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